27 maggio, per ricordare la Strage di via Georgofili
Oggi ricorre l’anniversario della Strage di via Georgofili, una strage compiuta dalla mafia come rappresaglia contro chi lottava per combatterla, all’interno di quella scia di attentati del ‘92 e del ‘93 nei quali morirono ventuno persone, compresi i giudici Falcone e Borsellino.
In questo attentato cinque persone persero la vita e quarantotto rimasero ferite, molte delle quali videro distrutta anche la propria abitazione. Inoltre ci furono gravi danni al patrimonio artistico.
Si potrebbe riassumere così questa strage, una data e pochi numeri. Ma i numeri non danno un volto, i numeri non parlano della vigliaccheria e ingiustizia di una autobomba parcheggiata in via dei Georgofili, una Fiat Fiorino, imbottita con 250 chilogrammi di una miscela esplosiva composta da tritolo, T4, pentrite, nitroglicerina. In questa antica via del centro storico, ai piedi della Torre del Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, nella notte tra il 26 1 il 27 maggio 1993, esattamente alle ore 1:04, quest’auto deflagra e l’esplosione provoca il crollo della Torre con una devastazione da impatto bellico per una estensione di dodici ettari. L’attentato danneggia gravemente anche alcuni ambienti della Galleria degli Uffizi e del Corridoio Vasariano, rovinando circa 200 opere (150 quadri e 50 sculture). Alcuni dipinti vanno perduti per sempre.
Per quanto di valore inestimabile però questi numeri non aggiungono molto all’immane perdita racchiusa in una vita umana. Qui morirono cinque persone, un’intera famiglia che abitava al terzo piano della Torre, Angela Fiume di trentasei anni custode dell’Accademia dei Georgofili, Fabrizio Nencioni di trentanove anni con le loro figlie, Nadia di nove anni e Caterina di soli cinquanta giorni, e Dario Capolicchio di ventidue anni, originario di Sarzana che studiava a Firenze presso la facoltà di Architettura, morto nell’incendio della sua abitazione posta nell’edificio di fronte alla Torre.
L’ipotesi dell’attentato si fa strada subito dal giorno seguente, quando i vigili trovano un cratere di tre metri di diametro e profondo due metri. Le indagini non tardano a scoprire che la vettura usata è stata rubata a Firenze pochi giorni prima e riempita di esplosivo a Prato. Le inchieste accerteranno inoltre che la strage dei Georgofili rientra nelle azioni disposte dal clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina contro lo Stato per l’applicazione dell’articolo 41 bis, che prevede il carcere duro e l’isolamento per i mafiosi.
L’iter processuale è lungo. Grazie alla ricostruzione fatta in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nel 1998 vennero riconosciuti come esecutori materiali Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giorgio Pizzo, Gioacchino Calabrò, Vincenzo Ferro, Pietro Carra e Antonino Mangano. L’ultima condanna però è del 23 maggio 2013 (il giudice per l’udienza preliminare di Firenze, Mario Profeta, ha condannato all’ergastolo Cosimo D’Amato, pescatore siciliano accusato di aver fornito il tritolo per le esplosioni di Roma, Firenze e Milano recuperandolo da ordigni bellici inesplosi nel mare di Sicilia) e nei giorni scorsi si è aperto a Firenze il processo d’appello per il boss Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo nel 2011 dalla corte d’assise di Firenze perché accusato di essere il coautore dell’attentato.
La strage di via dei Georgofili è una delle pagine più’ dolorose della nostra storia recente, abbiamo quindi il dovere di ricordare le vittime e di cercare la verità fino all’ultimo soffio di vita. Anche se ci sono punti fermi ormai acquisiti perché i processi penali hanno accertato l’identità e le responsabilità dei mandanti e degli esecutori della strage di stampo mafioso, molti, troppi profili di quell’atroce disegno restano ancora oscuri.
Spesso la verità storica e quella giudiziaria non si sovrappongono. Il presidente Pietro Grasso ha infatti chiesto una commissione speciale di inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese, mafiose e terroristiche insieme, che possa finalmente fare chiarezza sugli aspetti oscuri della nostra Storia e rendere pubblici tutti quei documenti che possano dare ai cittadini elementi di riflessione e di conoscenza.
Come ricordato da Pietro Grasso, «per vincere la mafia non basta contrastare le sue attività criminali. Bisogna rafforzare la democrazia e promuovere la legalità come cultura, in ogni ambito. Questo richiede l’impegno di tutti, sia dei cittadini, sia di coloro che operano nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni di categoria. Richiede una reazione forte e decisa da parte della società civile, una coscienza della legalità radicata e diffusa». Sempre tendere alla ricerca della verità, insistendo perché gli eventi siano ricostruiti senza paura e senza omissioni «perché un Paese che nasconde e teme la propria storia è un Paese senza futuro».