Tra la pietra bianca e il mare cristallino, Gallipoli racconta oggi una storia diversa da quella che fu: la storia di una bellezza travolta dal suo stesso successo.
Nomen omen, la “città bella” è un labirinto di vicoli stretti e luminosi, cortili nascosti, chiese barocche e palazzi nobiliari che raccontano la lunga storia di un borgo marinaro che ha vissuto secoli di commerci, cultura e fatica.
Gallipoli però non è solo bellezza. È identità, è Sud, è quella parte d’Italia che ha imparato a trasformare la sua marginalità geografica in un punto di forza.
Eppure oggi questo gioiello è al centro di una metamorfosi profonda dovuta dal turismo, una trasformazione che, come ogni rivoluzione, ha portato con sé sviluppo, contraddizioni, conflitti e una domanda cruciale: fino a che punto si può crescere senza perdersi?
Negli ultimi vent’anni, Gallipoli è diventata una delle mete più ambite del turismo giovanile e balneare italiano. Grazie alla promozione del territorio, alla forza attrattiva dei social – e del passaparola – e al boom della Puglia come destinazione alla moda, la città ha conosciuto una mutazione senza pari, con l’apertura di nuove strutture ricettive, locali notturni, stabilimenti balneari e servizi di ogni genere.
A fronte di questo slancio, sono emerse però anche le crepe di un modello turistico sempre più aggressivo, come denunciato senza mezzi termini anche da Angelo Mazzone, fondatore di “Milano Segreta”, che ha parlato per la città salentina di “esperienze superficiali” e di un turismo omologato che “trasforma tutto in contenuto virale”, svuotando i luoghi della loro autenticità.
Gallipoli oggi deve affrontare una sfida cruciale a tu per tu con l’overtourism, ovvero quel fenomeno per cui il numero di visitatori supera la capacità di carico culturale, ambientale e sociale di un luogo: da ciò dipenderà il futuro turistico e residenziale del paradiso pugliese. Ne sono testimonianza le spiagge affollate fino all’inverosimile, la trasformazione del centro storico in una zona “balneare diffusa” e i prezzi alle stelle per servizi spesso giudicati inadeguati.
Sotto questo profilo l’amministrazione comunale, con lungimiranza, ha già tentato di reagire mediante provvedimenti volti a preservare il decoro urbano, seguendo la rotta già tracciata da esempi virtuosi come Venezia: da ultimo, l’ordinanza che vieta la circolazione in costume da bagno nel centro storico – con multe fino a 500 euro – è una delle varie misure adottate al fine di ristabilire un equilibrio tra libertà turistica e rispetto del luogo.
Queste scelte dell’amministrazione comunale hanno suscitato dibattiti accesi: da una parte c’è chi le ritiene giuste e necessarie per difendere l’identità del luogo, dall’altra chi le considera moraliste o punitive, soprattutto se non accompagnate da una vera e propria campagna educativa rivolta ai turisti.
Il caso di Gallipoli però non è isolato: l’overtourism è una sfida che molte città italiane – ma forse il mondo intero – si trovano oggi a fronteggiare, come appunto Venezia, che, ad esempio, ha introdotto una tassa d’ingresso per i visitatori giornalieri nel tentativo di ridurre l’afflusso incontrollato, riducendo contestualmente anche la capacità ricettiva, al fine di garantire un servizio esclusivo ma qualitativamente maggiore.
Nel frattempo, in senso opposto, si pensi al Roccaraso gate, per cui si assiste spesso all’esplosione di trend turistici che snaturano luoghi divenuti di tendenza, rendendo impossibile la vita di chi li popola, e pessima l’esperienza turistica di tutti, costretti a condividere angustamente uno spazio troppo piccolo per accogliere l’immensa ondata di visitatori.
Il futuro del turismo a Gallipoli dipende dunque da una scelta fondamentale: continuare a rincorrere numeri, feste e visibilità, oppure ripensarsi in chiave sostenibile e consapevole. La soluzione non è facile ma esiste, e passa da un turismo più lento, diffuso, rispettoso.
Gallipoli ha ancora il tempo e la forza per scrivere una nuova pagina della sua storia, ma per farlo dovrà ricordarsi che la sua vera ricchezza non sta nei numeri, bensì nella sua anima. E l’anima, si sa, non si svende, si custodisce.