Il Futebol e la Ginga: ontogenesi calcistica del Brasile
“Il calcio è musica, danza e armonia. E non c’è niente di più allegro della sfera che rimbalza” (Pelé)
Gruppi di marinai inglesi, olandesi e francesi diedero il calcio di inizio a ciò che divenne lo sport brasiliano per eccellenza. Fu durante la metà dell’ottocento che il calcio, praticato prevalentemente in contesto europeo, arrivò sulle sponde brasiliane. Proprio sulle spiagge che si estendevano di fronte al “Gloria”, hotel rinomato tra gli abitanti di Rio de Jainero, nel 1874, venne tenuta la prima partita di calcio tra gli energici giocatori britannici appena sbarcati. Tuttavia, l’effettiva nascita e la conseguente diffusione del futebol (idioma portoghese) si deve al paulista, Charles Miller, proveniente dal quartiere di Bras (San Paolo), e studente della Banister Court School di Southampton (Hampshire, Inghilterra). Portando con sé due palloni e le regole di un gioco destinato a rappresentare una storica e profonda passione nazionale, Miller faceva ritorno a San Paolo nel 1894.
“E’ l’inizio di un’epopea, di una storia che mescola cronaca e leggenda” (Darwin Pastorin)
Ad amministrare e ad organizzare a livello nazionale e in modo definito e strutturale, il calcio brasiliano, fu la cosiddetta Conferedação brasileira de desportos, altrimenti conosciuta come CBD. Quest’ultima venne fondata il 5 maggio del 1961, con a capo il suo primo presidente e amministratore sportivo, Álvaro Zamith, il quale gestiva, oltre al football, altre svariate discipline sportive come il canottaggio, la pallavolo, il nuoto, e l’atletica. Nel 24 settembre del 1979, la confederazione venne ri-denominata Confederação brasileira de futebol (CBF), sotto la guida del dirigente brasiliano, Giulite Coutinho. Fino al 2012, le iniziative della CBF sono state perseguite e promosse da Ricardo Terra Teixeira, futuro genero di João Havelange, ex presidente FIFA. Ad oggi, la gestione della confederazione sportiva è stata affidata al presidente della Corte Superiore di Giustizia Sportiva del Calcio (STJD), decisione intrapresa in seguito alla destituzione del dirigente e politico brasiliano, Ednaldo Rodrigues, accusato di aver invalidato un accordo del marzo 2022 inerente alla sua elezione.
Nel 1950, il Brasile organizzava scalpitante il suo primo mondiale non sapendo che sarebbe stato presto ricordato come una delle più grandi delusioni per la tifoseria brasiliana. I motivi della sconfitta contro la celeste Uruguay, furono due: “l’eccessiva sicurezza e una disposizione tattica spregiudicata, votata esclusivamente all’attacco” (Darwin Pastorin). Scene di isteria e suicidi divennero popolari in tutto il Brasile, non perdonando quei fatali gol al portiere di Campinas (San Paolo), Moacir Barbosa. Abbandonando l’amarezza per aver perso un mondiale, si apriva imponente l’apoteosi per vincerne ben cinque (1958, 1962, 1970, 1994, 2002). Strepitosa e divertita faceva il suo ingresso in campo la Seleçâo brasiliana composta da giocatori, quali: Gilmar, Djalma Santos, Niton Santos, Zito, Bellini, Orlando, Garrincha, Didì, Vavà , Altafini, Zagallo e Pelé. La prima conquista del 1958 contro la Svezia, faceva risuonare seguendo il ritmo dei rimbalzi, il passo acrobatico della Ginga. Il diciottenne e inarrestabile Pelè attraverso l’esecuzione di sublimi dribbling e gli esuberanti tiri al volo, incantava gli spalti. La forte Seleção ricordava alla tifoseria brasiliana (e non solo), l’identità e la creatività di un popolo povero e deportato, le cui espressioni venivano racchiuse in 5 lettere, in una tecnica di gioco e in una filosofia sportiva. Lo stile Ginga non era focalizzato sulla desiderata vittoria, ma tendeva ad un divertimento imperfetto e improvvisato, e, di conseguenza, esplosivo. Fondendo la danza al combattimento, la Ginga, proveniente dalla Capoeira, rendeva il calcio brasiliano imprevedibile ed efficace. Riflesso della vitalità, della passione per il gioco, e dell’amore per la creatività, tale tecnica non rappresenta solo un approccio sportivo, ma un elemento del patrimonio culturale dell’intero Brasile che invita a ripensare il futebol e le altre discipline sportive, come forme d’arte ed espressioni personali.
Negli ultimi anni, il calcio brasiliano ha raggiunto risultati insufficienti di fronte alle aspettative delle tifoserie mondiali che rimango costantemente altissime. Eliminato recentemente ai quarti di finale della Coppa America (torneo maschile in cui concorrono le nazionali sudamericane), lo stesso Brasile ha ritenuto inconcepibile qualsiasi risultato diverso dalla vittoria. Ritorna, oggi, appropriata l’affermazione del sito sportivo, The Athletic, il quale osservava, in seguito alla partita contro l’Uruguay, come “spesso gli standard elevati sono autoimposti”.
Che non basti allora ricordare quelle parole semplici di Pelè per riportare in campo una festosa vitalità di fronte alla progressiva imposizione della prepotente idea di vittoria?