Morire con un sorriso: “L’eternità dolcissima di Renato Cane” al Brancaccino

Dopo lo straordinario allestimento di “Madame Bovary”, firmato da Andrea Baracco, “KHORA Teatro” ci regala un’altra splendida perla che trova posto al Brancaccino: “L’eternità dolcissima di Renato Cane”. Il nome del protagonista, scelto con ammirevole sapienza da Valentina Diana, desta immediatamente nello spettatore, da un lato, l’immagine della solitudine, dell’abbandono, un senso di melanconia e compassione, un’immagine che viene stemperata, dall’altro lato, dall’ironia e simpatia che associamo istintivamente al miglior amico dell’uomo.
L’uomo di questa storia, però, non ha amici. Lui vive una vita qualunque, ha un lavoro qualunque da cui cerca di fuggire disperatamente, una famiglia qualunque, lui è un uomo qualunque a cui sta per capitare una cosa qualunque: morire. La morte è il tema di questo spettacolo, che Diana decide di far collidere con il consumismo esasperato e l’eterna ambizione di profitto della nostra società con esiti esilaranti, soprattutto quando mostra gli esponenti e i professionisti che orbitano in essa. Quale miglior strumento teatrale per parlare di uno degli eventi più naturali e, allo stesso tempo, più terrorizzanti della nostra vita se non il monologo, il più adatto anche per esprimere ciò di cui non si può parlare con altri, che deve rimanere nell’ombra.
C’è qualcosa di magnetico e al tempo stesso pericolosissimo nell’affidare il successo di uno spettacolo ad un solo interprete. Marco Vergani si è dimostrato perfettamente all’altezza del compito. La sua recitazione è netta, precisa, anche nei momenti in cui riporta personaggi grotteschi non scade mai nella banalità, nel compiacimento e lascia alla platea la possibilità di seguire facilmente i pensieri e le, assurde, vicissitudine del Cane; non ci sono tempi morti, il ritmo è senza dubbio un forte alleato di Vergani che riesce ad alternare, senza violente cesure, sfumature emotive senza perdere di vista, però, l’integrità e il lato ironico del personaggio.
La regia di Marchioni è sicuramente al servizio dell’attore, una regia sobria e non invasiva. Marchioni, da grande attore quale è, sa perfettamente che il monologo è una struttura delicata, fragile e le sue scelte si armonizzano perfettamente al racconto, le soluzioni illuminotecniche sembrano indicare un sentiero che ci conduce sempre più nell’ intimità di Renato Cane allontanandoci, seppur momentaneamente, dalla superficialità, la piattezza e la crudeltà della vita quotidiana che ci viene restituita anche dalla presenza di oggetti/feticci che evocano l’assenza degli altri personaggi che popolano la vita di Cane, ognuno di loro risucchiato dalle frivolezze del mondo per occuparsi dei problemi che affliggono il protagonista.
Complessivamente lo spettacolo è un piccolo gioiello all’interno della stagione del Brancaccino e speriamo che torni presto in programmazione. Noi andremo volentieri a vederlo.