“Il penitente” con Luca Barbareschi al Napoli Teatro festival Italia

Un coinvolgente Barbareschi penitente imploso nei sensi di colpa
Il 3 e 4 luglio è andato in scena lo spettacolo in prima assoluta ‘Il penitente’ tratto dal libro di David Mamet con la traduzione e regia di Luca Barbareschi per il Napoli Teatro Festival Italia. Una coproduzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Teatro Eliseo.
L’evento è realizzato nell’ambito della X edizione del Napoli Teatro Festival Italia. Progetto cofinanziato dall’Unione Europea, dallo Stato Italiano e dalla Regione Campania, nell’ambito del POC Campania FESR 2014-2020.
In scena Luca Barbareschi (Charles lo psichiatra), Lunetta Savino (la moglie), Massimo Reale (Richard l’avvocato difensore), Duccio Camerini (avvocato accusatore).
Tra le luci tenue della sera estiva, il Cortile d’onore del Palazzo Reale accoglie il pubblico in una platea a forma di croce greca, con al centro il palco. Ciò permette una visione ottima ed un contatto quasi intimo con gli attori.
Quattro lati di un quadrato, sopra il palco un cubo dove vengono proiettate immagini di Claudio Cianfoni di personaggi fagocitati dall’interesse mediatico, tra video,fotografie e scritte, con il sottofondo sonoro di musica d’ambiente a cura di Marco Zurzolo.
I protagonisti col giungere dell’ombra serale si accomodano tra il pubblico, ognuno in un lato tra le sedie del pubblico poste in prima fila.
Al termine delle videoproiezioni Barbareschi giunge in completo grigio e kippah sul capo, segno della ritrovata fede ebraica, sul palco la cui scenografia (ideata da Tommaso Ferraresi) è essenziale, composta da un tavolo a triangolo scaleno e due sedie.
Barbareschi interpreta Charles uno psichiatra al centro di una gogna mediatica, in quanto un suo paziente omosessuale si è macchiato di un pluriomicidio.
L’azione si svolge con l’attenzione catastrofica dei media dovuta ad un errore tipografico (forse) che ha posto il protagonista al centro dell’attenzione per una presunta avversione contro gli omosessuali.
Ottimo il percorso introduttivo nel vivo della narrazione, con dialoghi che si susseguono ritmicamente senza soluzioni di sorta.
Il suo rifiuto di Charles a testimoniare in difesa del suo paziente lo metterà al centro di una indagine per cercare di determinare o estorcere affermazioni circa l’omosessualità, giungendo così alla conclusione che la mancata testimonianza sia frutto di un odio per gli omosessuali in seguito alla conversione religiosa. Mentre il vero motivo è la fedeltà al giuramento di Ippocrate.
Un intenso Barbareschi nel descrivere la discesa agli inferi legali e mediatici del protagonista, che vede la propria vita sgretolarsi essendo un uomo oppresso dalle regole e dalla morale, che si aggrappa ad una fede non salvifica, il cui rigore viene alleggerito solo nel gesto di togliersi la giacca. Charles è un uomo che implode su sé stesso, rinchiudendosi sempre di più, attraverso le scelte che lo portano via via in una strettoia dalla quale sarà difficile liberarsi se non ad un altissimo prezzo.
L’angoscia viene sottolineata dalle luci di Iuraj Saleri emanate dal cubo sospeso, quale minaccia e prigione simbolica nella quale cadono via via i protagonisti, ognuno per la sua misura.
Nella scelta registica di Barbareschi, il dramma viene descritto in otto scene, otto atti di confronto tra marito e moglie, in cui il protagonista ha solo un momento di intimità con la moglie quello di toccargli le mani, evidenziando un muro invisibile che li divide, non un abbraccio, non una carezza. Una separazione non solo fisica ma anche morale, che li vede in posizioni differenti, dove la caparbietà moralistica dell’uno si scontra con l’esigenza di comprensione dell’altra, che fatica a stare dietro al marito, perdendosi alla fine nella solitudine di chi non riesce a gestire situazioni e persone.
Una splendida Lunetta Savino incarna perfettamente lo spaesamento della protagonista, una donna, una moglie, che vuol comprendere ma non riesce a seguire i ragionamenti e le motivazioni del marito, sentendosi inappropriata nel turbinìo della situazione.
Molto incisive le presenze dei due avvocati, dove Richard amico ed avvocato difensore cerca di dare un conforto legale seppur con qualche errore di valutazione, che cerca di far comprendere le esigenze giuridiche rispetto a quelle deontologiche del dottore. Interpretazione convincente di Massimo Reale, mentre l’aggressivo avvocato dell’accusa è l’inquisitore che cerca di far vacillare fede e convinzioni del protagonista, attraverso una energica performance di Duccio Camerini.
Mamet lascia alla moglie del protagonista, nel monologo finale il colpo di scena che ribalterà il concetto di uomo buono, rivelando la verità sul comportamento del marito e la causa scatenante di tutta la vicenda.
Lunetta Savino proprio nelle battute finali si è commossa, abbracciata virtualmente dal pubblico che ha tributato un lungo applauso ai protagonisti con diverse chiamate.
Mamet è un autore che Barbareschi ha proposto a partire dagli anni Ottanta, portandolo sulle scene italiane, come interprete, regista e come traduttore. Nell’ultimo libro del 2016 Il penitente, Mamet sceglie di raccontare un dramma che indaga sulla natura umana sviscerando i suoi lati più nascosti, una drammaturgia che ben si presta alla trasposizione teatrale, dove si esaltano le fragilità e gli errori dei protagonisti.
Audio ottimo, le musiche di ambientazione di Marco Zurzolo sanno accompagnare le immagini iniziali, mentre al termine della rappresentazione la scelta musicale ha preferito Bob Dylan con ‘Hurricane’, il pugile afroamericano accusato ingiustamente di omicidio.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Eliseo di Roma a novembre (7-26 novembre 2017), del quale Luca Barbareschi è il direttore artistico, riuscito a sventarne la chiusura grazie allo stanziamento di fondi per il 2017 e 2018.