Una famiglia quasi perfetta: commedia dal contenuto moderno e dalla forma antica

Il 23 Febbraio scorso, al teatro Sala Umberto, approda Una famiglia quasi perfetta, spettacolo scritto e diretto, oltreché interpretato, da Carlo Buccirosso, attore comico napoletano noto soprattutto al grande pubblico per aver recitato in numerosi film, spaziando ecletticamente dai cinepanettoni di Carlo Vanzina- di certo non un modello di regia per la cinematografia italiana- a pellicole più impegnate, come il Divo, La grande bellezza, tutti e due film di Paolo Sorrentino, Noi e la Giulia di Edoardo Leo, film grazie al quale vinse un David di Donatello come miglior attore non protagonista.
Dopo questa lunga carriera cinematografica, fatta di film anche meno importanti rispetto agli ultimi citati, Buccirosso torna a teatro. Per di più con una commedia scritta e diretta da lui stesso, commedia che, senza troppi fronzoli e giri di parole, omaggia in maniera ammiccante al sancta sanctorum della commedia napoletana: Scarpetta, i fratelli De Filippo, Salemme, per arrivare a commediografi più recenti.
Una commedia che senz’altro tenta di far rivivere un tipo di teatro d’altri tempi, che anche per questo attira un pubblico d’un’altra generazione, avvezza ad un altro modo di intendere e concepire il teatro.
Una famiglia quasi perfetta parla di tematiche attuali, scottanti: l’adozione di un figlio e tutte le sue relative problematiche; l’infinito universo burocratico di leggi esistenti in Italia e la loro (non) applicazione; la genitorialità biologica di fronte a quella adottiva. La storia è molto lineare e semplice: un padre, appena uscito di galera, vuole riprendersi suo figlio, che non vede da più di vent’anni, poiché durante il periodo della sua detenzione, il figlio è stato affidato ad una famiglia adottiva. Così il padre biologico, nell’intento di recuperare suo figlio, metterà in atto un piano complesso, coinvolgendo una presunta sua nuova fidanzata, un avvocato, e tutta un’altra serie di personaggi secondari.
Fin qui si è parlato dei temi straordinariamente attuali di cui tratta la commedia, per cui i contenuti sembrano essere più che mai chiari. Ma non abbiamo parlato della forma, dello stile. A livello formale, riflettendo su quello che i linguisti chiamavano “codice espressivo”, l’opera pare posta su un altro piano, sembra far riferimento ad un altro tipo di teatro: la commedia dell’arte. Alcuni personaggi, come per esempio l’avvocato, interpretato da Gino Monteleone, ricalcano proprio la struttura dei tipi fissi, tipica della commedia dell’arte, tantoché la figura dell’avvocato non si discosta molto da quella del Dottore delle commedie del Cinquecento.
Durante tutto lo spettacolo si respiravano ritmi serratissimi, che hanno dato luogo a gag esilaranti e risate mozzafiato, anche se talvolta il testo si lasciava comprendere solo da un pubblico prettamente napoletano, almeno così è accaduto in alcuni punti dello spettacolo. Talvolta accadeva anche che alcune battute sembrassero scritte appositamente per richiedere il consenso del pubblico, proprio come spesso accade nella commedia dell’arte.
Buccirosso, nella sua interpretazione, ha saputo mostrare una grande versatilità, oltre agli eccellenti tempi comici che già sappiamo di lui, restituendoci un personaggio diverso da quello che siamo abituati a vedere al cinema, nel ruolo stereotipato dell’inetto napoletano piccolo-borghese.
Anche la scenografia è stata molto ben curata, con attenzione ai minimi particolari, ai minimi dettagli. Molto spettacolare anche la scelta scenografica dell’ ekkùklema, piattaforma ruotante che serve a cambiare scenografia.
Per finire, si può quindi dire che lo spettacolo è stato senz’altro interpretato da attori professionisti, padroni del meccanismo comico che, nonostante tutto, cercano di dare nuova linfa vitale ad un genere teatrale che sta divenendo sempre più di nicchia, poiché nato come genere prettamente provinciale: la commedia napoletana.