Compensi Rai, da Fazio a Crozza: lo scontro politico sui big della Tv
“Non si interrompe un’emozione” sosteneva un Brunetta orgoglioso durante la sua partecipazione a Che tempo che fa, e non ha intenzione di arrestarsi neanche il dibattito sui compensi percepiti da alcuni simboli della tv pubblica.
Ad incendiare gli animi ci ha pensato Renato Brunetta, membro in commissione Vigilanza Rai, non nuovo a certe battaglie. Il contenitore domenicale condotto da Fabio Fazio è diventato il terreno ideale per il capogruppo alla camera del Pdl che ha chiesto conto dell’importo del rinnovo contrattuale del padrone di casa. Le cifre del nuovo contratto di Fazio con la Rai si aggirerebbero sui 5,4 milioni lordi per i prossimi 3 anni, quindi circa 1,8 all’anno per il presentatore di Che tempo che fa e del Festival di Sanremo. Fazio ha fatto presente a Brunetta che i presentatori sono legati al vincolo di segretezza e non possono rivelare con esattezza l’importo percepito, questo non ha scomposto Brunetta il quale ha sottolineato che comunque le dichiarazioni dei redditi sono pubbliche.
Da qui è scaturito il dibattito che ha chiamato in causa da una parte la trasparenza e dall’altra la considerazione che la divulgazione delle cifre altererebbe pesantemente la concorrenza nel settore radiotelevisivo. A mettere benzina sul fuoco ci ha pensato Beppe Grillo già ostile nei confronti di Fazio per la sua presunta faziosità e vicinanza al Partito democratico.
Il leader del movimento 5 stelle attraverso Twitter e il suo blog ha attaccato Fazio e il suo compenso, concludendo con il proclamo di andare a cantare a Sanremo a tutela degli abbonati Rai, non si è fatta attendere la replica del conduttore ligure che ha incoraggiato l’ex comico Rai a portare due bei pezzi come da regolamento.
A non essere sulla stessa linea di Fazio è il Codacons che ha presentato un esposto alla Corte dei conti sui contratti di alcuni dei pesi massimi della Rai. Infatti la polemica non ha coinvolto da vicino soltanto Fazio, ma anche Crozza e Benigni particolarmente avvisi al Pdl. Maurizio Crozza, oltre alla copertina settimanale a Ballarò su Rai 3,avrebbe dovuto compiere il grande salto dalla prima serata di La 7 a quella di Rai 1. Un passaggio che sembrava fatto, ma stoppato all’ultimo per i costi considerati esorbitanti dentro e fuori del consiglio di amministrazione Rai da parte del centrodestra. Il programma di Crozza sarebbe dovuto costare intorno ai 25 milioni tra budget per il programma e compensi, ma secondo le stime del suo agente Beppe Caschetto avrebbe portato alla Rai un introito di una ventina di milioni. Come se non bastasse la Rai dovrà rinunciare anche alla serata evento di Benigni di Dicembre, per sopraggiunti impegni dell’artista, oltre che alle serate sulla Divina Commedia che sarebbero dovute andare in seconda serata proprio dopo lo show di Crozza. Il direttore generale della Rai Gubitosi dopo aver difeso le capacità e i meriti di Fazio ha confermato i motivi del mancato arrivo di Crozza, lanciando un appello alla politica: ”Per favore lasciateci operare nel mercato senza interferenze.”
Non sono mancate le reazioni del Pdl che rivendica il suo ruolo nelle vicenda e che continua a dire la sua a riguardo. Su Radio 2 durante la trasmissione ”Un giorno da pecora” l’esponente del Pdl Giovanardi ha dichiarato: ”Fazio guadagna come 40 Senatori.” Un paragone improponibile visto che 40 Senatori non producono ricavi come accade per Fazio con la Rai, questo va sottolineato altrimenti si continuerà a dibattere sulla vicenda per proclami e non come meriterebbe. Bastano i costi di un programma e i compensi percepiti per ritenere insostenibili alcune cifre, se riescono a portare nelle casse dell’azienda pubblica introiti che altri si sognerebbero? La Rai oltre ad essere un ente pubblico è anche un’azienda, e quando una polemica porta al fallimento di una qualsivoglia operazione danneggia pesantemente la competitività dell’azienda stessa, che pur tra le tante difficoltà, rivendica ancora il primato degli ascolti. Procedendo altrimenti in questa direzione di stallo, dovremmo abituarci all’idea di una Rai che rimanga solamente con le repliche da mandare in onda o programmi senza budget, che non reggerebbero il confronto con la concorrenza e produrrebbero ulteriori perdite. Se si tratta di una questione di principio, contestualizzandola in questo periodo di crisi, sarebbe miope e autolesionista, visto che ci sono mega stipendi, principalmente manageriali,che senza produrre ricavi passano sotto il silenzio generale, forse figli di un tacito accordo politico di non belligeranza, cosa che non accade quando entra in gioco la convenienza e la possibilità di avere una presa mediatica maggiore. Se invece si tratta di discutere se un certo investimento sia andato più o meno bene di quanto preventivato, spetterà al consiglio di amministrazione valutarlo. Alla politica spetta invece il compito di vigilare nei limiti stabiliti, altrimenti tra chi vuole bilanciare e chi azzerare gli equilibri della Rai vedremo ancora a lungo questo gioco delle parti senza soluzione di continuità. Aspetteremo comunque le prossime repliche, che viste le premesse non mancheranno.
Matteo Mizzoni
26 ottobre 2013