Tra una data e l’altra del Belvedere Tour estivo siamo riusciti a fare una chiacchiera con Galeffi; da “Divano nostalgia” a Carrère Marco si è raccontato così:
Ciao Marco e grazie per il tuo tempo, iniziamo con una domanda di rito: perché e come hai iniziato a fare musica?
Al liceo ho iniziato ad appassionarmi alla musica. Mi piacevano tantissimo le band e volevo averne anche io una: ero fissato con i Beatles, i Blur, i Coldplay, gli Oasis… volevo assomigliare il più possibile ai miei “idoli”. Anche se al tempo non sapevo nemmeno suonare una nota della chitarra o un tasto bianco del piano, volevo a tutti i costi sentirmi come loro.
Passiamo al presente, a cosa stai lavorando in questo momento?
Ora sono in tour con il “Belvedere Estivo Live Tour” e sto scrivendo cose nuove, ma mi trovo ancora nella fase creativa, irrazionale. Quella che ha un po’ di sperimentazione, di “gioco”, no?!
In Inghilterra la chiamano la fase della “play music”, il giocare con la musica appunto e mi trovo proprio in questa fase. Credo sia comunque la parte più gioiosa del mestiere che faccio, in cui non entri ancora a stretto contatto con la discografica, il management… siete tu e il pezzo che sta nascendo, quindi praticamente non perdi mai. Se, di un pezzo che sto scrivendo, qualcosa non funziona, lo butto e lo rifaccio, senza molte pressioni esterne.
Quanto pesa Roma sulla tua musica?
Non lo so precisamente. Non parlo tanto di Roma (l’ho citata soltanto in un brano, che è Divano Nostalgia) ma tendenzialmente credo di vederla da un punto di vista della “luce” che mi dà. Roma è differente rispetto alle altre città e mi fornisce una visione diversa, unica. Un’aura in cui c’è del disincanto, della leggerezza (anche caotica) propria della città di Roma.
Momento curiosità, come nasce il tuo di nome d’arte: perché Galeffi?
Molto semplicemente. È il cognome di mia madre, perché non sapevo bene come chiamarmi all’inizio. Avevo pensato a nomi anglofoni ma nessuno mi convinceva poi tanto. Alla fine, da mammone quale sono, ho scelto questo [ride, ndr.].
Il tuo libro e il tuo autore preferito?
Ti dico l’ultimo che ho letto perché mi è piaciuto moltissimo: L’Avversario di Carrère. Mi piace molto come scrive. Come autore, in generale, ti dico che Pessoa e Kerouac si dividono il primo posto tra i miei preferiti di sempre. Sono rimasto legato molto a loro due già nel periodo universitario. Il terzo in classifica è, invece, Hermann Hesse.
Il tuo obiettivo futuro?
Vorrei comprarmi una bella casa a Roma, preferibilmente con il giardino, così da avere un altro cane (perché il mio ultimo non c’è più da un paio d’anni, dopo averlo avuto con me per quindici). Una cosa molto materialista, forse…
C’è mai stato un momento della tua carriera in cui hai pensato di smettere?
Ogni giorno. È molto difficile. Ma forse mi aiuta il mio segno zodiacale, perché dicono che il toro vinca per la sua pazienza e molti mi dicono che sono paziente. Bisogna avere pazienza. Ci penso a smettere, però quando mi rimetto al piano tutto cambia e… mi prendo a bene, come si dice a Roma.
Grazie per l’intervista Marco
Grazie a voi