Sisterhood. Il basket come strumento di unione ed emancipazione femminile
“La famiglia non è necessariamente chi è nato nella tua vita ed è del tuo stesso sangue, è la famiglia scelta, persone con cui scegli di condividere il tuo tempo” (Sisterhood)
La routine frenetica del quotidiano ci distrae dai bisogni umani. Assuefatti ormai dalla consapevolezza dell’importanza della produttività continua nella società capitalistica, dimentichiamo che non siamo nati per lavorare e voltiamo le spalle al tempo ricreativo, al pane quotidiano per l’animo e per la mente.
Tre squadre femminili di basket appartenenti a tre realtà economiche e sociali molto distanti tra loro hanno deciso invece di riappropriarsi dei propri spazi, conquistando delle ore per sé, vincendo così una scommessa per niente scontata. A raccontarcelo è Domiziana De Fulvio con la sua opera prima, il documentario sociale Sisterhood, prodotto nel 2019 e ambientato tra Roma, New York e Beirut.
Donne che fanno canestro, uno spazio libero dai sensi di colpa
“Conoscevo la squadra di Roma con la quale ho giocato in passato e insieme alla quale ho realizzato uno scambio con le ragazze palestinesi di Shatila, un campo rifugiati ricco di storia. L’incontro tra queste due realtà ha creato negli anni un rapporto di solidarietà e sorellanza, che ha portato al desiderio di istaurare una rete di comunicazione che coinvolgesse anche la squadra di New York, un legame tra donne appartenenti a realtà molto diverse ma unite dalla comunione di attitudini.” (Domiziana De Fulvio, regista)
Il basket come strumento di emancipazione, ma soprattutto di collante tra donne, unite da una sinergia di intenti con l’obiettivo di creare un dialogo a distanza, tramite il montaggio, e riuscire a riconoscersi l’una nell’altra. Le Ladies Who Hoop di New York, la Real Palestine Youth FC di Beirut e Le bulle del quadrante sud est di Roma, una rete femminile che continua a fiorire ancora oggi, nonostante il passare degli anni.
Il sistema mediatico ci ha già abituati a vedere lo sport e, in particolar modo, il basket come un mezzo di riscatto sociale, ma con Sisterhood si passa a un gradino superiore. Non è più soltanto il desiderio di sfuggire dalla strada, di riscattarsi dalle proprie colpe reintegrandosi nella società, ma è la riconquista dei propri diritti umani rimasti latenti per troppo tempo. Donne che fanno canestro, che mettono a segno un tiro da tre nella propria vita e si guardano poi allo specchio l’una negli occhi dell’altra, consapevoli di avere le stesse esigenze di svago e di emancipazione.
“In una società capitalista come la nostra sono visti sempre con negatività i momenti ludici, soprattutto quando si è adulti. Queste tre realtà, invece, si riprendono i propri momenti tra donne, nonostante gli impegni personali e professionali, riappropriandosi finalmente della propria vita e della socializzazione.” (Domiziana De Fulvio, regista)
Sisterhood non è soltanto lotta di genere in un mondo patriarcale che non consente pari opportunità all’uomo e alla donna, ma è soprattutto la creazione di un personale spazio libero dai sensi di colpa verso una società che pretende un lavoro continuo e non lascia posa, creando automi individualistici che producono ricchezza e progresso.
È giunto il tempo del riscatto, il tempo in cui alla donna sono riconosciuti gli stessi bisogni e le stesse esigenze dell’uomo, nel pubblico e nel privato. Il prossimo gradino dovrebbe forse prevedere, però, una rete allargata che intersechi la sfera maschile, che necessita anche di scardinare gli stereotipi che la tengono ingabbiata, perché se continuiamo a costruire muri alimentiamo le distanze e le discriminazioni. Servono ponti, confronti e scambi di pensiero, serve il raggiungimento di una solidarietà non più solo di genere, ma umana.
Qui è possibile vedere il documentario:
http://www.cinemarondinella.it/iorestoinsala.html
https://anteo.spaziocinema.18tickets.it/