Spec ops: the line (2012) un sottile confine d’ombra
“It was written I should be loyal to the nightmare of my choice.”
― Joseph Conrad, Heart of Darkness
Arrivato verso metà di Spec Ops: The line la tentazione di spegnerlo e non pensarci più era grande. Non sono uno che rinuncia facilmente a portare a termine una storia ma il principale punto di questo titolo è proprio questo. Che cosa vale la pena fare per portare a termine una storia? Tutto è concesso per arrivare a vedere la fine o a volte è meglio fermarsi e rinunciare?
Quando ho iniziato a videogiocare gli sparattutto erano incentrati su idee poco problematiche (tranne forse che per la Germania, di tanto in tanto). Nazisti brutti e cattivi, demoni dall’inferno, alieni porci con la faccia da porco, ciò che vedevi era ciò che doveva saltare in aria. Da lì in poi, qualche timido tentativo da titoli più o meno blasonati per problematizzare l’essenza del nemico e della guerra c’è stato. Ma (e i consumatori di Steam mi avevano avvertito) è Spec Ops a tirare la vera linea di demarcazione.
Il capitano Martin Walker sarà il vostro personaggio principale, a capo di un piccolo gruppo di ricognizione Delta Force formato dal Tenente Alphanso Adams e dal Sergente John Lugo. La vostra missione, riprendere contatto con la 33esima divisione dell’Esercito Americano, comandata dal colonnello John Konrad, scomparsa dopo essere stata inviata a gestire una tragedia che ha colpito Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti, divisa dal resto del mondo da una serie di imponenti tempeste di sabbia che hanno tagliato via qualsiasi possibilità di contatto diretto con la città e l’hanno gettata sull’orlo della distruzione. L’ultima notizia che il comando USA ha di Konrad parla di un tentativo fallito di condurre i sopravvissuti della catastrofe attraverso il deserto e il muro delle tempeste di sabbia.
I primi momenti del gioco basteranno a cambiare drasticamente la natura della vostra missione. Accolta da un gruppo di insorgenti composto dagli abitanti di Dubai a colpi di fucile e minacce, la vostra squadra arriverà a scoprire nella carcassa di un aeroplano un soldato della 33esima torturato e sul punto di morire. Cosa è successo alla missione umanitaria? Perché le persone che dovevano essere tratte in salvo sono armate e stanno attaccando apertamente la 33esima divisione che doveva procedere alla loro evacuazione? La missione del capitano Walker lo porterà a scoprire che la disperazione può trasformare anche il più nobile dei sentimenti umani in un inferno terrestre.
Non svelerò altro della storia in questa recensione, ma la mia citazione iniziale e il nome evocativo del colonnello Konrad non lasciano dubbi sulla fonte primaria di ispirazione di questo titolo, figlio di un’opera fortissima come Cuore di Tenebra e della sua più riuscita rilettura del 1979, Apocalypse Now. Spec Ops propone i temi sempre attuali dei suoi progenitori in una veste rinnovata, con una storia tutta legata agli orrori delle guerre contemporanee. Il percorso a ritroso del Capitano Walker sulle orme del Colonello Konrad è il percorso che ogni soldato dopo l’invenzione dei conflitti planetari del Novecento è costretto a seguire all’interno del suo mondo.
Un mondo dove ogni secondo, ogni decisione, ogni colpo sparato ed ogni arma utilizzata trasformano e consumano la terra facendone un paesaggio lunare dove solo chi cede alla follia riesce a sopravvivere, mentre intorno i cadaveri continuano ad accumularsi dilanianti con sempre nuove crudeltà.
Un gioco duro a morire
Il lavoro del team di Yager Development riesce, grazie alla libertà concessa dalla mai troppo amata 2k Games, a infondere nella creazione di quello che doveva essere un semplice revamp di una vecchia serie (il primo Spec Ops, titolo del 1998, e i suoi successori fino al 2002, innovativi sparatutto basati sul comando di una squadra tattica) una vitalità e un magnetismo che non ha nulla da invidiare ai giochi più basati su una componente narrativa come le interactive novels. A livello di meccanica di gioco, il team merita sicuramente lo stesso tipo di complimenti. La comunicazione con la nostra squadra è un elemento utile sempre e in alcuni punti essenziale. Giocare a fare gli eroi che si lanciano a pistole spianate contro un intero gruppo di nemici non paga assolutamente in Spec Ops: The Line, e se la vostra tecnica preferita in altri giochi è correre in faccia ai vostri avversari con un fucile a pompa in mano (ammetto di essere colpevole) dimenticatelo in questo caso, a meno che non vogliate ricaricare la partita finché il gioco non vi chieda se per caso preferiate abbassare il livello di difficoltà (ammetto, mi è successo troppo spesso). Il capitano Walker ha una realistica resistenza ai proiettili, molto bassa, e i soldati nemici hanno una intelligenza di livello, difficile prenderli a fare cose stupide neutralizzandoli facilmente, molto più spesso gli stupidi sarete voi e camminerete ignari nel fuoco incrociato di un team ben affiatato che ha messo in mezzo il gonzo della situazione con velleità da eroe. La sfida è sempre presente e vi terrà sulle corde fino alla fine. Aggiungete a questo la fluida gestione dei comandi su PC (cosa rara per titoli cross-platform) e l’ottima ricostruzione grafica di Dubai sotto le sabbie e rimane veramente poco da dire a sfavore di questo titolo.
Conclusioni
Volendo scavare un poco, alcuni l’hanno trovato un po’ corto e in alcune sezioni l’azione del giocatore può sembrare insignificante, cosa che all’improvviso ha colpito anche me, bloccato a metà del percorso. Tuttavia, ho capito presto che l’economia della storia esigeva questi momenti per lanciare con il messaggio dei suoi possibili finali con tutta la sua forza, messaggio che non mi abbandonerà per molto tempo. Considerando poi il prezzo molto basso di base, e la continua tendenza che questo titolo ha a finire in saldo dell’80%, seguite il mio consiglio e provatelo appena ne avrete l’opportunità, non ve ne pentirete (anche se non vi lascerà come vi ha trovato, come tutte le grandi storie, vi ho avvisato).