Robert Johnson e il trillo del Diavolo

Vendere l’anima al Diavolo era un gioco pericoloso. Il Diavolo era spesso un furfante, un tipo ambiguo e doppiogiochista. Capitava, che una volta impossessatosi dell’anima del malaugurato, il desiderio promesso non si realizzasse; anzi, che gli si ritorcesse contro. Basta considerare la sventurata vicenda tra Faust e Mefistofele, per capire che del Diavolo tocca non fidarsi troppo. Eppure nel corso della storia della musica, il Diavolo pare ci abbia messo più volte lo zampino. Le capacità tecniche di un musicista, quando erano così alte da stupire ogni ascoltatore, rischiavano di essere considerate magia nera, poiché un solo individuo non avrebbe potuto raggiungere livelli tanto brillanti privato dell’aiuto di una forza soprannaturale. I virtuosismi di Paganini e Tartini misero in circolazione voci poco affabili.
Ma il cammino del diavolo nella storia della musica non si ferma certo con i compositori del Settecento e dell’Ottocento. Un’altra delle sue leggendarie avventure risale agli inizi del secolo scorso, quando il suo cammino si incrociò con la misteriosa figura di un musicista Blues del Mississippi. Di lui bisogna dire che fino al 1967 non si possedeva nemmeno il certificato di morte, ma in quell’ultimo periodo degli anni ‘60, studiosi della cultura popolare americana e musicisti curiosi, cominciarono a pellegrinare verso il sud degli Stati Uniti per scoprire qualcosa di più su quei primi musicisti blues. Di molti di loro è rimasto poco o niente: qualche foto, alcuni nomi che spesso possono riferirsi alla stessa persona. Interrogando i superstiti di quei primi anni, poco alla volta e attraverso un racconto orale spesso contraddittorio, cominciarono a venir fuori alcuni dettagli anche sulla vita di Robert Leroy Johnson, che presto presero la forma di una leggenda o di una fiaba oscura.
L’incontro con un diavolo interiore
Robert Johnson, nato nel 1911 in un piccolo paese oggi praticamente inesistente lungo la Route 55, chiamato Hazlehurst, era venuto al mondo dopo un rapporto extraconiugale della madre, Julia Dodds, con un certo Noah Johnson. Quando il marito di Julia dovette scappare dal Mississippi per sfuggire a un linciaggio, si lasciò alle spalle la moglie e il figlio. I due, da soli e senza una lira, cominciarono a vagare per il Mississippi in cerca di una casa. Solo quando la madre si risposò con un mezzadro, piuttosto abbiente per quel tempo, trovarono entrambi ristoro.
Come ogni buona favola, il patrigno era un tipo severo e manesco; cercava di trascinare il figlio illegittimo a faticare nei campi, mazzolandolo quando si rifiutava. Robert, di lavorare nei campi, non ne voleva sapere; invece si fece insegnare dal fratello a suonare l’armonica e la chitarra, decidendo presto di guadagnarsi da vivere suonando. Raggiunti i diciotto anni, incontrò Virginia Travis, una ragazza adolescente proveniente da una famiglia fortemente religiosa. Nonostante le riserve del padre di Virginia, che considerava Robert uno di quelli che suonava la musica del diavolo, cioè il Blues, i due riuscirono a sposarsi. Si trasferirono in una di quelle case di legno vicino alle piantagioni e Robert, per far felice la moglie, cominciò a lavorare nei campi, lasciando perdere la chitarra. Per qualche tempo vissero in tranquillità. Ma la nuova vita non durò molto: la moglie Virginia e il figlio di cui era incinta, perirono durante il parto.
Forse fu questo il vero incontro di Johnson col Diavolo, ma con un diavolo personale e interiore, che non aveva a che fare con la vendita dell’anima. Dopo la morte della moglie, la vita di Robert cambiò radicalmente. Non avendo più nulla da perdere, i campi distesi della campagna americana si riempirono di nuovi sentieri da percorrere. Con l’idea di diventare un musicista, riprese la via della strada e tornò a vagabondare come un ossesso: “I got to keep movin’, there’s a hellhound on my trail”.
