Edito per Magog Edizioni, Trincee & Segreti, nelle sue duecento e passa pagine rappresenta la testimonianza sul campo di Francesco Semprini. Inviato di guerra durante il conflitto tra Russia e Ucraina, Semprini racconta ciò che i suoi occhi hanno realmente visto, dalle macerie ai volti dei protagonisti, tra i rumori delle raffiche e la speranza di una tregua che al momento stenta ad arrivare.
Ecco la nostra intervista a Francesco.
Ciao Francesco, inizio da subito con il ringraziarti per la tua disponibilità; post attacco di Hamas l’opinione pubblica ha spostato l’interesse, almeno in parte, dall’Ucraina a Gaza. Il conflitto ucraino chiaramente continua, sai come stanno andando negli ultimi giorni le cose in Ucraina?
Il conflitto ucraino sicuramente sta proseguendo nonostante ciò che sta accadendo a Gaza, il conflitto Israele-Hamas. Dopo circa venti mesi l’attenzione si è spostata sul Medioriente che è tornato ad essere pedina principale dello scacchiere bellico internazionale. La guerra in Ucraina comunque continua, in sordina ma continua; al momento, con l’arrivo dell’inverno, chiaramente le attività di campo si rallentano ed in alcuni addirittura si fermano. La famosa controffensiva ucraina, annunciata già a maggio e con risultati più contenuti rispetto a quelli previsti, di fatto al momento è ferma. I russi ne approfitteranno per fortificare le proprie posizioni ed idem faranno gli ucraini. Un altro elemento che emerge è la discordanza tra vertici politici e militari a Kiev sulle tempistiche della controffensiva; i militari sono sempre stati più prudenti mentre i politici si sono sbilanciati dando vita a proclami abbastanza avventurieri con risultati effettivi non all’altezza degli annunci fatti. Un altro fatto messo in luce dal Washington Post sono i dissidi tra americani ed ucraini sulla fornitura di armi ed asset strategico e tattico, sembra che l’America non abbia fondi per l’acquisto di nuove armi da dare a Kiev ma allo stesso tempo è importante per l’America continuare a sostenere l’Ucraina per non dare alla Russia troppo margine di vantaggio in vista di un eventuale trattativa.
Nel tuo libro approfondisci alcuni fatti accaduti, ad esempio la morte Prigozhin. Sulla vicenda si è detto molto ed i filoni narrativi si intrecciano tra fantapolitica e realtà. Quale potrebbe essere, secondo te, la tesi più vicina alla realtà sulla sua scomparsa?
Si è detto tanto e alle volte si è andato anche oltre quando si è parlato di questo personaggio. Iniziamo a ricordare il peso che ha avuto l’ingresso della Wagner nel conflitto, specie nel Donbass. Sulla figura di Prigozhin c’è sicuramente ancora tanto da approfondire ma non possiamo negare che la sua figura, insieme a quello della Wagner, stava acquisendo sempre più importanza nel conflitto ed il tentativo di Mosca è stato inizialmente quello di imbrigliarli nei ranghi delle forze armate mentre Prigozhin mirava ad una rivendicazione dei compensi dati i risultati ottenuti sul campo. Essere inglobati nelle forze armate è una mossa economicamente sfavorevole rispetto a far parte di un’organizzazione statale. C’è chi sostiene che la morte di Prigozhin era una morte “annunciata”, quello che personalmente non mi torna è la velocità d’esecuzione, solitamente Mosca fa passare del tempo prima di eliminare un suo nemico. Esiste anche l’ipotesi di un “esilio dorato” con un Prigozhin vivo in qualche parte del mondo alle prese con una nuova vita post accordo pattuito con Mosca ma non abbiamo alcun dato per sostenere questa tesi… non la escluderei del tutto. Il tentativo che c’è stato è sicuramente quello di circoscrivere il ruolo di Wagner almeno nel conflitto russoucraino; la Wagner dalla sua continuerà a vivere di vita propria in altri scenari, esempio su tutti l’Africa o in Medioriente.
PMC, la loro storia è ben descritta tra le pagine del libro, dalla loro nascita alla continua evoluzione: quale sarà il loro ruolo nei prossimi anni? Continuerà a crescere la loro importanza nei conflitti?
