Project Zero: Maiden of Black Water, tra presenze e suggestioni

Ogni anno, la notte di Halloween è la scusa perfetta per far rispolverare le collezioni videoludiche a tutti i giocatori (anche di quelli non appassionati del genere) in cerca del titolo giusto per passare questa notte di terrore e paure. Per noi, quest’anno, il titolo scelto è stato Project Zero: Maiden of Black Water, videogioco uscito sette anni fa sulla sfortunata Wii U, che a causa della scarsa popolarità della console e della misera distribuzione del titolo, non ha saputo brillare tra i giochi del panorama horror.
Koei Tecmo ha quindi deciso di rilanciare questo quinto capitolo della serie, conosciuta in precedenza con il nome di Fatal Frame, riproponendo il gioco su Nintendo Switch e sulle console di attuale generazione, dando la possibilità a molti giocatori di rituffarsi nelle oscure vicende dei suoi protagonisti.
Un survival horror basato su storie di fantasmi e sulle dicerie e leggende narrate sul fantomatico Mt. Hikami, luogo di pura finzione ma fortemente ispirato alla foresta di Aokigahara, alle pendici del monte Fuji in Giappone, meglio conosciuta con il nome di Jukai o foresta dei suicidi.
Se siete amanti del genere horror, o se siete semplicemente curiosi di sapere cosa si nasconde tra le oscure acque di Project Zero: Maiden of Black Water, allora mettetevi comodi: sto per raccontarvi una storia a cavallo tra finzione e, forse, realtà…
Project Zero: Maiden of Black Water, suggestioni e paure
L’incipit della storia di Project Zero: Maiden of Black Water è molto semplice e ruota attorno alle leggende legate al Monte Hikami. In antichità il monte veniva quasi venerato ed usato come luogo di culto, e la leggenda racconta che al calare del sole venisse abitato da diversi spiriti erranti e anime in preda al turbamento.
Un mito capace di creare diverse suggestioni, confermate anche dai molteplici casi di sparizione ed episodi di suicidi legati al luogo. Misteri su cui i nostri personaggi, per ragioni completamente differenti tra loro, saranno spinti ad indagare, perlustrando e visitando il luogo proprio al tramonto, nel momento di massima espressione di questi fenomeni…
Questo si trasforma di fatto in un gameplay semplice ed intuitivo: armati di una particolare camera oscura, una fotocamera capace di fotografare le presenze ed assorbire le energie mistiche, saremo spinti a perlustrare la foresta ai piedi del Monte e le strutture abbandonate che troveremo in essa, tra qualche presenza pacifica e qualcuna ostile che cercherà di impossessarsi dei nostri personaggi.
La fotocamera è l’unico strumento utile contro queste presenze ed è in grado di immergere il videogiocatore nell’alone di terrore del gioco, dando la costante sensazione di essere indifesi ed impauriti nei confronti di queste presenze. Avanzando nel gioco e svelando sempre più retroscena sulla storia, si avrà accesso ad un maggior numero di potenziamenti, tra cui rullini particolarmente veloci nel ricaricare, lenti più potenti o adatte al combattimento e altri consumabili tipici da videogioco, mantenendo sempre quella sensazione di essere disarmati nei confronti del pericolo.
Le tematiche molto forti trattate durante i vari episodi del titolo vengono spesso narrate al videogiocatore attraverso bigliettini od oggetti collezionabili sparsi per la mappa di gioco, in un costante senso voluto di oppressione e paura psicologica che si avvertirà durante tutta la progressione del gioco.

Jumpscare? No grazie.
Potremmo quasi definire Project Zero: Maiden of Black Water come un horror d’atmosfera, i cui punti di forza risiedono principalmente nelle sue suggestioni visive e nel suo comparto sonoro ben studiato ed in linea con il tipo di narrazione scelto.
Non mancheranno certo i jumpscare oramai classici delle produzioni legate al mondo horror, ma se siete abbastanza in sintonia con il genere o se non siete fortemente impressionabili, non riusciranno quasi mai a cogliervi di sorpresa.
Quello che invece sarà in grado di stupire è la scelta, quasi atipica, di un comparto sonoro votato al silenzio, che ben si sposa con il ritmo lento di una narrazione tipicamente da cinema orientale, molto in linea con i temi trattati durante il gioco e decisamente molto suggestivo per il videogiocatore.
Si passerà da momenti di totale silenzio, a momenti di pura atmosfera creati attraverso musiche suggestive, che incalzano inevitabilmente in concomitanza dell’arrivo dei combattimenti o dei momenti più accesi di gameplay.

Il peso dell’età
Per quanto la storia narrata in Project Zero: Maiden of Black Water sia godibile, sia da un punto di vista suggestivo sia grazie al comparto tecnico ben studiato per il tipo di narrazione scelta, il titolo si scontra inevitabilmente con il peso dell’età che ha sulle spalle.
Forse anche sette anni fa, ai tempi della sua prima uscita su Wii U, alcune scelte tecniche potevano risultare abbastanza all’antica, ma il punto che ci ha fatto storcere il naso maggiormente è stato quello relativo ai comandi.
Un gioco esplorativo di questo tipo, seppur non presentando degli spazi eccessivamente aperti dove muoversi, invoglia ad osservare ogni dettaglio per scovare presenze o alcuni collezionabili, tuttavia ci è sembrato talvolta di essere incastrati all’interno di alcune stanze o sessioni di gioco. Sensazione che aumenta durante i combattimenti con gli spiriti, nel quale dovremmo muoverci brandendo la fotocamera e quindi passando dalla terza persona dell’esplorazione alla prima persona del comparto di “shooting”.
Nulla che riesca a minare eccessivamente la buona riuscita del titolo, tuttavia un leggero svecchiamento dei comandi non avrebbe che giovato a questa nuova proposizione del titolo.

Cosa aspettarsi quindi da Project Zero: Maiden of Black Water?
In conclusione, Project Zero: Maiden of Black Water si presenta come un ottimo titolo survival horror da giocare per questo periodo dell’anno, purché si accettino alcune scelte stilistiche di questa produzione che si differenzia di molto dai ben più classici cugini pieni di jumpscare e sezioni al cardiopalma.
Maiden of Black Water potrebbe essere paragonato più ad una scampagnata tra i boschi alla ricerca di fantasmi e presenze. Un viaggio silenzioso e lento tra suggestioni e paura, che di tanto in tanto cede il passo a qualche momento di combattimento con presenze ostili che cercheranno di prendere possesso dei nostri personaggi.
Una scelta particolare ma capace di rendere unico questo titolo, purché si decida di rallentare e proseguire al passo lento e costante delle narrazioni orientali, o se preferite, al dolce ed incessante camminare dei fantasmi.
