L’ardeo della morte d’oro
L’ARDEO DELLA MORTE D’ORO
Da tempo la piaga delle belve devastava Yharnam.
Mai epidemia era stata più letale, più terribile. Il sangue era la sua manifestazione e il suo suggello, il rosso e l’orrore del sangue.
“Essa si presentava sui cittadini contaminati dal fluido sacro, i quali, a poco a poco, perdevano il senno, impazzivano, diventavano aggressivi e sempre più assetati. I loro volti deturpati, orribilmente sfigurati dal decorso della malattia, le loro pupille sgranate e i loro denti digrignati in orridi ghigni. Le screpolature all’interno dell’iride rappresentavano il marchio della pestilenza che precludeva ai colpiti ogni aiuto e ogni comprensione da parte dei propri simili. Il progredire e la conclusione del male si risolvevano in una metamorfosi in licantropo o in qualche bestia peggiore nel giro di poco tempo.
“Ma la regina Annalise era una creatura corrotta, indomabile e preveggente. Quando la piaga giunse ad Hemwick Charnel Lane e la sua popolazione venne decimata, ella radunò un centinaio di nobili tra parenti e amici di corte e con loro si ritirò nel suo sfarzosissimo castello di Cainhurst.
“Era una fortezza enorme, ed enormi le mura che la cingevano, altissime e merlate, congiunte in una robusta inferriata impenetrabile, pesante e ben ancorata al suolo. Una volta dentro, come estrema misura di isolamento dalla plebe infetta e macilenta, serrarono il cancello e distrussero il ponte che congiungeva le due località.
Nessuno sarebbe più entrato o uscito da lì. Il castello poi, era ben fornito di viveri in grado di sfamare un intero esercito per tutta la durata dell’inverno che ormai imperversava iracondo, coprendo ogni angolo con la sua coltre candida e nivea. Che il ghiaccio cancellasse pure ogni traccia di teppaglia e pestilenza! Non vi era modo di percepire il suo gelido abbraccio nelle raffinate stanze pregne del calore ambrato dei caminetti, nemmanco le urla della morte ivi potevano giungere, solo suoi flebili sospiri. La regina si era occupata di procurare diletto a tutti quanti, uomini o donne che fossero: c’erano giullari, saltimbanchi, danzatori, libri a volontà, cortigiane per i cavalieri e cavalieri per le dame, vi era il vino, vi era il Sangue. Fuori, la piaga furoreggiava contro animali e persone.
“Dopo tempo indefinito, i cui giorni scorrevano inesorabili e monotoni, Annalise decise, come beffa estrema verso quel contagio tristo e funesto che non aveva sfiorato neppure uno dei suoi ospiti, al sicuro com’erano entro le mura, di offrir loro un ballo mascherato d’ineguagliabile pomposità; ma aspettate, vi prego! Lasciate che vi descriva l’infame reggia in cui ciò ebbe luogo prima di tutto, e non abbiate remora del tempo perso, di grazia! D’altronde, avete tutta la notte per sognare.
“Una volta aperti i due grossi portoni, a dare il benvenuto vi era un lunghissimo tappeto porpora bordato d’oro, soffice e felpato, del più prezioso tra i velluti, che continuava fin sulle scalinate, dividendo perfettamente a metà l’atrio. Esso era ben illuminato da innumerevoli candelieri sgargianti in ottone, perennemente accesi, che fosse notte o giorno poco importava, ad Annalise garbava così, e non s’accontentava mai, cosicché durante le feste venivano disposti anche sul pavimento moccoli cerulei dall’aroma di lavanda e iris. Quel pavimento, poi! Le mattonelle in bardiglio erano tagliate in quadrati sesquipedali disposti in modo regolare, talmente lustrati che camminarvi sopra pareva quasi di scivolare su uno specchio d’acqua ghiacciata.
“Passato il vestibolo, il visitatore veniva accolto da due soavi statue marmoree poste sui corrimani all’inizio della gradinata: quella a sinistra raffigurava una giovane vergine ignuda, nel pieno della gioventù, adornata con un solo velo fine che ne ricopriva le grazie, quella a destra invece un’imperiosa matrona con infante, abbellita da sontuosi drappi e incoronata in tutta la sua imponenza giunonica.