Negli ultimi anni c’è stato un proliferare delle PMC, spesso nate all’ombra dei grandi colossi energetici o delle grandi aziende di stato russe (Lukoil o Gazprom). Nascono come strutture destinate alla sicurezza di queste aziende che hanno affari miliardari in giro per il mondo e quindi potrebbero essere oggetto e bersaglio da parte dei detrattori della Russia, in realtà poi ricevono un addestramento applicabile non tanto, o non solo a quello di difesa, per aziende o territori petroliferi ma anche offensivo e quindi d’impiego nei conflitti dove la Russia potrebbe essere coinvolta. Credo che il l’importanza delle PMC continuerà a crescere perché consentono a Mosca di poter fare affari e svolgere guerre nelle quali non si ritenga direttamente coinvolta ma abbia una sorta di “procura” in grado di poter attuare i propri interessi senza apparire direttamente…basti pensare all’Africa. C’è ovviamente una dicotomia che diverrà sempre più pronunciata tra la struttura di difesa russa e le strutture di difesa private russe. Il rischio che la Russia dovrà tenere contenere è che la situazione di controllo sulle PMC sfugga di mano, l’esempio pratico è stata la marcia (seppur più di facciata che di contenuto) su Mosca di Prigozhin.
“Una verità storica che col tempo si potrà verificare”
Giustamente si è parlato tanto del ruolo dell’intelligence durante il conflitto, protagoniste sono state quella americana e quella russa. In un paragrafo fai un passaggio su quella inglese, MI6, ovviamente parliamo di possibilità e non di certezze. Secondo te qual è stato il ruolo dell’intelligence inglese in questa guerra?
L’MI6 ha avuto un ruolo cruciale, è stato sempre l’apparato di riferimento per Kiev ed è stato quello che ha spinto l’Ucraina a prendere le decisioni più pronunciate, più “ardite” insomma. Anche la CIA ha avuto un ruolo importante ma sul campo è stato l’MI6 ad essere il vero protagonista; ho avuto indicazioni, come scrivo sul libro nella parte dei “segreti”, per le quali è stata proprio l’intelligence inglese a far in modo che Putin si convincesse del fatto che a Kiev sarebbe stato accolto come liberatore e vincitore. Putin doveva sentirsi dire ciò che sperava insomma e non dimentichiamoci che Gran Bretagna e Russia hanno un conto aperto, mi riferisco a Cambridge Analytica o l’avvelenamento dei vari dissidenti del regime andati a Londra ed una serie di altre vicende che fanno parte di Un grande gioco, per riprendere il nome di un libro importante. Anche nei possibili accordi in Turchia, ad Ankara se non erro, c’erano le basi per un compromesso per terminare le ostilità con il ritiro delle truppe russe dai vari territori attorno a Kiev, potrebbe esserci lo zampino dell’MI6. L’America voleva raggiungere una prima intesa in questo senso, sarebbe stata invece l’intelligence britannica a voler proseguire l’ostilità mandando Boris Johnson, premier allora, in Ucraina per convincere Zelensky della vittoria sulle truppe russe. Un calcolo possiamo dire molto azzardato, al momento l’idea di un ritorno ai confini del 1991 è abbastanza lontana dalle realtà. Sono curioso di vedere cosa succederà al finire dell’inverno: l’America è in difficoltà per fornire armi, le riserve europee di armi sono notevolmente diminuite, vedremo come si muoverà l’MI6 ma non dimentichiamoci che non è stata solo l’intelligence inglese a premere per alcune mosse di forte esposizione ma anche l’apparato politico britannico.
Conflitto Russia-Ucraina e quello Israelopalestinese, cosa hanno in comune queste guerre? Esiste una connessione tra i conflitti?
Il primo elemento che mi viene in mente è che, come dicevamo nella prima domanda, i riflettori sono passati dall’Ucraina al Medioriente. La Russia, in questo modo, potrà mettere a segno qualche colpo senza essere sovraesposta. Secondo elemento è lo sforzo economico dei partner, il fatto che l’America abbia dovuto rivedere le proprie politiche economiche per il sostegno ad Israele porterà anche ad una revisione del budget per la guerra in Ucraina. Ci sono bilanci da far quadrare e non dimentichiamoci che in vista delle elezioni americane gli elettori devono chiaramente essere al corrente di quelle che sono le strategie economiche sotto tutti gli aspetti e l’opinione pubblica americana sente molto più forte la questione israelopalestinese piuttosto di quella russoucraina per una lunga serie di motivi. Ricordiamoci sempre la forte comunità ebraica presente negli Stati Uniti e la datata amicizia tra i due paesi nonostante una parte dell’opinione pubblica condanni l’atteggiamento d’Israele, basti pensare alle manifestazioni negli atenei o nelle piazze. Terzo elemento: l’infowar. Mai come in questi due conflitti c’è stata una guerra d’informazione di questa portata, nel conflitto russoucraino l’abbiamo vissuto per venti mesi, sono stato in Israele per trentacinque giorni e l’elemento di informazione o disinformazione che dir si voglia è utilizzato metodicamente da entrambe le parti. Hamas lo usa per mettere in evidenza l’uso indiscriminato delle armi da parte di Israele mentre gli israeliani per mettere in scena delle notizie, alle volte banali, di ospedali, di scuole o edifici pubblici usati come basi strategiche islamiste. L’infowar è ormai, come dico nel libro la quinta dimensione bellica. Ultimo elemento è Putin, il conflitto mediorientale potrebbe offrirgli la possibilità di porsi come interlocutore tra le parti e di riabilitare la sua figura pubblica.
