Orrore: come e perchè non giudicare la madre di Imperia
Abbiamo ancora negli occhi l’orrore di aver appreso dalle cronace la notizia della tragedia accaduta a Bordighera, nell’imperiese, località turistica del ponente ligure, che da vicino vive il dramma di quanto accaduto nella sua comunità, nonostante la protagonista sia una turista russa.
A chi fosse sfuggito il fatto di cronaca, perchè oramai sono così tanti e brutti che molti si assomigliano, ricordiamo che un bambino di nove mesi era scomparso ma gli inquirenti poi, in poco tempo, hanno risolto il caso, facendo la macabra scoperta grazie alla confessione della madre del bimbo, una donna russa che in preda alla depresione ha gettato in mare il proprio piccolo. L’articolo di cronaca puoi leggerlo qui
Natalia Sotnikova, 40 anni, questo il nome della madre che ha commesso il folle gesto, ha confessato dopo un lungo interrogatorio, dicendo della cruda realtà, che gli è costata l’accusa per omicidio volontario aggravato da crudeltà.
Ma risulta necessario spendere qualche parola in più che non sia lo sgomento, lo sconcerto iniziale che porta la maggiorparte delle persone ad eprimere un giudizio frettoloso e spesso senza appello.
Il movente fornito dalla povera donna, nel suo stato di depressione, è stato temere che il piccolo fosse schizofrenico. “Ho voluto uccidere mio figlio”, sono queste le parole pronunciate da Natalia Sotnikova, davanti al procuratore aggiunto Grazia Pradella, con una freddezza lucida. La donna, quando si è accorta che il bambino non respirava, ha sganciato il marsupio e l’ha lasciato andare.
Ora di razionale in questo non c’è nulla, perchè come può esserci razionalità in una donna che, secondo le registrazioni dell’impianto di videosorveglianza, sarebbe uscita a notte fonda verso le due portando con se il figlio in braccio, salendo su una lussuosa Bmw blu notte noleggiata a Ginevra, con la quale ha percorso una ventina di chilometri arrivando sulla scogliera di Bussana, dove avrebbe compiuti l’insano gesto.
Una prima prova starebbe nel fatto che la madre, così come appurato dalle indagini, prima di uscire con il bimbo, avrebbe lasciato in stanza un biglietto nel quale annunciava l’intenzione di farla finita.
Era solo una richiesta di aiuto, non una reale intenzione di suicidarsi. Nel suo cervello malato, il bambino è stato usato come strumento per attirare l’attenzione. Questo potrebbe spiegarlo molto bene uno psichiatra.
Ma non servono affatto i giudizi, che si fermano solo al fatto in se stesso. A cosa servirebbero infatti le parole se non vanno oltre, perchè la ragione deve prevalere sul cuore e per poter “giudicare” questa donna, o comunque atti simili, bisognerebbe avere tanti altri elementi. Serve invece analizzare la sua mente e solo dopo si può azzardare un “giudizio” perchè chi siamo noi per poterlo fare?
Chi sei tu che giudichi il tuo fratello? questo diceva un grande Maestro duemila anni fa, e questo dovremmo tener presente ogni volta che puntiamo il dito e scagliamo la pietra.
Fare poi dei paralleli con alti casi simili o addirittura col caso di Corona, in carcere per una “scioccchezza”, rispetto a questa, è ancora più sbagliato. Il caso Corona, che pure è complesso e merita rispetto, è tutta un altra storia, mentre altri casi simili a questo hanno in comune solo il dramma che coinvolge vittime innocenti, ma ognuno è un caso a se con delle sfaccettature tutte diverse, che si intagliano nella mente di ogni singolo con delle dinamiche complesse.
Bisogna dunque considerare che una madre così è una madre malata, forse un madre più sensibile di tante altre perbeneniste, che mai farebbero un azione simile, ma che poi di fatto rovinano figli in un altra maniera: manipolandoli, proiettando su di essi le proprie ansietà, salvo poi dare di loro, all’esterno della famiglia, un’immagine di madri irrreprensibili.
Se invece andassimo a leggere le confessioni di persone fatte in assoluto anonimato sui lettini dei psicoanalisti, scopriremmo cose che farebbero diventare insignificante questo fatto per quanto drammatico.
Questo non vuol dire che si giustifichi l’episodio in questione, ma che invece è da comprendere, pur provando dolore per la piccola vista spezzata.
Di questi fatti se ne parla troppo sia in Tv che, con superficialità in ogni ambito, da quello lavorativo, al bar, ai mezi pubblici. Ma se utilizzassimo questo tempo per guardarci intorno a noi, quante cose scopriremmo e quante occasioni avremmo per dare una mano a chi ha bisogno.
Troppo facile dare la colpa all’assistenza sociale pubblica, la prima assistenza sociale spetta ad ognuno di noi, con quello che possiamo. Talvolta basta uno sguardo un sorriso, laddove vediamo sofferenza, disagio, difficoltà.
Poi ci si può muovere con le nostre forze o chiedendo aiuto alle istituzioni, ma criticare e basta non serve a nulla, se non a fomentare pensieri negativi dai quali non può nascere nessun sentimento positivo.
Tutto ciò scaturisce dal solo sentimento che si chiama “Amore” o “Carità”, questo seentimento quando è puro, non solo è positivo, ma contagioso e copre molti falli umani che, in alcun altro modo si potrebbero colmare.
Inutile il perbenismo, ma andiamo “oltre” anche nel caso di questa mamma che ha dichiarato di essere era convinta che suo figlio fosse malato e voleva risparmiargli una vita difficile.
Vero o non vero che sia, questo fa pensare che nella sua mente malata, abbia in qualche modo agito per protezione. La mente è una macchina complessa, e quando poi è malata le persone hanno solo bisogno di aiuto. Nessuno ti viene a dire “sono fuori di testa”, ma lancia sempre dei segnali, sta a noi saperli raccogliere.
Troppo facile aprire la bocca senza sapere che cosa veramente succede, che cosa passa e prova una persona. Nella fattispecie, la depressione, il senso di inadeguatezza per il ruolo di madre per l’incombenza di avere un neonato certamente provoca delle forti tensioni.
Invece di puntare il dito, muoviamoci senza ipocrisia e aiutiamo anche semplicemente ascoltandole loro paure, le incertezze di chi soffre, prima che queste diventino armi a doppio taglio.
La schizofrenia non lascia scampo e lei se lo è, non ha colpa alcuna, ma è vittima e mai capirà cosa ha fatto, ma avrà difficoltà a continuare a vivere.
Sebastiano Di Mauro
12 dicembre 2014