Abbiamo incontrato Paola Concia, già deputato del Pd, una lunga storia di militanza politica, una vita trascorsa a lottare per i diritti civili, ma senza posizioni polarizzate o ideologiche. Oggi Paola coordina Didacta Italia, la più importante fiera al mondo sull’innovazione della didattica.
Sei a capo del comitato organizzatore di Didacta Italia, occupandoti di advocacy e policy per la didattica. Hai fortemente voluto portare in Italia questa importante fiera?
Sì. Nel 2014 sono andata a vivere in Germania, a Francoforte, e lavoravo alla Camera di commercio italiana per la Germania, ITKAM, mi occupavo di attrazione di investimenti in Italia. Venne da me l’amministratore delegato di Didacta Germania e mi disse che voleva portarla in Italia, per la prima volta uno spin-off all’estero. Siamo quindi arrivati a Firenze ma questo l’ho fatto prima di diventare assessore per due anni. È stata una bella esperienza quella di Assessore, molto istruttiva, ma dopo quel biennio ho chiuso la mia esperienza politica.
Nel nostro paese abbiamo per la prima volta una donna a capo dell’esecutivo. Come valuti la postura della Premier Meloni? Sia in generale che dal punto di vista comunicativo, dell’approccio e della capacità di coinvolgimento…
Ritengo che sia autenticamente Giorgia Meloni, cosa che le viene rimproverata da chi la contrasta, e che porta avanti con determinazione la sua idea di società, che non è la mia, ma ha le idee chiare. È una conservatrice, cosa che rivendica. Rispetto alla sua squadra di governo, ha una tenuta alta e svetta rispetto agli altri ministri, come è giusto che sia. Oggi, ad esempio, in Germania, l’attuale Cancelliere non svetta, e questo è un problema.
Difficile svettare dopo poco più di un ventennio di Merkel…
Io sono una merkeliana, la cosa è nota. Nel lontano 2009 feci un’intervista doppia con mia moglie che non è pro-Merkel. Oggi, comunque, in Germania abbiamo questo problema, Scholz, per dirla alla romana, è “sor tentenna”.
Per chiarire: una donna di sinistra come te, femminista ma non populista, omosessuale e che ama la libertà come fulcro della sua realizzazione personale e professionale, come spiega il suo essere merkeliana?
La grandissima autorevolezza, l’enorme capacità politica e l’essere “democristiana”, per lei la capacità di mediazione era tutto, ha fagocitato la sinistra per molto tempo. Ha diretto tre grandi coalizioni. Come l’SPD lanciava una proposta politica, lei la faceva sua, tra cui la legge sul matrimonio omosessuale, che considero un capolavoro politico. Amavo la sua ossessività nella ricerca dell’incontro con l’altro, della sua sobrietà, con un’ironia speciale. Vivendo qui la vedevo all’opera e ho sempre apprezzato molto la sua capacità politica. Un libro molto interessante che inquadra la sua figura è quello di Tonia Mastrobuoni, “L’inattesa”. Alle riunioni internazionali racconta che teneva tutti svegli fino alle quattro di notte e poi otteneva i risultati, sfinendoli. Oggi la Germania non ha più questo tipo di leadership e lei appare pochissimo anche in pubblico. In quel momento storico, Merkel ha salvato l’industria tedesca, mantenendo basso il prezzo del gas, venendo addirittura soprannominata “Mutti” (Mamma). Questa è una mia opinione: credo che Putin abbia attaccato l’Ucraina proprio quando la Merkel non c’era più: lei aveva, seppur conflittualmente, un “rapporto” con lui, si parlavano. Perciò, se mi chiedi chi è una politica da ammirare dico chiaramente lei. Non ho avuto grandi passioni né in Italia, né in altri luoghi: la Merkel è la donna politica per eccellenza, un grande punto di riferimento.
Tornando invece alla nostra attuale Presidente del Consiglio?
Quando vedo che va all’estero e incontra “i grandi” sono comunque contenta perché è una donna, sono felice del fatto che finalmente questo paese abbia rotto questo tabù, come l’ha rotto poi Elly Schlein. So che questa affermazione fa storcere il naso a molte mie amiche femministe, ma mi sono sempre concessa la libertà di guardare oltre. Lavorare perché la vita delle donne nel nostro paese sia migliore, che le bambine possano avere qualsiasi ambizione è un compito di tutta la società. A prescindere dalle posizioni, che al potere in Italia ci siano due donne, è un fatto positivo, aprirà altri varchi, esattamente come è accaduto con Angela Merkel.