Max Weber diceva che i leader buoni sono quelli capaci di inserire le dita negli ingranaggi della storia in una direzione diversa. Riprendo le considerazioni di Sergio Fabbini in uno suo recente articolo: dato il quadro mondiale, mancano veri leader per risolvere i conflitti? La pace a chi non farebbe comodo?
Credo ci sia una crisi di leadership specie in Occidente. In America, con le elezioni vista, vediamo da una parte Biden e dall’altra Trump. Biden sta per compiere 82 anni, vincere il mandato vorrebbe dire continuare fino a 86 anni ed ultimamente abbiamo avuto modo di vedere defaiance non solo lessicali ma anche fisiche. Dall’altra parte abbiamo un Trump sicuramente più reattivo ma con problemi giudiziari e una visione applicabile nel 2016 quando l’America aveva bisogno di un momento di spaccatura netta verso le precedenti presidenze con modello Bush o Clinton e via dicendo ma non nel 2024. Il fatto che manchino personaggi all’altezza di due personaggi del genere, il fatto che non esista un personaggio capace di catturare l’attenzione degli elettori mi fa pensare che si sia saltata una generazione di leader e questo vuoto è stato semplicemente riempito da questi personaggi. Mancano personalità capaci di saper leggere i nuovi equilibri mondiali ed i recenti fatti, le guerre in atto ne sono la dimostrazione. Diversa invece è la situazione in quei paesi dove non sono applicati tutti gli standard della democrazia, quei paesi non “occidentalizzati”, lì i principali leader hanno un’incisività diversa, basti vedere la Turchia di Erdogan capace di mediare nel conflitto russoucraino o il Qatar mediatore tra Hamas e Israele o la Cina ed i paesi Brics. L’Europa stessa, ad esempio, poteva avere un ruolo più incisivo nello scontro tra Ucraina e Russia ma così non è stato, per tanti versi è risultata assente. La pace non conviene a tutti coloro che dalla guerra ottengono una cementificazione dei propri poteri ed un elemento di profitto, la destabilizzazione può essere utile ad attori che magari non sono direttamente collegati al conflitto per spostare l’attenzione dai propri problemi interni. Terza ed ultima considerazione: la guerra può essere utile anche a quei paesi che cercano di porsi come mediatori, un esempio può essere il Qatar nel conflitto israelopalestinese.
Ultima domanda: com’è cambiato il ruolo dell’inviato di guerra?
In generale è cambiato lo scenario geopolitico internazionale ed il modo di fare giornalismo con l’utilizzo di nuovi strumenti e nuove piattaforme, la multidimensionalità dell’informazione che adesso passa attraverso i social. Personalmente è da tempi non sospetti che uso i social per raccontare le guerre, il primo esperimento fu con la caduta di Mosul nel 2017 facendo dei video poi caricati su Twitter. Sono passato poi ad Instagram, attraverso reel, post e storie cerco di avvicinare le nuove generazioni a questo tipo di informazioni, l’elemento importante è quello di mantenere un elevato tasso qualitativo. La qualità paga sempre, non importa quale mezzo si usi per fare informazione. Altro aspetto: c’è stato un inflazionamento, con il conflitto in Ucraina, del corrispondente di guerra, per molti è diventato una passarella per farsi notare, in alcuni casi con successo in altri meno. Credo che il lavoro di un corrispondente di guerra si valuti sul medio periodo, vedremo se per alcuni ci sarà la conferma del buon lavoro svolto o se si è usato un conflitto solo per crearsi un personaggio ed un ruolo. Altro fattore è la preparazione, l’infowar può creare trappole ed ecco perché è importante studiare prima di partire per conoscere al meglio dove si va. Capire tutto è impossibile ma avere un importante infarinatura è fondamentale per evitare elementi che possono sviarti ed indurti in errori che poi paghi al momento della firma del tuo reportage. Ultimo elemento, il giornalista di guerra deve essere molto sobrio nelle descrizioni, esasperare fatti che sono già esasperati di loro come quelli di una guerra è un qualcosa, a mio parere, che non deve essere fatto al fine di non accanirsi su una situazione già drammatica. Riportare con lucidità si ed astenersi il più possibile da commenti se non esplicitamente richiesti, altrimenti non è più news ma è views. L’obiettivo è dare al lettore strumenti per poter lui stesso giudicare.
Grazie ancora per il tuo prezioso tempo.
Grazie a voi