La Filosofia in Nier: Automata

LA FILOSOFIA IN NIER: AUTOMATA
Disclaimer: non ho mai giocato nessun altro titolo targato Yoko Taro. Può essere che le interpretazioni che elaborerò saranno manchevoli, se non errate, proprio per questo motivo. In caso succeda, voi lettori siete liberi di correggermi, anzi vi invito a farlo perché desidero comprendere il più possibile dell’universo creato da Taro.
TRA GIOCO E REALTA’
Vorrei introdurre l’articolo con una piccola regressione personale, che vuole essere al tempo stesso una dichiarazione d’amore per questo gioco. Nel lontano 2010 mi sono laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Milano. Durante la mia carriera universitaria, ho affrontato esami di varia difficoltà, ma ce n’è uno che ricordo distintamente: Storia della Filosofia, il problema dell’esistenza nella visione di Karl Jaspers e Jean-Paul Sartre. La sensazione che mi lasciava studiare per questo esame è scolpita nella mia memoria: a fine giornata, volevo aprirmi il cranio, tirare fuori il mio cervello fumante e metterlo sul davanzale della finestra a rinfrescare. Può sembrare una brutta sensazione, ma in realtà non lo era affatto; la materia era talmente arzigogolata e inafferrabile da darmi l’impressione di stare scavando a mani nude nelle pieghe dell’esistenza stessa. Nessun altro esame mi ha più dato la stessa sensazione (solo grossi mal di testa studiando Michel Foucaut e l’antropotecnica, ma quella è un’altra storia).
Otto anni dopo, ho giocato Nier: Automata. La mia filosofa interiore si è ridestata, non solo per gli innumerevoli riferimenti diretti alla filosofia. Nier: Automata mi ha ricordato tutte le volte in cui mi sono spaccata la testa sui grandi filosofi, l’emozione di strappare le maschere della realtà e rivelarne le strutture essenziali e i meccanismi più intimi. Nier: Automata mi ha riportato indietro nel tempo e mi ha permesso di riscoprire questa parte di me che era rimasta sepolta sotto nuovi studi universitari, nuove prospettive di carriera, nuovi interessi.
Oltre alla chiara impronta esistenzialista dell’intero gioco, Nier: Automata è disseminato di riferimenti al mondo della filosofia. Troviamo citati Kierkegaard, Marx, Kant, Pascal e tanti altri; gran parte di queste citazioni credo non siano nient’altro che riferimenti e nulla più, ma sono talmente tanti e di filosofi talmente complessi che mi verrebbe difficile analizzarli tutti approfonditamente. Per questo motivo, ho deciso di sottoporre ad uno sguardo ravvicinato due filosofi citati che più di altri ritengo essere vicini ai temi di Nier Automata: Jean-Paul Sartre e Simone De Beauvoir.
Attenzione, ci saranno degli spoiler sulle route A, B e C!
LA MACCHINA SARTRE E L’ESISTENZIALISMO DI PASCAL
La macchina Sartre (o Jean-Paul, a seconda della versione del gioco) si trova nel villaggio di Pascal; la macchina, elegantemente vestita, ci accoglie con una frase emblematica della filosofia sartriana: “l’esistenza precede l’essenza”, concetto espresso in “L’esistenzialismo è un umanismo”. Tale opera è un pamphlet pubblicato dopo la Prima Guerra Mondiale che riassume i concetti principali dell’esistenzialismo sartriano. Il passo completo da cui è tratta la frase recita così: “c’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: questo essere è l’uomo […]. Che significa in questo caso che l’esistenza precede l’essenza? Significa che l’uomo esiste innanzi tutto, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. L’uomo […] non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. […] L’uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere: l’uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo.”
In verità, della filosofia sartriana la macchina ci dice ben poco, limitandosi a citare frasi e concetti che assomigliano più ad una posa. L’opera citata non è scelta a caso tra le tante: il suo titolo comunica l’attenzione che il gioco ripone nel problema dell’uomo e della sua esistenza. La citazione in particolare ci aiuta a comprendere meglio ciò che fanno le macchine e gli androidi: in esse, l’esistenza ha preceduto l’essenza. Sono nate come nulla, come delle tele bianche e si sono definite solo successivamente, tramite le proprie azioni, tant’è che alcune macchine, come Pascal, riescono a crearsi la propria esistenza.
