L’influenza di Lovecraft nei videogiochi

Nato a Providence nel 1890, Howard Phillipps Lovecraft non godette di grande fama durante i suoi 46 anni e mezzo di vita, e ancora oggi è meno noto di altri autori, come ad esempio Edgar Allan Poe di cui Lovecraft è ritenuto il diretto erede. Una sorte capitata anche ad altri artisti, quella di non essere apprezzati in vita per poi vedere le proprie opere diventare celebri dopo la loro morte, così come Lovecraft ha ispirato diversi media con i suoi racconti dell’orrore e dell’inspiegabile, compreso ovviamente il medium videoludico.
Il mercato videoludico per i prossimi mesi offre ben due giochi che s’ispirano ai racconti di Lovecraft: il primo è Call of Cthulhu, sviluppato dai francesi di Cyanide, disponibile dal 30 ottobre. Un RPG investigativo in prima persona ispirato a un celebre gioco di ruolo cartaceo, che a sua volta trae ispirazione dal racconto di Lovecraft “The Call of Cthulhu” (in italiano: “Il richiamo di Cthulhu”).
L’altro gioco s’intitola The Sinking City e vedrà luce il prossimo 21 marzo; anch’esso è un gioco investigativo, ma in terza persona e open world. Per quest’ultimo titolo, sviluppato dal team indipendente Frogwares, inizialmente si parlava di ispirazione ai racconti di Lovecraft, ma l’ultimo trailer mostrato alla GamesCom fa chiaramente vedere anche una statuetta di Cthulhu, e questo fa pensare che sia proprio ambientato nell’universo narrativo di Lovecraft esattamente come Call of Cthulhu.
In contemporanea con il lancio sul mercato di Call of Cthulhu è iniziata una campagna Kickstarter da parte di Psychodev per il secondo capitolo di Chronicles of Innsmouth: The Mountain of Madness. Già sviluppatori appunto di Chronicles of Innsmouth, un’avventura grafica che s’ispira ai titoli del genere sviluppati da Lucasarts negli ‘80 e nei primi anni ‘90, Psychodev è uno studio indipendente italiano con il quale abbiamo avuto il piacere di parlare tramite il nostro Marco Piacentini, che ha recensito la loro prima opera e intervistato lo sviluppatore Umberto Parisi.
Una campagna sicuramente da seguire sia per il fatto che si tratta di un’opera videoludica di un team italiano, sia perché non sono moltissime le opere ambientate nell’universo narrativo di Lovecraft.
Se però il numero di videogiochi ambientati propriamente in questo universo narrativo non è elevato, lo è sicuramente quello dei videogiochi che si sono ispirati ai racconti dello scrittore di Providence.
“Questo regalo lascio all’umanità: ecco le chiavi”
Prima di entrare nello specifico, è bene parlare un po’ di quelle che sono le basi della narrativa di Lovecraft, approfittandone anche per vedere come queste basi possano anche solo essere state adottate dal medium videoludico. Trattandosi appunto di un articolo che parla di videogiochi, non posso che partire da un elemento molto concreto: le creature lovecraftiane. I mostri marini sono un po’ il marchio di fabbrica di Lovecraft, in particolare Cthulhu, semi-divinità dalla testa di polpo e corpo di drago entrato ormai nella cultura pop, ma anche Dagon e gli uomini pesce. Viene spontaneo il collegamento con Lovecraft ogni qual volta in un videogioco compaiono creature del genere, non essendo poi così comuni.
Ma non solo mostri marini: Lovecraft fu anche uno degli autori a dar origine alla narrativa degli uomini-rettile, o di creature che ricordano molto anche gli insetti, come i Mi-Go, o il mostro de “L’orrore nel museo”, o ancora creature deformi e incomprensibili come Yog-Sothoth e tutto ciò che è collegato ad esso. Da citare anche i ghoul, demoni mangiatori di cadaveri dal quale è derivata la creazione dei classici e onnipresenti zombie.
