Ottocento e passa pagine tra luoghi, personaggi, icone e miti che hanno segnato la storia. Il timone di questo interessantissimo viaggio lo tiene saldo tra le mani Stenio Solinas, ogni paragrafo è un porto dove il lettore è libero di scendere o di rimanere a bordo in attesa che la nave riparta per un nuovo luogo da esplorare. Il mio consiglio è di scendere ad ogni tappa, di farlo con calma e di godersi a pieno la lettura. L’errore principale nel recensire un’opera del genere è di finire in un elenco di nomi e di citare magari quelli più conosciuti al fine di catturare qualche like lasciando in disparte quelli meno noti (spesso più affascinanti) quindi la miglior cosa venutami in mente è…parlare direttamente con Stenio Solinas.
Ciao Stenio benvenuto su 2duerighe.com, ti ringrazio per la disponibilità e non perdo tempo: com’è nata l’idea di questa pubblicazione e in base a cosa hai scelto gli argomenti trattati?
Iniziando dagli anni 50, in poche pagine riesci in un’impresa non da poco: far rivivere degli spaccati di quotidianità tra le pagine dell’atlante.
C’è un ricordo preciso di quel periodo che ricordi come fosse ieri?
Ce ne sono tanti, un ristorante fuori Roma dove a volte si andava di domenica, Settevene si chiamava, con un grande camino, la brace…La prima comunione, il primo amore…Sono lampi, niente di più. Più in generale, il ricordo, la memoria è una costruzione intellettuale, ha bisogno di stimoli e insieme di elementi concreti. Ti capita di passare davanti a un palazzo, una chiesa, un giardino e di colpo ti piomba addosso il bambino che eri, di cui avevi dimenticato l’esistenza.
Agnelli: finendo il paragrafo dedicato ad una delle famiglie più illustri d’Italia per la prima volta non mi è venuto in mente né l’impero targato FIAT né lo strapotere economico e politico degli Agnelli bensì l’idea di una famiglia sì agiata ma perennemente tormentata a causa di eventi poco felici, hai messo in luce la loro umanità. Inutile essere modesti, hai un dono di natura ed è quello di avere una scrittura originale, complicatamente semplice e sicuramente valida per ogni tipo di lettore. Come hai sviluppato questa dote?
Ti ringrazio, ma non credo sia un dono di natura, una predisposizione magari, ma nulla di più. Ho conosciuto, conosco, gente più dotata, nel senso della naturalezza, della facilità di scrittura intendo. La mia è una scrittura lenta, a cui è necessario tempo, attenzione e pazienza. Proprio per questo non è particolarmente lavorata, c’è poca differenza fra quella che ai miei tempi si chiamava “la brutta” e la sua ricopiatura “in bella”… Aggiungerei che per scrivere bisogna aver letto molto e soprattutto aver letto bene. Diffido degli scrittori di getto, perché sono scrittori pigri, rompono sull’andatura.
Rimanendo sugli Agnelli uno dei temi principali è la morte, parti da quelle della famiglia di Gianni per poi analizzarla a livello generale. Cos’è la morte per Stenio Solinas?
Mi viene in mente una bella battuta di Hélène Morand, la moglie di Paul Morand, donna intelligente e con grande uso di mondo. Al marito che invecchiando si atteggiava un po’ a filosofo stoico del tipo “c’è un’unica certezza, la morte”, aveva replicato: “Proprio perché è una cosa certa non mi interessa”… E’ insomma un argomento che ci riguarda tutti, ma che tutti ci sovrasta e per il quale non c’è risposta in grado di soddisfarci. Possiamo costruirvi intorno i castelli di carta intellettuali che vogliamo, ma oggi ci siamo e domani non ci saremo più. Punto. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di arrivarci il più vivi possibili, il che non vuol dire il più tardi possibile…
Torniamo al tuo libro, analizzi tante figure, luoghi e momenti storici; domanda a caldo: puoi aggiungere all’Atlante un luogo ed un personaggio degli ultimi sei mesi, chi inseriresti e perché.
Si fanno sempre scoperte e non si impara mai abbastanza. Facendo un po’ di scouting per una casa editrice a cui sono legato da sentimenti di amicizia, la Sette colori, mi sono imbattuto in uno scrittore spagnolo, Francisco Umbral, di cui ho caldeggiato la traduzione di un libro di memorie, La notte che arrivai al cafè Gijon. Collerico, rissoso, con una passione per l’arte e per la poesia, cinefilo e un po’ dandy nel senso buono del termine. Uno che mi sarebbe piaciuto conoscere.
Parlando di Roma, citi Silvio Negro annoverandolo come appartenente all’ultima stagione del giornalismo italiano di pregiata fattura. Negli ultimi anni la professione di giornalista è cambiata, hai avuto modo di vivere questo mutamento, penso sia oggettiva la questione che come categoria abbia perso qualità. Come si spiega questo “declino”?