Proseguendo nell’analogia, in un passo Sartre afferma: “quando diciamo che l’uomo è responsabile di se stesso, […] intendiamo […] che egli è responsabile di tutti gli uomini. […] Non c’è uno solo dei nostri atti che, creando l’uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell’uomo quale noi giudichiamo debba essere.” Credo che questo si applichi soprattutto alla figura di Pascal, che scegliendo di disconnettersi dalla rete e praticare ideali di pace e collaborazione, per primo sceglie un progetto per se stesso che diventa immagine di come vorrebbe che le macchine fossero. Questo progetto, però, le si ritorce contro quando i bambini-macchina che aveva così amorevolmente educato ai sentimenti umani crollano sotto il peso della paura, che li conduce al suicidio. È mia opinione che sia in questo frangente che Pascal sperimenti l’angoscia sartriana. A riguardo, Sartre afferma che “l’uomo che assume un impegno ed è consapevole di essere non soltanto colui che sceglie di essere, ma anche un legislatore che sceglie, […] e per sé e per l’intera umanità, non può sfuggire al sentimento della propria completa e profonda responsabilità”. Da ciò ne deriva che l’uomo è angoscia, secondo Sartre, in quanto essa è parte integrante della scelta stessa e l’uomo è ciò che sceglie. La quest che porta a questo terribile epilogo è intitolata “Pascal’s Despair”, la Disperazione di Pascal. La disperazione è un altro concetto della filosofia sartriana, ma non ritengo che possa connettersi al significato che assume nella quest: la sua disperazione, infatti, non è collegata al sentimento negativo generato dal potersi affidare unicamente al reame del possibile senza alcuna padronanza concreta sul proprio destino (definizione di disperazione per Sartre), bensì alla definizione ben più elementare di disperazione come totale stato di sconforto e abbattimento.
Tornando alle analogie tra gioco e realtà, c’è un altro aspetto della macchina Sartre che stride con il Sartre raccontato in alcune biografie. Sartre era un personaggio particolare: straordinariamente brutto, ma non per questo privo di fascino e carisma, istrionico, con un’intelligenza fuori dal comune. La sua passione per il genere femminile iniziò in giovane età, animata dal desiderio di diventare un “uomo fatale”, un infallibile seduttore, intenzionato a sperimentare l’amore in tutte le forme possibili. Così fu, per buona parte della sua vita. Sartre e De Beauvoir erano amanti, ma non amanti comuni: il loro era un rapporto paritario, ma mai esclusivo, basato sulla totale condivisione e privo di filtri. Sartre non era incline alla monogamia, per sua stessa ammissione una mera costruzione sociale, che privava del piacere di sperimentare l’amore per altri esseri viventi. La sua relazione con Simone era basata su un’intesa unica, che si realizza quando due menti geniali si incontrano e si riconoscono come tali, e proprio in quanto tali non saprebbero fare a meno l’una dell’altra.
La macchina Sartre è piuttosto denigratoria nei confronti delle sue ammiratrici, rifiutando in malo modo tutti i regali che esse gli portano. D’altronde, però, altre fonti descrivono il filosofo come insaziabile, egocentrico, capriccioso, dotato di scarsa igiene; la sua relazione con De Beauvoir era tutt’altro che paritaria come loro vaneggiavano che fosse, ma l’ago della bilancia affettiva pendeva più su di lei che su di lui, che si godeva la poligamia a dispetto della sua cocente gelosia. Difficile dire quale delle versioni sia quella più corretta, perché le biografie non sempre riportano una verità oggettiva. La mia interpretazione, che credo si confermerà anche parlando di Simone De Beauvoir, è che Taro abbia voluto giocare con queste figure storiche, adattandole alla sue finalità narrative, fregandosene dell’esattezza storica, della quale non si può avere comunque certezza.
SIMONE DE BEAUVOIR E LA RICERCA DELLA BELLEZZA
Per quanto riguarda Simone (o Beauvoir, sempre in base alla versione), invece, durante il playthrough con 9s si comprende meglio la sua backstory, secondo la quale la macchina è impazzita nel tentativo di essere notata da Jean-Paul, che non la degnava di uno sguardo. Se volessimo porre la questione sul lato puramente estetico, Simone De Beauvoir era fin troppo bella per lo sgorbio che era invece Sartre. Lui comunque la chiamava “Castoro”, un soprannome che Simone pareva non amare. Ritengo che la realizzazione della macchina Simone possa basarsi su questa disparità tra i due, come descritta anche nel paragrafo precedente. La loro relazione paritaria era forse solo un’illusione che i due alimentavano a vicenda, ma in cui la parte lesa era soprattutto Simone, spesso preda di una feroce gelosia. Quest’ultima è alla base della mia interpretazione della backstory di Simone, che ho elaborato a partire da una sua biografia (Simone De Beauvoir, Francis Claude e Gontier Fernand, Bompiani Editore).