La resurrezione dei morti non è di certo un tema sconosciuto nei racconti di Lovecraft, ma il suo Herbert West, ad esempio, a differenza di un dottor Frankenstein, non tenta semplicemente di generare la vita dalla morte: egli conduceva atroci esperimenti per dimostrare che la vita è solo di natura meccanica, per poi andarsi a scontrare proprio con il lato spirituale dell’esistenza. Oppure le stregonerie di Joseph Curwen, personaggio de “Il caso di Charles Dexter Ward”, utilizzate per uno scopo ben più ambizioso della semplice resurrezione dei morti.
E’ proprio questo un altro elemento tipico della narrativa di Lovecraft: l’inettitudine della scienza, ancor più della religione, e dell’intero genere umano dinanzi all’orrore cosmico, ovvero una realtà dove l’essere umano è solo di passaggio nell’Universo, impossibilitato a comprendere ma anche solo a percepire forze infinitamente più grandi. I Grandi Antichi, gli Altri Dei, le altre dimensioni, ecc… esistevano prima ed esisteranno ancora in futuro.
Partendo da questa base si può creare una qualsiasi “lore” di un videogioco: Lovecraft è vissuto nella prima metà del ‘900, in un periodo di grandi scoperte, ed era anche ateo; comprensibile come possa essere giunto al suo universo narrativo, ma questi concetti possono essere spostati, ad esempio, in un periodo medievale o nei giorni nostri, e creare così la religione del mondo di Diablo o i mitocondri senzienti che iniziano a fare come gli pare in Parasite Eve.
Manca ancora un elemento, tipico per ottenere la quadratura del cerchio: il momento in cui l’essere umano riesce a percepire l’orrore cosmico e tenta di elevarsi a quel livello, anche semplicemente come un servitore delle più alte sfere. La scienza e la religione non bastano, nell’universo lovecraftiano sembrerebbe esserci bisogno di un qualcosa che unisca entrambi questi elementi per permettere all’uomo di comunicare con altri piani d’esistenza. Si tratta di magia? Stregoneria? Alchimia? O semplicemente un altro tipo di scienza o di religione? Lovecraft non gli da mai un nome nei suoi racconti, nei videogiochi possono esserci molteplici nomi per indicare lo questo concetto.
Servono poi gli strumenti per riuscire in queste opere, i quali possono essere antichi scritti o artefatti. Nell’universo narrativo di Lovecraft, lo strumento più famoso tra questi è il Necronomicon, il libro scritto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred in cui sono stati raccolti i segreti dell’orrore cosmico. La particolarità del Necronomicon sta anche nel fatto che qualcuno ha davvero svolto ricerche credendo a una sua reale esistenza o all’esistenza di qualcosa di simile da cui Lovecraft trasse ispirazione. In diversi videogiochi il Necronomicon viene citato, parodiato, ma anche riproposto esattamente come descritto nei racconti di Lovecraft.
Infine, altro elemento quasi obbligatorio in un quadro del genere, il rovescio della medaglia: un essere umano non dovrebbe spingersi oltre la realtà che tutti conosciamo, pena la morte, o la follia, o l’inumanità. Quello che l’uomo ritiene sovrannaturale è qualcosa che rimane più grande di lui, e spesso non si ha la forza o la lucidità per resistere alla rivelazione, nemmeno quando si tratta di uomini con una certa dimestichezza in materia. Dopotutto, Call of Cthulhu e The Sinking City sono videogiochi investigativi: i protagonisti avranno anche una buona possibilità di azione, ma è chiaro che dovranno affrontare pericoli molto più grandi di loro, dinanzi ai quali probabilmente bisognerà pensare per lo più a sopravvivere.