Pare che un giorno Robert abbia ascoltato suonare Son House, in qualche parte del Mississippi, e che da quel momento si fosse ripromesso di diventare come lui. Son House racconta che un ragazzo aveva preso a pedinarlo, fermandosi quando si fermava lui, partendo quando partiva lui; che appena lui e Willie Brown, il compare con cui viaggiava, posavano le chitarre per riposarsi un po’ durante una serata in un Juke Joint, Robert ne afferrava una e provava a strimpellare qualcosa. Il pubblico si infastidiva, perché dicevano che quello era solo rumore, e chiedevano a Son House di cacciarlo via. Robert, come si può immaginare, non la prese affatto bene e da un momento all’altro, scomparì.
La ricomparsa
Robert Johnson ricompare, in una notte dei primi anni del 1930, al Juke Joint di Banks, dove stavano suonando Son House e Willie Brown. Come si può facilmente dedurre dalla parabola della storia, quella notte Johnson suonò in modo magnifico, da fare invidia a tutti. La gente, ascoltandolo, non riusciva a spiegarsi cosa fosse accaduto: dacché a malapena riusciva a prendere una nota, in un anno era avvenuta una rivoluzione. La voce girò nel delta del Mississippi e Robert Johnson divenne il più grande chitarrista, capace di dare una voce plurima alla chitarra, di ripetere melodie appena ascoltate, di saper suonare una Polka, un blues, un pezzo pop e tutto quello che il pubblico gli chiedesse di suonare. Si cominciò a dire che Robert Johnson era andato al “Crocevia” e che s’era venduto l’anima al Diavolo per saper suonare la chitarra come nessun altro. “Andare al crocevia” era una tipica formula Hoodoo, una pratica di magia popolare afroamericana d’inizio Novecento. Per l’Hoodoo Il Crocevia era considerato una X sul territorio, un luogo che non appartiene a nessuno e il punto ideale dove svolgere incantesimi o, come in questo caso, vendere l’anima al Diavolo. Era probabilmente una diceria, quella di Johnson, ma ben inserita nelle credenze dell’epoca. D’altronde, lo stesso Johnson aveva avuto spesso a che fare con i rituali Hoodoo; i suoi testi fanno sempre l’occhiolino a quelle pratiche.
Pagare il debito
Johnson prese a frequentare ogni Juke Joint del Mississippi e di altri stati dell’America del nord, quando, nel 1937, venne chiamato a registrare, cosa che non capitava spesso ai musicisti vagabondi come lui. In due sedute prima a Dallas e poi a Sant’Antonio, che si svolsero in stanze d’albergo piuttosto economiche, vennero incise le 29 tracce, le uniche giunte fino a noi, che oltre a contenere i riff blues fondamentali, che si imparano ancora oggi sulla chitarra come quello di Sweet Home Chicago, e lo stile del Finger style, queste tracce misero le basi del Blues, del Jazz, del Folk e del Rock. Da Bob Dylan ai musicisti Jazz, passarono tutti per il crocevia Robert Johnson. Se non s’era venduto l’anima al Diavolo, qualche magia altrettanto spettacolare doveva essere accaduta di certo.
Nel 1938, quando Johnson aveva solo 27 anni, il Diavolo venne a riprendersi ciò che gli spettava. Dopo una serata al Three Forks, Johnson fu riportato a casa in uno stato confusionale. Probabilmente il proprietario del locale, geloso di come il chitarrista continuasse a girare intorno allo moglie, gli fece bere una bottiglia di Whiskey avvelenata. Dopo molte sofferenze, due giorni dopo, morì.
All’epoca ne circolavano parecchie di storie di patti con il Diavolo. Un altro che si dice che si sia venduto l’anima fu Tommy Johnson. Ma ad ogni modo, erano anime sacrificate alla musica. E l’anima, all’epoca, era una merce di scambio di un certo valore; roba d’eternità, di vita dopo la morte. Venuta a cadere, il mercato dell’anima è andato a ribasso. Oggi se la venderebbero tutti per gloria, soldi, talento, felicità, e forse non sarebbe tanto male. Probabilmente, la personale soddisfazione acquisita dalla vendita debellerebbe la maggior parte dei problemi mondiali (se ci vendessimo l’anima di Greta Thumberg, risolveremmo il problema ambientale). In un certo senso, non ci serve Elon Musk, ma ci servirebbe il Diavolo, e si ridurrebbe anche il rischio di venire sbeffeggiati.