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Matteo Corradini: «Sono un romano poco romantico»

Matteo Corradini è quello dei videogiochi, uno dei tre dei The Pills, quello della calata romana nelle battute, quello di Giardinetti e questo spaccato della sua personalità è sotto gli occhi di tutti. 

Parlandoci abbiamo cercato di andare oltre ciò che emerge in superficie, gli abbiamo chiesto qualche aneddoto per comprendere meglio da dove partono le sue passioni e come un ragazzo della periferia sia riuscito a fare delle sue stesse passioni un lavoro vero e proprio. 

Ciao Matteo e benvenuto su 2duerighe, partiamo subito con una tua passione: i videogames, da dove nasce questa passione che ancora oggi accompagna la tua quotidianità? 

Tutto parte dal 1993, avevo otto anni, figlio unico e cresciuto in periferia, un posto in cui non c’erano chissà quali punti di aggregazione se non la strada. Ed io non ero proprio uno “street kid”. 

Non avendo un fratello chiesi ai miei inizialmente un cane, ma lavorando entrambi, i miei genitori sapevano che avere un cane vuol dire dedicare tempo che non si ha per accudirlo. Quindi non era una soluzione fattibile per ovviare alla mia solitudine. 

Un giorno in TV passa la pubblicità di Gerry Calà, quello del Sega Master System II…una pubblicità fantastica, quindi al posto del cane mi comprarono una delle primissime consolle Sega. 

L’epopea è partita da lı,̀ ricordiamoci che poi non esisteva Internet, quindi i videogames erano un modo per evadere dalla quotidianità. Durante le scuole ero già certo che questa passione mi avrebbe accompagnato anche in età adulta, ed effettivamente cosı̀ è stato. 

Con i videogames sono inoltre riuscito a lavorarci come “narrative designer”: ho un podcast che si chiama “Ingiocabile”, verticale su giochi magari difficili o introvabili. 

Parliamo di lavoro in generale, in questo momento a costa stai lavorando?
Sto lavorando ad un talent show, la redazione e gli autori sono un team fantastico. E’ un’esperienza fichissima ed ho sfatato un mito: le grandi produzioni non stressano le persone che ci lavorano. Quest’esperienza si sta dimostrando un’ottima palestra di team working, è la prima volta che mi approccio a lavorare con più persone da questo punto di vista. 

I miei colleghi sono persone consapevoli di ciò che stanno facendo, professionisti con anni di lavoro alle spalle ma allo stesso tempo con un’umanità che non sempre è scontata… anzi. 

Dispensano consigli che accrescono il mio bagaglio lavorativo, mi aiutano insomma ad affinare la tecnica e di conseguenza a crescere ed è quello che comunque cercavo. 

Andiamo su “The Pills”, come siete atterrati sul Tubo? 

Dodici anni fa, noi siamo arrivati nel perfetto punto di collisione, inconciliabile tra TV e intrattenimento sul web. C’è stato un momento storico dove tutto girava in televisione ma stava nascendo una rete alternativa su internet, qualitativamente magari inferiore per mancanza di denaro. Sul tubo ci siamo arrivati perché era un “posto d’espressione libero” e per alcuni versi lo è ancora adesso, ma quando abbiamo iniziato noi era davvero una sorta di terra franca.
I ragazzi di oggi sono molto più svegli da questo punto di vista, hanno anche più mezzi a disposizione, noi avevamo solo quello…nella pratica è il Tubo che è venuto da noi per soddisfare quelle che erano le nostre esigenze. 

Sei un lettore? 

Poco ma leggo. Ho un problema: sono un onnivoro di media. Consumo una quantità assurda di media: film, serie, fumetti, libri, dischi…la conseguenza negativa è che magari succede di andare in dispersione, magari leggo mezzo libro poi inizio una serie ma allo stesso tempo mi capita di andare in fissa per un podcast e mi chiudo su quello.

I libri sono un sesto dei media che consumo: recentemente ho letto un libro di Stefano Nazzi che poi ho anche presentato. Oppure Il mio amico, Hitler di Yukio Mishima per farti un esempio, si tratta di tutte le sfaccettature, che possano piacere o no, di Mishima in meno di cento pagine. 

Rimanendo in Giappone, ti posso dire che leggo davvero tanti manga e li cerco con un fare ed una ricerca quasi maniacale. Mi cerco davvero anche quelli più particolari e forse faccio fatica ad adattarmi alla concezione classica di libro perché magari non ho nemmeno le influenze giuste. 

Ti faccio un esempio: tempo fa ho letto Flatlandia. Un libro considerato per bambini ed invece per me è un capolavoro, ma il nodo è come sono arrivato a leggerlo: attraverso un videogame che si chiama Fez.

Un gioco 2D che però ad un certo punto “crasha” per poi, riaccendendo la Play, trovarti nello stesso gioco in 3D…quella è Flatlandia. 