Ad un certo punto le scale si biforcavano ad est ed ovest, conducendo a due amplissimi ballatoi sui quali venivano stanziati i musicisti e i loro strumenti e dai quali era solita sporgersi Annalise, per godere appieno di quelle fantastiche danze tra cavalieri e fanciulle nel perfetto turbinio della musica, in un’armonia talmente aurea che persino le immobili sculture prendevano vita e iniziavano a volteggiare leggiadre tra loro, o almeno questo è ciò che si dice. Proseguendo per il sinistro si giungeva finalmente alla sala da pranzo, così vasta che ivi potevano prender posto cento ospiti, sistemati lungo due interminabili tavole in ebano da cinquanta sedie ciascuna. Tuttavia il bello deve ancora venire, or dunque è mia premura proporvi di accomodarvi a sedere, onde evitare di svigorire ulteriormente le vostre stanche membra, acciaccati come siete.
“Le tavole, dicevo, poste anch’esse su soffici tappeti cremisi, venivano ammannite con raffinate tovaglie di seta e pizzo e, come se ciò non fosse ancora abbastanza, i servi le apparecchiavano con stoviglie e candelabri in argento, ponendovi in mezzo a intervalli regolari statuette placcate in oro di medie dimensioni raffiguranti sovrani, regine e patriarchi. Tutti i pasti poi si svolgevano sotto l’occhio vigile e scrutatore dei quadri affitti ai muri, tutti ritraenti antenati o illustri esponenti dei Vilesangue.
Il realismo con cui erano stati riprodotti aveva un che di affascinante e macabro al tempo stesso, i loro occhi fluidi strabuzzavano da una parte all’altra della camera, abbracciandola nella sua interezza, le loro espressioni austere e severe di un’epoca ormai perduta fungevano da monito a quei costumi irrimediabilmente corrotti e frivoli, la loro regalità non era minimamente paragonabile ai capricci di Annalise, che fossero quelli i tempi d’oro della dinastia?
“Ma lasciamo da parte i miei vagheggiamenti e proseguiamo, non vorrei tediarvi più del dovuto, i vostri occhi da cacciatore non mentono affatto e anelano sapere quanto verrà dopo ed è mio interesse non deludere le vostre aspettative.
“Sul lato opposto a quello dell’entrata, sovrastate da un teschio d’alce appeso al muro a mo’ di trofeo, si aprivano due arcate che davano accesso al primo terrazzo esterno, un piccolo spiazzo che permetteva alle giovani coppie innamorate di osservare, isolate e poggiate ai parapetti, romantici tramonti e panorami idilliaci di quel meraviglioso giardino all’inglese, adombrato dai fantastici colori del sol calante che rende ogni cosa più sublime.
Da lì, poi, virando a sinistra si arrivava ad una delle torri di vedetta, elevata e merlata, un tempo costantemente presidiata da ottimi arcieri, ma caduta in disuso una volta abbattuto il vecchio ponte, custodita solo da una scarna garguglia, talmente realistica che pareva in grado di prender vita da un momento all’altro, e che qualcuno aveva ammesso di averla vista librarsi in volo, secondo motivo per cui la torretta venne definitivamente abbandonata e nessuno vi mise più piede. Il vero cuore di Cainhurst però non è il pulsante pandemonio della sala da ballo, sbagliate a pensar ciò. Il vero cuore di Cainhurst è un cuore silenzioso e sopito, celato ben bene dalla parte destinata al pubblico. Avete mai sentito parlare dell’enorme archivio di Annalise? La vostra mente non è abbastanza ampia per poterlo concepire!