Uno sviluppatore che sicuramente ha letto Lovecraft è Hidetaka Miyazaki. Prima di tutto per via di Bloodborne, chiaramente ispirato alla narrativa lovecraftiana: ambientazione vittoriana, il concetto del sogno, i Grandi Esseri, il cosmo, ecc… ma anche i “Souls” hanno tutti dei riferimenti ad altre opere di Lovecraft, in particolare a “La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath” (Anor Londo ricorda tantissimo la città del tramonto che ossessionava Randolph Carter, e sia i demoni volanti di Anor Londo che i demoni della titanite sembrerebbero prendere spunto dai Magri-notturni. Oppure il Vecchio Monaco di Demon’s Souls, con la sua veste gialla usata poi per il re di Xanthous nella trilogia di Dark Souls, ricorda molto il vecchio sacerdote con la veste di seta gialla.)
Oltre ai riferimenti estetici, Miyazaki cita anche la filosofia di Lovecraft: l’inettitudine degli esseri viventi di fronte a qualcosa di molto più grande, in particolare in Bloodborne e Dark Souls III, ma anche la narrazione tramite “lore” ricorda un po’ il modo di raccontare utilizzato dallo scrittore di Providence: capita spesso di leggere parti del racconto in cui Lovecraft usa una narrazione un po’ criptica, dove il lettore può arrivare a capire leggendo attentamente i dettagli anziché una chiarissima spiegazione, ad esempio la parte cruciale de “I ratti nei muri” (più comprensibile dopo aver letto “La paura in agguato”); oppure casi che vengono lasciati volutamente aperti all’interpretazione, ad esempio: chi è il n°118 nel laboratorio di Joseph Curwen?
Spreading the Madness
“Can I play with madness?” domandava Bruce Dickinson nel brano omonimo degli Iron Maiden. E, per quanto riguarda il mondo dei videogiochi, la risposta è un deciso sì. Molti titoli che ripropongono le idee del Solitario di Providence abbracciano totalmente l’idea della fragilità della psiche umana di fronte all’Orrore.
Si è già parlato di Bloodborne, ebbene, è un valido esempio di quanto ho appena scritto: la Follia è uno degli status che possono affliggere il nostro personaggio, quando si trova di fronte ad esseri particolarmente orrendi (chi non ha odiato quei dannati mostri col testone pieno di occhi la cui sola presenza era sufficiente a far sprofondare nella pazzia il protagonista?). Si tratta di uno dei casi più palesi di ispirazione lovecraftiana, ma non è certo l’unico.
Prendiamo ad esempio un titolo più “di nicchia”, come ad esempio Sunless Sea, particolarissimo gioco di FailBetter Games che ci mette negli umidi panni incrostati di salsedine di un capitano dell’Unter Zee, un mare sotterraneo ed oscuro, le cui acque sfoggiano un’inquietante sfumatura verdastra. L’ambientazione richiama, anche in questo caso, l’epoca vittoriana ma si tratta di un gioco decisamente meno “action” rispetto alla creatura di FromSoftware: Sunless Sea è basato quasi interamente sull’esplorazione marittima e psicologica e la sua impronta lovecraftiana è più discreta, ma non per questo meno efficace. Non troverete mostri tentacoluti a braccarvi, i vostri nemici saranno l’oscurità, il Terrore e la conoscenza; quanto più esplorerete l’Unter Zee, tanto più sarete costretti ad allontanarvi da casa. Il mare intorno a voi sarà buio, le scorte saranno limitate e sarete costretti a scendere a terra, dove troverete ad aspettarvi creature strane e misteri inquietanti. Risolverli potrà portarvi ricchezza o rari oggetti, ma esigerà quasi sempre un prezzo da pagare in Terrore, in una perfetta rappresentazione di quanto professato dal buon Lovecraft: ci sono cose che non dovrebbero essere conosciute o disturbate.