Non ti chiedo qual è il tuo film preferito ma ti chiedo quale B-Movie italiano ti è piaciuto di più.
Chicken Park, un capolavoro…una cosa incredibile anche se sono dieci anni che non me lo vedo. 

Quando hai capito che dalle tue passioni potesse nascere un lavoro? Ricordi quel momento?
Ci tengo a dire una cosa: non è mai arrivato quel momento o forse non c’è un momento preciso, cosı̀ certo. 

Facemmo il video su Fabio Volo nel 2012 ad esempio, dopo due ore aveva circa ventimila visualizzazioni…ecco in quel caso facemmo un po’ “fermi tutti, perché sta roba non sta girando solo tra i nostri amici?”.

Capii che magari poteva diventare qualcosa, ma non addirittura il mio lavoro. Per far sı̀ che ciò avvenga devo continuare ad acquisire skills, sto continuando a studiare per far sı̀ che quell’obiettivo fissato nel 2012 diventi veramente professionale.
Senza nulla togliere agli youtuber, per diventare davvero professionale, per come intendo io la parola “professionale”, devi lavorare in ambienti televisivi e simili altrimenti rimani in un punto fermo. 

“Quando si scherza bisogna esse seri”, frase di Alberto Sordi, cosa ne pensi di quel filone romano?
Non sono un amante di quella wave, con gli altri dei “The Pills” stiamo portando avanti una campagna totalmente iconoclasta verso la Roma degli ultimi trent’anni, lo ribadiamo in tutte le interviste. 

Basterebbe leggersi Remoria di Mattioli (ne ho lette 150 pagine per dirti) per capire meglio cosa intendiamo, io mi sento romano del raccordo non del centro. 

Il mio monumento è la Vela di Calatrava, è bella perché ti racconta tutta l’estetica di una Roma diversa, racconta un fallimento, lo spreco di soldi, la speranza mal riposta. 

Il Colosseo, l’Impero… affrontare tutto con questo fare romano, con il sorriso, non mi rappresenta, non la sento un mio modo di fare. Preferisco stare tra gli ultimi ma non per partito preso. La mia storia è un’altra, non è quella.
Da piccolo i miei non mi portavano al centro, a Trastevere a sedici anni ci sono andato da solo perché stava comunque a quaranta minuti da casa nostra…magari con i miei andavamo a Frascati ed è comprensibile. 

Tra Villa Borghese e Parco degli Acquedotti, per me è normale che preferisco il secondo…nel primo c’è tutto quell’ideale turistico che faccio fatica a digerire per quanto sia bellissima Villa Borghese, ma è tutto ciò che ci ruota intorno che trovo lontano dal mio essere romano. 

Non sono un romano romantico. 

Rimaniamo su Roma: tre posti che porti nel cuore 

I pratoni di Tor Vergata e chiaramente l’Università, era uno spazio fico, poi il materiale umano che potevi incontrare era magari opinabile… questo si. Ricordo lezioni in Università alle nove di mattina con tipe che sembravano appena uscite dal Palacavicchi (noto locale della periferia romana, ndr.). 

A Tor Vergata, per quanto non sia d’accordo con il sistema universitario italiano attuale, ho avuto modo di studiare con ottimi professori. Era un posto dove magari ci andavo anche a giocare a pallone o a farmi le prime canne…in un angolo di borgata, esisteva questo piccolo Eden vagamente migliore che ci ha regalato tanto. 

Cito Arco di Travertino per due cose: il kebabaro e l’Extra Ball. Ho preso papà pochi anni fa e ricordo le domeniche pomeriggio in cui lui mi portava lı̀ per giocare, mentre si sedeva al bar vicino e si ascoltava le partite…ed è un ricordo bellissimo. 

Ultimo posto: il complesso scolastico a Ponte Lungo in cui ci sono l’Augusto e il Russell.
Io feci due anni di liceo all’Amaldi di Tor Bella Monaca, un posto dove a ricreazione ti trovavi i coatti che tentavano di bullizzarti nonostante non fossi nemmeno un secchione. 

Non riuscivo davvero a trovare il mio posto in quell’ambiente, in secondo fui bocciato e andai al Russell, un liceo linguistico, non dovrei dirlo ma essere bocciato è stata una cosa che mi ha fatto bene. 

Cambiando posto ho visto una realtà socialmente diversa, mi sono aperto tantissimo e per quanto assurdo benedico quella bocciatura. 

Ho tanti amici in quella zona: Luigi Di Capua è di lı,̀ Valerio Lundini idem…ho conosciuto persone che hanno fatto parte della mia vita e lo sono ancora oggi. 

In questo blocco aggiungo anche Via Sannio, per me, che venivo da Giardinetti, vedere nel 2000 i punk metallari fu una novità assoluta…totale effetto wow.
Sono stato e sono ad oggi un attento osservatore di tutte le sottoculture, voglio sapere tutto ciò che fa parte del mondo nel quale vivo sia sul web sia nella realtà. 

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