L’indagine è iniziata nell’estate 2013, mentre la polizia stava intercettando alcuni marocchini sospettati di un traffico di droga. Dalle telefonate emerse il particolare giro di affari nella casa penale. Scavando più a fondo si è scoperto che un gruppo di agenti era dedito, a fini di lucro ed in pianta stabile, ad alimentare e controllare un sistema illecito finalizzato all’introduzione in carcere di droga e materiale tecnologico: telefonini, schede sim, chiavette usb e palmari, che venivano consegnati ai detenuti ad avvenuto pagamento. Tra i presunti corruttori va menzionato anche l’avvocato Michela Marangoni, 51 anni, del foro di Rovigo, che si sarebbe servita di due suoi assistiti per gestire il “commercio”. Attraverso le perquisizioni, che hanno portato al sequestro di tutto il materiale rinvenuto, si è scoperto che fruivano di questi “servizi” anche i detenuti nelle celle di massima sicurezza.
Le 15 ordinanze di arresto, di cui 6 dirette ad agenti di polizia penitenziaria, sono state firmate dal Gip Mariella Fino, su richiesta del Pm Sergio Dini, e sono state eseguite da oltre 100 agenti delle squadre mobili delle città coinvolte nell’indagine denominata “Apache”: Belluno, Lecce, Matera, Napoli, Rovigo, Salerno, Torino, Trieste, Venezia, Varese, Verona, Vicenza.
Davide Lazzini
9 luglio 2014