“Non a tutti era consentito accedervi, solo ai più colti e ai più vicini alla regina, infatti fieri spadaccini vigilavano il lungo corridoio che precedeva l’ingresso delle biblioteche. Quante esse fossero, non so dirvelo, ma vi basti sapere che erano disposte su più di un piano, tre almeno, e che ognuna straripava di scaffali in mogano alti fino al soffitto, traboccanti di libri di ogni genere, e quelli che non trovavano spazio venivano impilati a colonne sul pavimento di legno, in perfetto allineamento, in attesa di essere sfogliati dalle delicate mani di una fanciulla o dai vellutati guanti di un cavaliere.
Numerosi servi provvedevano a mantenere l’ordine, a spolverare le mensole, a rimettere al proprio posto volumi lasciati sui tavoli da qualche sbadato lettore, a cambiare la cera delle candele e a far da guida a chi ne usufruiva. Dai corrimano delle scalinate pendevano inoltre lunghi drappi cremisi con il ricamo dorato dello stemma di Cainhurst, due grifoni rampanti su sfondo porpora, quasi a voler sempre rimembrare ai visitatori l’origine di tutta quell’opulenza, sia mai si fossero dimenticati a chi appartenesse. Le sale del trono, infine, erano poste nella sommità più alta del castello, ma vi si poteva accedere solo tramite passaggi segreti noti a pochissimi tra quegli invitati e oscuri persino a me.
“Il magnifico atrio dunque venne adibito ad accogliere il gran ballo in maschera, i musicisti vennero appostati metà sul ballatoio destro e metà sul sinistro, la regina invece, per poter osservare appieno la scena con ogni singolo partecipante, si accomodò su un confortevole seggio piazzato perfettamente a metà della biforcazione che si apriva nelle due altane, circondata e viziata dalle sue cortigiane e dai suoi fanciulli più graziosi.
Annalise aveva concesso libero sfogo alla fantasia dei presenti, cosicché essi si travestirono nei modi più stravaganti e bizzarri: alcuni cavalieri sfilavano con elegantissimi abiti femminili a strascico, truccati e acconciati come dame, così da unirsi nella danza ad altri cavalieri meno creativi che avevano preferito mantenere il decoro del proprio rango, svelando solo in seguito l’inganno e suscitando l’ilarità di tutti, ah che scostumati! Le nobildonne poi non erano da meno, alcune calzavano le armature e gli elmi dei guerrieri e facevano la corte alle vergini più timide che arrossivano ad un baciamano, avvolte in vesti di seta così fini da apparire quasi trasparenti agli occhi delle pretendenti, le quali inscenavano duelli di fioretto per ingraziarsi la più bella. Proseguiva brioso e frizzante quel carnevale, risa e scherno di certo non facevano difetto, ma sul più bello una strana presenza cominciò a turbare gli animi dei festaioli. Una presenza eterea, anonima, forse una mera illusione plasmata dalle menti inebriate dall’alcol, o qualcosa di più?
“Essa vagava altezzosa e regale tra le coppie che man mano si facevano da parte al suo arrivo, separandosi, intimorite. Rumori di calici rotti, sussulti e parole spirate accompagnavano la sua marcia solenne attraverso l’attico, ancora incantato dalla musica. Nessuno sapeva chi fosse realmente quello spettro, nessuno poteva immaginarlo! Tutto il loro ribrezzo infatti derivava dalla visione dell’ardeo d’oro che portava sulla testa, emblema per antonomasia della sfolgorante luce che trionfa sulla lurida corruzione e riporta giustizia.
Il resto del suo corpo, slanciato ed ormai scarno, era ammantato da un rosso tabarro un tempo lucido e soffice come il velluto, ridottosi ad un vecchio cencio logoro. Anche il resto delle vesti e i pantaloni da carnefice erano strappati e consunti, all’apparenza nulla era rimasto della sua gloria passata; nella mano destra impugnava il bastone uncinato con cui aiutava il suo avanzamento claudicante, nell’altra brandiva la sua spada arrugginita ed apparentemente inoffensiva e, ad ogni passo, la lunga chioma candida si muoveva sinuosamente seguendo l’andazzo del cammino. Eppure tutto ciò avrebbe potuto essere sopportato, se non approvato, dagli ebbri scalmanati che infestavano quel castello: ma il costume aveva spinto tant’oltre la sfrontatezza da assumere le sembianze di Logarius. Ebbene sì! Maestro Logarius si apprestava a compiere il suo martirio!
