Viaggio e libertà, le terre vuote di Atkins

Non si trattava solo del “desiderio di farvi ritorno” o del fascino della solitudine nel deserto. Ero assillato da una domanda sui deserti, che era anche una domanda da marinai: se nessuno ti vede, come ti comporti? Nel segreto dell’immaginazione, fino a quali estremi, a quali “poli dell’inaccessibilità” avrebbe potuto vagare la mente? Scoprii di essere attratto dall’anarchia del deserto: non solo perché lì ogni norma poteva considerarsi sospesa, ma perché, in assenza di regole e giudizi, l’idea stessa del “bene” perdeva ogni significato. La libertà non è solo per i virtuosi.
Il misterioso fascino del deserto fa da protagonista in “Un mondo senza confini” di William Atkins, edito per Adelphi. Il giornalista britannico prende per mano il lettore e lo conduce in un viaggio sensazionale alla scoperta di sette posti in cui cielo e terra si fondono all’orizzonte. Il Rub’al-Khali in Oman, il Gran Deserto Victoria in Australia, il deserto del Gobi e il Taklamakan in Cina, l’Aralkum in Kazakistan, il deserto di Sonora e il Black Rock negli Stati Uniti e il Deserto Orientale in Egitto.
Prima tappa è il deserto tra Oman e Arabia Saudita, posto che ha accolto numerose spedizioni di tanti esploratori. Il deserto nella penisola arabica è un susseguirsi di dune di sabbia finissima e venti caldi; sicuramente è il deserto più vicino e stereotipato.
Il gran deserto Victoria, in Australia, pianura rossa caratterizzata da piccole dune e laghi salati, ma anche ex “poligono nucleare” dell’esercito britannico. Atkins riporta la descrizione dello scienziato inglese responsabile dei test nucleari negli anni ’50, che descrisse la zona prescelta come “leggermente ondulata e coperta di bassi cespugli del sale e occasionali macchie sparse di mulga, che fanno somigliare il paesaggio alle colline inglesi”.
Terza tappa del viaggio: deserto del Gobi e deserto del Taklamakan, siamo in Asia, tra Cina e Mongolia. Il Gobi non è un deserto di dune ma una distesa piatta, interrotta solo da basse colline, bacini poco profondi e letti di fiumi asciutti. In questi luoghi, Atkins ci porta con sé tra le leggende della Via della Seta e luoghi sacri del buddismo. Ad ovest del deserto del Gobi e all’interno del bacino di Tarim, sorge il Taklamakan, deserto antico e continentale. Atkins racconta delle controversie esistenti sulla traduzione del termine “Taklamakan”: per gli esploratori occidentali significa letteralmente “ci entri e non ci esci”, per altri “il posto finale” o “il posto dell’uva”. Un moderno esploratore inglese intitolò il suo resoconto The Worst Desert on Earth, per la sua pericolosità e morfologia. Polvere e vento sono gli elementi predominanti di questo deserto.
In Asia, Atkins si sofferma anche nella zona tra Ukbekistan e Kazakistan, il deserto del Kizilkum. Una piana di porridge grigio, di ceneri spente. Sono queste le parole del giornalista britannico nel tragitto verso sud del deserto.
Il racconto prosegue poi dall’altra parte del mondo, in Arizona. Il deserto di Sonora occupa gran parte dell’Arizona Meridionale e dell’est della California, e prosegue oltre confine nel Sonora, stato messicano da cui prende il nome. Circondato da catene montuose, si trova nella regione più umida e verde delle quattro regioni desertiche degli Stati Uniti. Atkins, nei precedenti deserti si era trovato a contatto con le tribù locali, qui lo scenario è diverso, urbano. Nel racconto dei suoi giorni a Sonora non mancano vicende dettagliate sulle sorti di immigrati verso gli Stati Uniti, che passano proprio dal deserto di Sonora.
Continua negli Stati Uniti il racconto, nel Deserto Black Rock. Questo è per Atkins il posto più paradossale del pianeta, con i suoi movimenti di massa, assediato da vento e polvere.
Un mondo senza confini si conclude in Egitto, nel deserto Orientale. Siamo a Sud-est del Nilo, in un territorio storicamente ricco di risorse, crocevia di culture e religioni. Lì dove tutto è iniziato.
Nel deserto, per lo schiavo in fuga o per il cristiano terrorizzato, era certo possibile recuperare una dignità irraggiungibile nel “mondo”.
Pagina dopo pagina, Atkins alterna a momenti e aneddoti dei suoi viaggi, alcune nozioni di storia e geografia sui deserti. Ci troviamo di fronte a un’opera che non può essere annoverata nella categoria dei saggi, sarebbe riduttivo farlo. Un mondo senza confini è molto più di un saggio sui deserti, è un racconto approfondito e infinitamente appassionato di un uomo che nel deserto vede la sua libertà d’espressione.
Anarchico, profondo e affascinante: sono questi gli aggettivi che meglio si addicono al concetto di deserto che emerge pagina dopo pagina. Possono cambiare la geografia e la conformazione dei deserti, ma le emozioni sono sempre le stesse. Il libro di Atkins è una ode al deserto, il racconto di un uomo profondamente innamorato della libertà e del viaggio.