Nel 2023, in un momento in cui blog e testate “spuntano come funghi” cosa vuol dire fare il giornalista?
Quello del giornalista è diventato un mestiere difficile, che è sopravvissuto all’epoca del piombo. Purtroppo, oggi i giornali sono spesso soppiantati da tante altre forme di comunicazione, di cui bisogna prendere atto. Oggi nel mare magnum della comunicazione, delle notizie strampalate e dei deep-fake, il lettore è disorientato oppure menefreghista.
I giovani non leggono più, non approfondiscono. Ci vorrebbe nelle scuole una materia di “educazione alla lettura”, per capire la differenza tra un’informazione corretta e una scorretta.
Il quotidiano, per salvarsi, dovrebbe “settimanalizzarsi”, includendo più interviste e approfondimenti su temi importanti.
Al contempo devo dire che ci sono molti ragazzi che vogliono avvicinarsi al mestiere. Il giornalista nasce come persona curiosa, che vuole vivere le vicende di cui si occupa.
È un lavoro specifico e non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Quando è nata in te l’idea di diventare giornalista e quando effettivamente ti sei reso conto che quella strada era possibile?
Parliamo oramai della notte dei tempi. Io sono stato “giornalista puro”, perché arrivo da una famiglia di medici. Ma io non ho mai avuto una grandissima passione per la medicina.
Siccome mi piaceva lo sport (ero un “atletino”), seguivo tutto.
Ho cominciato a scrivere in un giornale locale (La Sentinella del Canavese di Ivrea), poi sono approdato alla Gazzetta del Popolo, erano gli anni ‘70, altri tempi. Negli anni ‘80 sono andato a Tuttosport. Penso di essere l’unico che ha fatto recensioni su eventi calcistici di tutte le categorie possibili e immaginabili.
Poi per 5 anni sono stato corrispondente del Corriere della Sera e nel 1987 sono stato assunto dal TG1. Infine, sono andato a Roma, poi a Rai Sport fino alla pensione.
Venendo ai giorni nostri, qual è invece una figura sportiva contemporanea che ti piacerebbe intervistare oggi?
Mentre una volta si andava al ristorante e si stava con tutti i giocatori, oggi le TV non possono neanche filmare un allenamento. Il giocatore puoi vederlo semmai in un privé di una discoteca, più che poterlo intervistare.
C’è una sorta di disarmo della classe giornalistica. Le partite si seguono in TV e lo stesso vale per le interviste: di personale non c’è più niente.
Per esempio, con Mourinho ho passato dei bei momenti. Nel 2010 ho seguito tutta l’Inter, e quando ha vinto, prima di andare in conferenza stampa, Mourinho è venuto nel mio studiolo.
Oggi il solo fatto di dover chiamare l’ufficio stampa della Roma per intervistarlo, non avendo più una testata, è impensabile, ma lo farei con piacere.
Quale sarebbe il tuo consiglio spassionato e secco a chi si affaccia oggi al mondo del giornalismo ed entra per la prima volta in redazione?
Quello di divertirsi, di crederci, ma di fare sempre anche un’altra cosa (questo lo dice sempre Bruno Vespa). L’importante è avere passione, ma fare anche qualcosa che ti permetta di vivere meglio, anche perché gli stipendi sono quelli che sono.
Bisogna anche avvicinarsi ai nuovi mondi della comunicazione: Internet, i blog, i giornali online, i podcast. Poi se si riesce ad entrare in qualche giornale o TV, meglio ancora.
La comunicazione c’è stata, c’è e ci sarà in futuro. Cambierà nei mezzi, ma il mondo del giornalismo sarà sempre importante, specialmente per la classe politica. Il giornalismo e l’informazione sono indispensabili per la vita e lo sviluppo di uomini e società.