Come già accennato, la macchina Simone è apparentemente lontana dalla vera Simone De Beauvoir: la prima, folle, insicura, bisognosa di affetto, di essere guardata, presumibilmente da un maschile non interessato, disposta a qualunque cosa pur di ottenere l’attenzione che desidera, persino compiere atti indicibili come divorare parti di macchine e androidi; la seconda, indipendente, eccentrica, con tendenze saffiche, poco interessata all’apparenza fisica, quanto più alla letteratura, allo studio, alla riflessione filosofica. Le due figure non collimano. C’è un però.
Sartre aveva una relazione con un’attrice di teatro di nome Simone Jolivet. Gli aneddoti che Sartre riferiva su questa donna erano motivo di grande gelosia e angoscia per De Beauvoir: Simone Jolivèt era bella come una divinità, elegante e ben vestita, con un temperamento imprevedibile, ma incredibilmente fascinoso. Sartre ne era ammaliato e De Beauvoir si sentiva adombrata da questa donna così diversa da lei. Il pensiero la ossessionava al punto da temere di venirne distrutta, così decise di incontrarla faccia a faccia per dare un volto alla sua paura: al loro primo incontro Simone Jolivet indossava una veste scarlatta e molti gioielli. La gelosia di De Beauvoir non fece che crescere dopo il loro incontro, aggravata dal pensiero di non essere così indipendente e rivoluzionaria come pensava di essere.
Questo aneddoto credo che possa incastrarsi con la backstory della macchina Simone: nella mia interpretazione, la disperazione della macchina Simone si rifà a quella provata da De Beauvoir verso Simone Jolivet. Ci sono alcuni elementi che coincidono: il teatro come arena del boss, la veste scarlatta, la ricerca di un gioiello che rende bellissimi (come quelli indossati dall’attrice) e della bellezza in generale. Forse (molto probabilmente) sono coincidenze e sto leggendo troppo in profondità, ma la mia ipotesi è che la macchina Simone sia un riferimento ad entrambe le Simone, l’attrice e la filosofa. Sarebbe Simone De Beauvoir che imita Simone Jolivet nel tentativo di essere amata e considerata da Jean-Paul come l’unico amore. Credo che il gioco abbia voluto considerare più che l’aspetto filosofico di Simone De Beauvoir, il suo aspetto umano, a differenza di quanto ha fatto con Sartre di cui ha scelto di accennare la filosofia vera e propria, proponendo citazioni reali. Ritengo anche questo abbia contribuito ad essere molto più empatici verso Simone rispetto a Sartre. La storia di Simone è molto più struggente di quanto siano interessanti i riferimenti di Jean-Paul, d’altronde, e forse è meglio così.
DIVENTA CIO’ CHE SEI
Come abbiamo visto, i riferimenti alla filosofia in Nier: Automata sono vari e nascosti nelle maniere più disparate. I due esempi che ho appena descritto sono quelli che hanno maggiore senso all’interno del gioco, perché entrambi questi filosofi hanno affrontato il tema dell’esistenza umana come qualcosa che l’uomo “fa” di sé, che è ciò intorno a cui gira l’intero gioco. Provare sentimenti, smettere di combattere, anelare l’umanità come un prezioso premio sono tutte emergenze (nel senso di qualcosa che emerge da una superficie) con cui gli androidi e le macchine sono costrette a scontrarsi, mentre sullo sfondo si staglia solo l’angoscia di stare combattendo senza un motivo, per pura inerzia.
Questo è ovviamente solo grattare la superficie di quest’opera meravigliosa. Ne ho analizzata una piccola parte, esponendo principalmente interpretazioni personali, che spero abbiano almeno una parvenza di senso. In un mare di giochi senza arte né parte, Nier: Automata si distingue per la sua incessante interrogazione su quegli aspetti dell’umanità che sono così basilari da sembrarci scontati, ma che sono alla base di ciò che siamo: esseri umani.