Già, “cose che non dovrebbero essere disturbate”. Forse qualcuno avrebbe dovuto parlarne all’Antenato del giocatore in Darkest Dungeon, titolo che urla “HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT” fin dal nome del suo studio di produzione, Red Hook (riferimento al suo racconto “The Horror at Red Hook”). Perfetta dimostrazione di come le idee dello scrittore americano siano un veicolo universale e mutaforme almeno quanto il Caos Strisciante Nyarlathotep stesso, Darkest Dungeon prenda gli orrori tentacolari e la pazzia di Lovecraft e li mescola con un mondo fantasy cupo e spietato che potrebbe far da sfondo ad una sessione di Dungeons&Dragons (o dell’italianissimo L’Ultima Torcia). La premessa del gioco è piuttosto semplice: saremo chiamati ad interpretare il “fortunatissimo” erede del nostro Antenato, un facoltoso appassionato di occultismo che, nella sua continua ricerca di potere e segreti innominabili, ha risvegliato qualcosa che sarebbe stato DECISAMENTE meglio che continuasse a riposare. Il gioco alterna una fase gestionale ad una di dungeon crawling con combattimenti a turni, come nei classici giochi di ruolo. Anche in questo caso, la battaglia non si limita agli scontri fisici, ma coinvolgerà direttamente le menti dei vostri poveri avventurieri: il buio, il dolore e la paura esigeranno presto un pesante tributo fra le vostre fila, se non avrete l’accortezza di arginarne gli effetti. Un titolo che omaggia così tanto Lovecraft da aver dato alla classe dell’Occultista un look arabeggiante, chiaro tributo al personaggio dell’arabo pazzo Abdul Alhazred. Non mancano neppure mostri marini e creature “cthuloidi”… insomma, un omaggio sincero e appassionato!
In conclusione, possiamo affermare che la maggior impronta lovecraftiana nei videogiochi sia legata al concetto di follia, di quel prezzo che gli avventurieri e gli investigatori tanto sciocchi da affrontare le bestie dei Miti devono pagare per aver anche solo osato sbirciare al di là della cara vecchia Realtà: ad esempio, in Call of Cthulhu Dark Corners of the Earth, anche il solo guardare gli esseri del Mito distorce la vista e le percezioni del protagonista, come del resto avveniva già nel celebre Call of Cthulhu, gioco di ruolo cartaceo sul quale si basa l’omonimo videogioco uscito il 30 ottobre. Che la battaglia sia possibile o meno, che essa sia vinta o persa, nessuno può tornare ad essere ciò che era prima di aver varcato la soglia della pazzia lovecraftiana. Siete avvisati.
Sempre e solo “Cthulhu fhtagn”?
L’uscita di Call of Cthulhu; una campagna Kickstarter per il secondo capitolo di Chronicles of Innsmouth; ed infine The Sinking City in primavera. Ben tre titoli dedicati a Lovecraft, appartenenti a un genere di videogiochi diverso da quello di altri che usciranno sul mercato in questi mesi. Tuttavia, mi sento di dover fare una critica a riguardo: trattasi delle creature più famose dell’universo lovecraftiano, entrate nella cultura pop, ma possibile che ogni volta che viene prodotta un’opera ispirata ai racconti di Lovecraft, si scelgano sempre Cthulhu, Dagon e gli uomini-pesce?
E’ abbastanza chiaro a quale racconto faccia riferimento Call of Cthulhu, così come, se si è letto “L’ombra su Innsmouth”, potrebbe bastare qualche immagine di The Sinking City per capire quale mistero affligge la città allagata. Lovecraft ha lasciato un universo narrativo pieno di creature spaventose ed eccezionali e di ambientazioni bellissime: “La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath”, “Il tumulo”, “La palude della luna”, “Il caso di Charles Dexter Ward”, “Il modello di Pickman”, “I ratti nei muri” ecc… Potrebbero essere fonti d’ispirazione per creare avventure sovrannaturali di ogni genere.
Gli orrori marini nati dalla mente di Lovecraft li abbiamo visti costantemente nei videogiochi ispirati ai suoi racconti, sarebbe bello se in futuro cominciassero a esplorare anche il resto del suo universo narrativo. Le sue opere sono lì, da più di un secolo, pronte per essere adattate ad altri medium. Siamo ancora in tempo, dopotutto si sa: “Non è morto ciò che in eterno può attendere…”
Articolo di Danilo Riccio e Dario Casale