“Così, quando gli occhi di Annalise incrociarono quella figura lugubre che si faceva spazio tra la folla, le sue labbra si contorsero in una smorfia mista tra il terrore e il disgusto e poi si dischiusero a proferire cotali parole: “Chi osa? Chi osa insultarci con questa irrisione sacrilega?”- al rimbombo della sua voce austera e rauca anche i musicisti cessarono di pungolare i propri strumenti, poi riprese- “prendetelo e smascheratelo, affinché possiamo sapere chi impiccheremo all’alba ai merli della torre!”
Al termine del suo sfogo incollerito, ella si alzò dal trono e si impuntò con tono di sfida nei suoi confronti, mentre egli, destato dai suoi richiami, si spostò indisturbato al centro del tappeto cremisi e proseguì senza intralcio verso di lei. Nessuno osava muovere un dito per bloccarlo. La vigliaccheria e la viltà dei propri seguaci fecero vergognare profondamente Annalise, che decise perciò di ostentare un nuovo ammonimento nei loro confronti, sguainando la sua chikage e puntandogliela contro: “cosa fate, codardi? Fermatelo! Tenetegli le membra e il capo affinché possa piantare questa lama nel suo cuore e straziarne le carni e berne il caldo sangue!”
“Le più audaci tra le dame, quelle bestie, bardate di tutto punto, rinsavirono a quel rimprovero e, eccitate dall’idea di potersi dissetare con quel liquido ardente e vivo, si lanciarono a braccare la preda. Ma quella preda divenne finalmente il carnefice quando, poco prima di esser afferrato, strinse la propria spada e la fece roteare a mezz’aria per poi conficcarla al suolo, con forza, così da conferirle il potere di scagliare in tutte le direzioni dardi intrisi di arcana magia, a miriadi, che penetrarono nel tenero collo o nel molle ventre di ogni singolo invitato, spazzando via in pochi secondi, come una tempesta di schegge letali, tutto quanto il corteo di partecipanti. Nell’attico, divenuto oramai il cimitero di quella corruzione, erano rimasti solo loro due, l’esecutore e la regina.
Quest’ultima non poteva far altro che provare orrore a quella visione, le sue gambe e il suo corpo tremavano, ma la sua mano restava salda sull’elsa. Non riuscì a proferire più nulla. Martire Logarius in pochi passi fu da lei, la vendetta era pressoché compiuta, ma quella carogna si azzardò a colpirlo con la sua katana e gli scoprì il viso dalla tiara dorata. Mai la regina ebbe modo di vedere qualcosa di più truce di quelle orbite cave! La maledetta infame crollò sulle ginocchia, conscia di ciò che le sarebbe toccato. Il Maestro protese la mano guantata verso Annalise e, di lì a poco, dal suo manale si scatenarono funesti ed iracondi tutti gli spiriti dannati delle vittime mietute dalla piaga che, danzando indemoniati e ululando latrati infernali, avvolsero il corpo della disgraziata, lasciandola riversa inerme sul suolo. Per ultima cosa, infine, Logarius le tolse la corona caduta e con essa l’onore, e se la pose sul capo. I suoi occhi vennero bendati per sempre e mai più il sole osò specchiarsi in quelle pupille corrotte, e la sua testa serrata nell’elmo di un cavaliere.
“E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della morte aurea e a uno a uno i gaudenti si dissolsero nella stanza irrorata col sangue delle loro gozzoviglie, le fiamme dei tripodi si spensero e con esse ogni suono cessò, l’oscurità, il gelo e la disperazione regnarono indisturbati su tutto Cainhurst.
“Eppure, molte voci corrono circa l’immortalità della regina e, a quanto pare, ella giace ancora viva in una delle sue camere, seduta sul lurido trono. Ed io ho bisogno di voi, giovani cacciatori! Perché non cooperiamo, or dunque, e condividiamo ciò che abbiamo appreso?
“Che il buon sangue vi mostri la via”.