Parlando di quest’ultima: ha questa intenzione di fare una sinistra con il campo largo. Non credi che così corra il rischio di continuare a mancare l’appuntamento con questa rottura della campagna elettorale permanente per poter contribuire al governo del Paese, facendo opposizione? In altre parole, il PD non rischia di abbarbicarsi nel populismo del Movimento 5 Stelle, così da rischiare di diventare inesistente e insignificante?
Certo che corre il rischio, eccome. Su Schlein voglio dire una cosa: sono altrettanto contenta che una donna giovane sia diventata segretaria del PD. Anche lì si è rotto un tabù, come per Meloni. Vorrei che il PD uscisse una volta per tutte dalle secche e avendoci militato per trent’anni è quello che auspico. Nelle democrazie, l’opposizione forte e propositiva è importante e, spesso, fa il bene del paese. Una considerazione politica, però: le persone che sostengono oggi Schlein sono le stesse che mi hanno fatto fuori dal partito e qualche riserva ce l’ho. Improvvisamente hanno aperto tutti gli occhi sui diritti civili?
Credo, comunque, che se l’opposizione si abbarbica e dice “no” praticamente a tutto non può funzionare e non è efficace. Mi auguro che Schlein con tutto il PD non vogliano diventare massimalisti e che continuino a lavorare a un’idea di società alternativa a quella del centro-destra, che possa poggiare su gambe solide ed efficaci così da proporsi agli italiani come una valida alternanza. Bisogna convincere gli italiani e le italiane in questo maledetto tempo in cui le ricette facili e populiste imperversano, ma non risolvono i problemi. D’altro canto ritengo che il Movimento 5 Stelle sia stato un grave danno per questo paese e siano l’emblema del populismo di sinistra. Avvicinarsi alle proposte del Movimento non credo sia una scelta oculata, perché il populismo non ha quelle gambe solide di cui parlavamo prima, ma c’è più un’idea velleitaria e poco chiara.
I diritti civili, comunque, credo che debbano essere parte di un orizzonte comune, che unisca da sinistra a destra, ma questo in Italia, purtroppo, non succede più. Ci ho provato quando ero parlamentare, coinvolgendo, tra i tanti, Meloni, Fini, Carfagna, Perina, Bernini, Sisto, e provando a far capire che i diritti civili non sono proprietà di una parte del Parlamento, ma che sono terreno comune di una società civile. È stata l’ultima volta in cui ci provammo e devo dire che la sinistra non mi ha mai perdonato l’aver coinvolto, o meglio, provato a “responsabilizzare” una parte della destra, con cui cercavamo di far sì che ci potessero essere delle convergenze su tematiche riguardanti dei diritti civili su cui fare passi avanti. C’è riuscito Renzi con la legge sulle unioni civili, che è stata l’ultima volta in cui si è riuscito a far questo.
In quel momento Renzi era Presidente del Consiglio e immagino ci sia stato qualcun altro del PD che non l’ha digerita questa cosa…
No, chiaro. C’è da dire che, di certo, quella legge aveva dei limiti, era parziale, per esempio non prevedeva la step-child adoption, ma devo dire che lui, alla fine, ci riuscì e mi chiamò per farmi tornare un periodo a Roma. Sapeva che avevo ottimi rapporti con alcuni liberali del centro-destra. Il fine era quello di coinvolgere e unire le falangi di destra su questo tema per portare a casa questa legge. Oggi siamo tornati indietro, i diritti civili sembrano solo e soltanto appaltati alla sinistra e non si fa nessun passo avanti. Non funziona, Merkel docet.
Visto che lo abbiamo citato: Renzi ha chiaramente un problema di considerazione politica e alla luce di ciò che hai detto, come credi che debba agire per essere il federatore di liberali e riformisti?
Dare consigli a Renzi è molto complesso e, forse, il suo più grande limite è proprio quello di non lasciarsi consigliare. È sicuramente un politico che ha grande visione, poi come mette a terra le cose è sempre da valutare, soprattutto riguardo le ultime scelte fatte. Penso che la sua grande capacità politica, ad esempio, non sia la stessa di Calenda che, ritengo, non mastichi politica proprio benissimo. Lui e la politica sono mondi che fanno fatica ad incrociarsi, si offenderà, pazienza. Di certo esiste una parte di paese che rifiuta il populismo e il massimalismo, tra tutti i ceti sociali, a destra come a sinistra. Il dramma del nostro tempo è proprio il populismo all’interno delle democrazie, divenute così più deboli. Quello di Renzi è un progetto legittimo, ma deve avere, al contempo, maggiore capacità di coinvolgimento. Creare un centro alle Europee è giusto, ma credo serva creare un’alleanza più ampia possibile. Non so poi, alla fine dei conti, quanto peso elettorale avrà, anche se sarà “più facile” alle prossime Europee essendoci il proporzionale, ma dipende quanto questa estrema polarizzazione (o l’assenteismo) possa (o meno) danneggiarlo.
