Purple Rain vince l’Oscar ’85: storia di una canzone che ti cambia la vita

Mi ricordo il 2016 come fosse ieri. Un anno funesto per il mondo musicale, in cui a distanza di pochi giorni abbiamo perso Primo Brown, David Bowie, Glen Frey. E non molti mesi dopo, esattamente il 21 aprile, in quello che qui da noi era un piovoso giorno di primavera inoltrata, ci ha salutato anche Prince.
Ciò su cui vorrei focalizzarmi oggi, tuttavia, non è che un momento storico ben preciso: il 1985, ovvero l’anno in cui tutto il mondo si è accorto che quell’ “androgino nero dai tratti arroganti” (come venne definito da La Repubblica nel ‘84) aveva una vena artistica decisamente fuori dal comune.
Un film subordinato alla sua colonna sonora
E come potrebbe non essere così?
D’altronde, la storia di “Purple Rain”, film del 1984 di Albert Magnoli, è piuttosto banale: The Kid, interpretato da un magistrale Prince, è un tormentato artista di Minneapolis che si innamora della bella Apollonia, “rivale” professionale e musicale, con la quale giungerà a un finale d’amore alquanto prevedibile, ma che lo porterà alla stesura del pezzo che dà origine al nome del film, l’iconica Purple Rain.
Con una narrazione che sembra il contraltare positivo di La La Land (altro unico esempio che mi viene in mente di OSt ben superiore alla narrativa), il film decretò non tanto il successo del suo regista, che di fatto nessuno ricorda, quanto l’innegabile eccezionalità della colonna sonora.
E arriviamo così agli Oscar del 1985, durante i quali Prince riceve l’”ei fu” premio per la Best Original Song Score, categoria cassata da lì a pochi anni. Certo, per tutti i brani presenti. Perché tutti sono bellissimi. Ma non prendiamoci in giro: Purple Rain resta una delle canzoni più belle mai scritte.

Purple Rain: la genesi e i Journey
Partiamo insieme dal principio: com’è nata Purple Rain?
Non si sa (e iniziamo benissimo!). Prince è sempre stato parco di informazioni a tal proposito, sostenendo di averla scritta completamente da solo. Questo è già di per sé un fatto raro visto che le sue songwriter di eccellenza erano anche membri della sua band: Lisa Coleman e Wendy Melvoin.
La questione quantomeno curiosa e particolare, è che il brano fu registrato in live nel 1983 e poi sovrainciso in studio: un modo curioso e “rischioso” di lavorare, soprattutto in anni ben distanti dalla praticità di costi del digitale, in cui ogni errore costava un nastro o quantomeno una sovraincisione ulteriore (e non sempre possibile). Ma questa dimensione, rende Purple Rain incredibilmente potente.
Un fun fact interessante, che in realtà può dirci molto anche del suo stesso modo di lavorare, è che Prince, poco dopo la registrazione, si affrettò a chiamare Jonathan Cain, tastierista e storico songwriter dei Journey, chiedendogli di ascoltare il brano per intero, spaventato dall’idea che suonasse troppo simile a Faithfully. Lo stesso Cain lo tranquillizzò, sostenendo che avessero in comune solo quattro accordi.

In un’intervista a Billboard, Cain ammise di essere stato particolarmente sorpreso dalla chiamata e si disse colpito dalla cura con cui Prince trattava la sua musica e quella degli altri: «Questo mostrava senza ombra di dubbio quanto Prince fosse elegante e corretto come persona.»
Le somiglianze, all’ascolto, non si limitano palesemente al giro di accordi: il suono della chitarra sul solo finale, per altro identicamente senza parole come in Faithfully, è davvero molto molto simile al brano dei Journey.
Ma d’altro canto -e credo sia stato anche il ragionamento fatto da Cain e il resto della band- entrambi i pezzi sono ballad, ed è praticamente impossibile che non siano in qualche modo simili. C’è anche da dire che il mood iniziale, per quanto appunto da “ballad”, è comunque molto diverso: in Purple Rain è una scarna e malinconica chitarra a entrare in solo, mentre in Faithfully è un pianoforte più pieno e rotondeggiante.
Purple rain: il significato
Un terzo del senso di Purple Rain ci viene spiegata dallo stesso Prince all’inizio della performance nel film omonimo: «Vorrei dedicare questa a mio padre.» I restanti due terzi, li troviamo all’interno delle altre due strofe: il suo grande amore e i componenti della sua band.
La canzone, infatti, giunge nel momento in cui “The Kid” realizza di doversi assumere alcune responsabilità, come figlio, leader e partner; comprende inoltre che suo padre aveva il suo stesso sogno e che la spiegazione per la sua violenza e assenza sta proprio dietro questo fallimento: per non diventare esattamente come lui, ripetendo dinamiche familiari già note, “The Kid/Prince” deve solo… crescere, probabilmente.
Focus on that, perché “crescere” è il senso di tutto: responsabilizzarsi, ma anche affidarsi e fidarsi dell’altro, nelle sue incertezze e incompletezze, senza tirarsi indietro, permettendoci di guidare e farci guidare nella “purple rain”.
Sì, ok, ma perché la pioggia dovrebbe essere viola?

Prince ha dichiarato che la pioggia viola appartiene alla fine del mondo «blood and sky mixed» (I know times are changin’/ it’s time we all reach out/ for something new…) e ha a che fare con il restare accanto alle persone care, fidandosi e affidandosi. La pioggia, come puntualizza poi Lisa Coleman, è l’elemento purificatore, mentre il viola è l’alba, un nuovo inizio.
In entrambe le interpretazioni, alla fin fine, ritorna sempre lo stesso elemento: qualcosa di nuovo, mentre la pioggia, l’elemento catartico, ci aiuta a metabolizzare o superare il nostro passato.
Se potessimo mettere questi tre momenti su una linea temporale troveremmo il nostro passato e i nostri errori, tutti i punti di contatto con ciò che ci allontana dalla nostra verità e dalle persone che amiamo, vicinissimo a un guizzo, la presa di coscienza, il momento in cui The Kid scrive Purple Rain. Ma ciò di cui il brano parla è il futuro: una pioggia alla fine del mondo che non ci spaventa, perché siamo vicino alle persone importanti.
L’Oscar del 1985: l’emozione di Prince
C’è una cosa, tuttavia, che mi ha profondamente colpito del video all’inizio di questo articolo. Ed è il modo in cui Prince sale sul palco e parla al pubblico- al suo pubblico.
Lo stupore, la paura, la sorpresa sono così evidenti da toccare corde molto profonde: l’immagine di un cantante affermato, The Artist e produttore, musicista poliedrico che sale su quel palco (che metterebbe in soggezione chiunque, siamo onesti) con passo incerto e l’incredulità negli occhi, è meravigliosamente potente.
Lascia intravedere la persona dietro a Purple Rain, che in ogni intervista parla con voce sommessa e non si sbottona mai troppo sulla sua vita privata, che si preoccupa della musica degli altri prima che dei potenziali soldi guadagnabili da un plagio. Una persona che ha dato vita a una vera e propria leggenda ed è riuscita a creare una musica che non è invecchiata affatto.
Prince ha espresso in più interviste il suo stupore per il successo ottenuto, utilizzando un termine inglese che suggerisce la potenza di tale sentimento: «It’s still overwhelming.», travolgente. «(Purple Rain) sarà legata al mio collo finché farò musica.»
Di fatto, è stata proprio la sua ultima performance, il 14 aprile 2016 ad Atlanta, voce e piano.
E credo che questo basti per raccontarci il resto della storia.