Ciao Simone e benvenuto su 2duerighe.com, partiamo dalle domande di rito, com’è nato l’amore con la filosofia?
Un’estate, avevo 15 anni, mi sono portato in vacanza, all’isola d’Elba, un’edizione tascabile di alcuni dialoghi platonici. Al mattino prendevo lezione di Windsurf, al pomeriggio leggevo Platone tra una nuotata e l’altra. Questo è stato l’inizio, poi negli anni del Liceo ho letto Sartre, Kant, Heidegger, Derrida e ricordo anche alcuni libri di Cacciari.
Dalla filosofia in generale al particolare: il primo filosofo che ti ha colpito e perché.
Platone è stato il primo amore, e come ogni primo amore ha lasciato in me un segno indelebile. Non che capissi tutto di quello che leggevo, anzi. Ma sentivo che la fatica che facevo nel comprendere Platone piano piano mi permetteva di accedere a qualcosa che non avevo mai pensato. Era un vero e proprio rito di iniziazione a un altro mondo.
Allievo di un peso massimo quale Jacques Derrida. Sei stato autore de “Jacques Derrida. Il desiderio della scrittura”, non ti chiederò nulla riguardo il suo pensiero, la domanda invece è: umanamente il suo insegnamento cosa ti ha lasciato?
Disciplina, coraggio e libertà radicale. Alla scuola di Derrida ho appreso questo: che dovevamo avere il coraggio di prenderci qualsiasi libertà, che potevamo sperimentare tutto, che potevamo sfidare tutti i guardiani del pensiero, perché la filosofia è questa libertà radicale di interrogazione senza padroni. Ma per farlo dovevamo studiare molto più degli altri, prepararci a fondo, in poche parole aspirare a essere i migliori.
Da una passione divenuta con il tempo lavoro ad un hobby che con il tempo è ormai un elemento costante delle tue giornate: le Arti Marziali. Quando e perché hai iniziato?
Dico subito che non amo la parola hobby. Un’arte marziale è un modo di concepire la vita, una postura esistenziale. Per me filosofia e arti marziali sono due modi diversi e complementari di dare forma a se stessi, provando ogni giorno a migliorarsi, a elevarsi. Ho iniziato a praticare Arti Marziali da ragazzino, a 7 anni, con lo Yoseikan Budo. Ero un bambino timido e sovrappeso e i miei genitori hanno pensato che un po’ di arti marziali mi avrebbero aiutato. Avevano perfettamente ragione. Quegli anni sono stati importanti per darmi sicurezza. Poi, più avanti, ho praticato un po’ di kickboxing e da quando mia figlia, all’età di sei anni, ha iniziato il percorso nell’arte tradizionale coreana del Hwa Rang Do, l’ho seguita in questa nuova via marziale che non conoscevo. Pratico ormai da più di cinque anni e a breve darò il mio esame per cintura nera primo dan di Tae Soo Do.
Ho sempre pensato che insegnare è una vera e propria arte, ogni professore ha una sua metodica, spesso e volentieri è dalle lezioni in aula che l’alunno getta le basi per una relazione con la materia d’apprendimento, duratura o corta che sia. Sei stato da una parte e dall’altra di quella cattedra, qual è l’ingrediente segreto per far innamorare i tuoi alunni della filosofia?
Fare sentire loro quanto la amo e far capire che per ciò che si ama bisogna essere disposti a faticare, a lottare. Per me una lezione non è mai la “spiegazione” di qualcosa, ma è un corpo a corpo con dei giganti del pensiero che ci mettono in difficoltà, ci fanno scoprire cose inedite, ci gettano a terra, ci fanno vedere il mondo da altri punti di vista.
Quale errore invece non va assolutamente fatto?
Banalizzare, offrire scorciatoie, riducendo la filosofia a qualche nozione da trasmettere perché se la ricordino all’esame. Tutto questo non lascia traccia, solo la presunzione di sapere qualcosa.
Non siamo qui a mettere benzina sul fuoco, né a riaprire discussioni quindi senza scendere nel particolare: hai avuto modo di chiarirti in privato con Roberto Burioni?
Sì, certo! Ci siamo scritti e ci scriviamo ogni tanto. Diciamo che è stato un bel match, ma poi ci siamo stretti la mano. Non bisogna avere paura del conflitto, ma saperlo gestire.
Nel 2022 è uscito “Oceano” per Ponte alle Grazie, bolle già qualcosa in pentola per il futuro?
Sì, in questo momento sto lavorando a un libro in apparenza singolare ma per me assolutamente necessario: un libro che legge in parallelo Muhammad Ali e Platone. Dovrebbe intitolarsi Platone, Ali. Sport e filosofia. Leggo in parallelo le biografie di questi due giganti mostrando, da un lato, come sport e filosofia abbiano più cose da dirsi di quanto non si pensi, dall’altro che l’idea greca di allenamento della vita per aspirare all’eccellenza ha molto da dirci, soprattutto oggi, quando
lo sport preferito, anche tra certi filosofi, sembra essere quello di trovare alibi per rendere confortante la nostra mediocrità. Ali e Platone ci spronano a essere migliori il più possibile.
Negli ultimi anni si è spostata di molto l’attenzione su Nietzsche, secondo te è solo una parentesi o c’è un reale fenomeno sociologico?
Nietzsche resta, ai miei occhi, il pensatore che meglio di altri non solo ci permette di capire lo spirito del nostro tempo, ancora tutto preso nella crisi del modello rassicurante della modernità, ma che è in grado di tracciare delle vie di fuga. Nietzsche ci manda lettere dall’avvenire che dobbiamo ancora terminare di decifrare.
Sul personale: ultimo libro letto ed uno che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
L’ultimo libro letto (o meglio: che sto terminando proprio in questi giorni) è la biografia del grande scrittore americano Philip Roth, edita in Italia da Einaudi. Per il consiglio, scelgo un’altra biografia letta di recente, ma che non è stata tradotta in italiano: la bellissima biografia di Ronda Rousey, My Fight Your Fight
Ultima domanda prima dei saluti: uno scrittore sottovalutato ed uno sopravalutato del panorama letterario italiano.
Sopravvalutato direi Carofiglio, sottovalutato Antonio Franchini.
Grazie mille per il tuo tempo ed in bocca a lupo per i progetti futuri.
Grazie a voi.