CHEF CRACCO: una “matriciana” con l’aglio (come faceva la Sora Lella)
Ahinoi, non riusciamo a perdonare la nostra distrazione su certi argomenti. Non sapere che cosa è Masterchef e chi Carlo Cracco è una grossa lacuna da colmare, per non rischiare di essere relegati a quelli dell’archeologia, magari insieme a Susanna Camusso & Co.
Sì, sentivamo dire, sentivamo fare della satira sugli atteggiamenti salomonici dello chef stellato, in questo momento in cui l’interesse della gens italica preferisce, nell’ambaradam politico, rivolgersi alle cose serie, come alla vexata quaestio se nella pasta all’amatriciana ci voglia o no l’aglio in camicia. Coinvolto in tale aspra tenzone per aver scelto questa variante, il Cracco ha chiesto scusa ai sostenitori della ricetta originale di Amatrice nel Lazio, rilevando che l’aggiunta dell’aglio era stata soltanto voglia di un pizzico di novità.
Una polemica sull’amatriciana davvero oziosa. La cucina lascia largo spazio al ghiribizzo del momento, è un fatto di costume che si rinnova nel tempo, sottoposto alla creatività, al gusto personale e all’offerta del territorio. La ricetta strettamente originale della “matriciana” appartiene a quel mondo povero della pastorizia laziale che, per comodità logistiche, aveva inventato dapprima la “gricia”, semplice piatto in bianco con guanciale, pecorino e pepe, che i pastori potevano facilmente portarsi dietro, e solo in seguito arricchita di pomodoro. Ma vorremmo confortare la fantasia culinaria dello chef vicentino, dicendo che a noi la sua variante con l’aglio piace e la usiamo. Come va ricordato che la usava nel suo ristorante sull’Isola Tiberina la compianta Sora Lella, l’attrice cara a Verdone e sorella di Aldo Fabrizi, scomparsa nel 1993. E allora il suo locale era l’ Olimpo della cucina romana.
Così, decidiamo di colmare la lacuna e andiamo a vedere chi è Chef Cracco. Beh, il colpo d’occhio non delude, forse i capelli un po’ troppo lunghi in un ambiente che dovrebbe restare asettico da spiacevoli cadute… in pentola. A meno che, e così pare, lui lasci ormai cucinare i giovani aiutanti. Carlo Cracco, 49 anni, è un vicentino di Creazzo, con un fisico che s’impone sugli allievi timorosi e adoranti, specie se di sesso femminile. Play-boy del fornello, severo censore di una maionese impazzita, ogni sua parola è legge, ogni suo piccolo gesto è religione del gusto.
Lo chef non soffre di logorrea autoreferenziale. Incedere verbale un po’ strascicato, riflessivo, scarno, lo colloca nell’entourage del moderno ‘cheffismo ’ in cui la figura del cuoco è quella di un professionista serioso che affida le sue ricette all’haute cuisine francese e alla scuola di un Gualtiero Marchesi, con uno sguardo assai attento alle gustose divagazioni letterarie di un Pellegrino Artusi dell’800 o di un Marco Gavino Apicio dell’antica Roma. Insomma, una cucina cult.
Per inciso, ha mai provato Mr. Cracco le pesche all’aceto e miele di Apicio ? Provare per credere, magari con qualche sua magica variante da proporre come dessert nel suo rinomato ristorante ai Navigli di Milano, aperto ai palati più sofisticati e ai portafogli che non conoscono la crisi.
Affiancato dai professionisti Bruno Barbieri e Joe Bastianich, che sanno cementare il trio con simpatica perfidia verso i partecipanti alla gara di Masterchef, Cracco è il deus ex machina, il Giove Ottimo Massimo di un culto pagano sempreverde. Cibo che diventa religione, un rito nel tempio della cucina che sancisce la sacralità anche di un semplice uovo, elevato a simbolo di EXPO 2015, di cui Cracco sarà uno degli chef Ambassador.
Se il divino ci vedesse in cucina, si metterebbe le mani nei capelli. Quell’uovo rimasto negletto in frigo già prima di Pasqua ci fa pena nella sua frigida solitudine. Ed ecco che, ignorando i segreti del masterchef, il nostro umile occhio di bue al tegamino sarà per un attimo, men che fuggevole, la goduria del palato. Un tuorlo d’uovo, un attimo di paradiso.
Angela Grazia Arcuri
7 aprile 2015