Dalla crisi della democrazia agli scontri geopolitici, la guerra in Ucraina e la crisi economica. L’Europa in mezzo a due giganti – Cina e USA – dovrebbe crescere. E va in questa direzione l’invito della Von Der Leyen al Presidente Mario Draghi di collaborare al documento sulla competitività europea. Il Presidente Draghi ha sempre investito sulla necessità per l’Europa di essere capace di confrontarsi ad armi pari con i giganti.
È abbastanza lapalissiano che sia una cosa in cui dovremmo investire tutti, ma allora perché tanta resistenza e mancanza di visione strategica sia da parte di frange del centro-destra che dal centro-sinistra? Basti pensare al Movimento 5 Stelle che ha fatto cadere Draghi…
Leggendo l’intervista all’Economist, Draghi è stato molto critico nei confronti dell’Europa. È necessario un cambio di marcia. Ha esplicitato questo nodo parlando soprattutto dei problemi riguardanti il patto di stabilità e nuove regole che l’Europa deve darsi. Per questo Von der Leyen l’ha chiamato e, credo, legittimamente. Draghi ha ben chiare le idee su cosa bisogna fare in Europa e può dare un grandissimo contributo, perciò bene così.
Concludiamo con un domandone: forse uno dei bisogni primari e necessari dell’educazione scolastica in Italia è quello che, senza alcuna polemica, i professori stessi ricominciassero a studiare? La tua proposta per il miglioramento della scuola pubblica italiana?
Sono sette anni che mi occupo di queste cose con Didacta Italia e sono in contatto stretto con moltissimi innovatori. Ho un contatto diretto e proficuo col ministro Valditara, come con tutti gli ex ministri -gli altri sei, uno all’anno, dato che ci fa capire l’indice di instabilità politica del nostro paese – hanno avuto un ottimo rapporto con Didacta Italia. Le due grandi questioni che la scuola sta attraversando sono i problemi legati ad una vecchia concezione di didattica esclusivamente “trasmissiva” e gli ambienti di lavoro non possono più essere soltanto la lavagna, il banco, quelli su cui hanno studiato generazioni e generazioni. Ci sono tante scuole in cui esiste già un principio di rivoluzione e innovazione in questo senso. Le connessioni e le intersezioni tra saperi, inoltre, sono fondamentali e questa divisione deve essere superata, come anche l’intelligenza artificiale che deve necessariamente far parte dei nuovi modelli educativi. Questo non significa che basta avere i tablet a scuola: lo strumento in sé, da solo, non cambia le cose. Perciò le tecnologie sono strumenti per raggiungere risultati e cambiare la scuola secondo quegli obiettivi detti in precedenza.
L’altra grande questione è il rapporto tra scuola e il mondo del lavoro: sono due mondi che devono comunicare, e questo non vuol dire che il lavoro deve entrare a gamba tesa nel mondo della scuola, bensì che quest’ultima abbia le capacità per costruire le condizioni affinché gli studenti, una volta usciti, possano intraprendere e ricercare i propri talenti, le proprie attitudini, i propri desideri e ambizioni, mettendoli in condizione di realizzare se stessi in qualunqueprogetto professionale. Il grandissimo problema resta, comunque, quello dell’ascensore sociale: oggi è bloccato, e impedisce ciò che giusto fino a due generazioni fa si poteva fare. Oggi solo se nella tua famiglia hai un genitore laureato puoi pensare di avere successo e questo non è possibile e Valditara sta lavorando molto sulla povertà educativa, soprattutto al Sud, cercando di riunificare l’Italia da questo punto di vista.
In Germania, invece, il legame tra mondo del lavoro e scuola è molto stretto e hanno una soglia di disoccupazione giovanile molto bassa, questo, ritengo, sia un modello vincente.
Chiudiamo con una potenziale nota positiva: qual è la cosa più bella, nel breve-medio periodo, che ti augureresti per la scuola italiana?
Il mio grande desiderio è che riparta l’ascensore sociale. Che il destino di un ragazzo o di una ragazza non sia legato a doppio filo con l’estrazione sociale della famiglia di appartenenza. Mi piacerebbe, inoltre, che le innovazioni della didattica non siano a macchia di leopardo, ma che questo tipo di crescita sia più omogenea in tutto il territorio nazionale. Cerchiamo di fare proprio questo con Didacta Italia, con le fiere in Toscana e in Sicilia. Questo comporta, ovviamente e necessariamente, nuovi investimenti e la formazione degli insegnanti per realizzare questi obiettivi.
Grazie Paola, buon lavoro!
Grazie a te.