Sul declino della professione c’è poco da dire, è sotto gli occhi di tutti. Se ti metti davanti a un’edicola e guardi chi compra un quotidiano vedrai che l’età è over 50, se non over 60, e insomma è una passione e/o un interesse da vecchi…Il fatto strano però è che non ci sia niente a sostituirlo. Alla televisione, la sera fanno la rassegna stampa di ciò che i giornali pubblicheranno la mattina dopo…
Sul perché, sarebbe un discorso troppo lungo. La carta stampata costa, ha troppi concorrenti nei nuovi media, fatica a reinventarsi, non ha un’imprenditoria all’altezza della sfida che i tempi impongono, e, ahimè, il livello medio dei giornalisti è basso: scrivono male, il loro orizzonte culturale è impiegatizio…Mi fermo qui, perché mi viene la nausea.
Hai diviso il libro in macro aree, nell’ultima parte diciamo che in più riprese ci parli di Medio Oriente sotto più sfaccettature. Non è assolutamente un segreto che sia una terra da sempre capace di affascinare l’Occidente, tra le righe fornisci spaccati e particolari capaci di catapultare la mente del lettore in un viaggio tra culture e terre lontane con una semplicità al limite del normale. Andiamo oltre le tua capacità di scrittura, la domanda vera è: qual è l’ingrediente segreto che ci porta ad essere così affascinati da queste terre lontane?
Non so se sia un ingrediente segreto. Più semplicemente, ma parlo per me, ciò che mi attrae è la diversità, il confrontarmi con l’altro e con l’altrove, il fuggire da ciò che non mi piace o che già so non mi piacerà, o che alle mie orecchie suona come risaputo. Naturalmente, c’è nel mondo una omologazione che ormai riguarda tutti, ma se si è attenti, se si ha voglia di sperimentare, se si vuole andare più a fondo nelle cose, c’è ancora spazio e tempo per stupirsi. E, se vuoi, per reinventarsi.
La tua opera è uscita per Edizioni GOG, le case editrici indipendenti sono l’ultimo
baluardo di libertà culturale?
I cosiddetti “piccoli editori” permettono a chi scrive di non sentirsi un bene di puro e semplice consumo, un usa e getta nel giro di una settimana, elemento tipico della grande editoria che vive quasi con fastidio il dover stare dietro all’autore pubblicato. “Ho stampato il tuo libro, cosa vuoi di più?”. Naturalmente, non parlo degli scrittori da bestsellers, parlo di chi crede che un libro non è per tutti, ha un suo pubblico ristretto, destinato però a non esaurirsi, a durare nel tempo, se il libro è di valore…Diffido di chi vende troppo. Le eccezioni confermano la regola.
Mi ricollego all’ultima domanda, stai lavorando ad un’altra uscita?
Per Sette colori uscirà Super Vagamondo: una nuova edizione, rivista e ampliata, di Vagamondo, uscito ormai quindici anni fa ed esaurito. Ci sono circa 300 pagine in più… Per Gog, uscirà invece Acquatica, che raccoglie due libri di argomento marino usciti anni fa e anch’essi esauriti, Percorsi d’acqua e Sulle orme di Chateaubriand, integrati con altri testi e sezioni, e insomma è un libro nuovo, anche qui 300 pagine di più: sono sulla via della monumentalizzazione di me stesso…Infine, Bietti ripubblicherà Compagni di solitudine.
Di completamente nuovo però non ho niente, se non un’idea, ma mi ci vuole tempo e ho purtroppo, ma anche per fortuna, altre cose da fare, il mio lavoro di giornalista, lo scouting di cui ho già parlato, eccetera, che di tempo me ne lasciano poco.
Libertà d’espressione e di confronto, da “uomo libero” non ti sei mai tirato indietro nell’esprimere i tuoi dubbi quando qualcosa non ti convincesse. Alessandro Baricco nel suo libro “The Game” ci racconta l’odierna rivoluzione digitale, la figura del rivoluzionario DOC è, a logica, quello libero da alcune ideologie novecentesche; inutile chiederti se ti trovi in linea con lui, costruttivo invece è domandarti perché non lo sei. Perché la rivoluzione digitale non mi interessa. Sono un analogico, uso il computer come una macchina per scrivere, non chatto, non facebookko, non watsappo, ho un cellulare che sembra quello di Paperino, mi piace la carta, il futuro non mi interessa e da esso non mi aspetto nulla di buono. Non mi interessa nemmeno essere del mio tempo, non credo nel progresso, nel senso che sulla condizione umana, sul senso del nostro stare al mondo, sull’idea di destino continuiamo a porci gli interrogativi che da sempre la filosofia si pone, dai Greci in avanti, insomma…La tecnica, se si vuole, ci ha facilitato la vita, ma non per questo è in grado di spiegarla…Come vedi sono una causa persa.