Jim Messina: ecco chi ha in mano il futuro di Renzi
È iniziata ufficialmente lunedì 2 maggio, con le parole del premier Matteo Renzi, la campagna per il referendum costituzionale di ottobre. Una campagna lunga e molto importante per le sorti del governo, della costituzione e del paese intero, quindi importante per tutti noi. Aldilà delle questioni sul merito, questa campagna è importante anche per la scelta del premier di affidarne l’organizzazione all’americano Jim Messina.
Questo nome dirà alla maggior parte degli italiani ben poco, ma è, nella pratica, colui il quale sta tirando le redini della scena politica italiana in questo momento.
Ma facciamo un passo indietro. A gennaio, l’annuncio che il nostro primo ministro avesse assunto Jim Messina nel suo staff è stata comunicato solo da qualche giornale e considerata generalmente una notizia di secondo piano, forse erroneamente. Infatti, il signor Messina di professione gestisce ed organizza grosse campagne politiche ed elettorali a servizio del candidato che lo richiede (e con cui, tendenzialmente, condivide le idee). Il suo Curriculum parla chiaro: fu la spalla di David Axelrod nella straordinaria campagna elettorale di Obama nel 2008, diventata globale grazie anche all’incisività delle tematiche trattate, agli slogan oculati (“yes, we can” è un motto famoso ancora oggi) e all’uso magistrale e pionieristico dei social network che hanno sostenuto la corsa trionfale del primo presidente afro-americano degli Stati uniti. Certo, il personaggio e le indiscusse capacità comunicative di Obama hanno reso il risultato più semplice, ma senza l’adeguata organizzazione alle spalle, forse queste doti non sarebbero state sufficienti. Ancora migliore però, è sicuramente stata l’organizzazione della campagna per le presidenziali del 2012, che vedeva Messina nel ruolo di capo e manager dello staff, con un Obama in difficoltà e “salvato” dall’idea di utilizzare in maniera estrema i Big Data, permettendo così una mirata campagna door to door, capillare sul territorio e che aveva come obbiettivo solo i cittadini indecisi, ottimizzando così risorse e tempo.
A questi risultati si aggiunge anche la campagna che ha portato alla vittoria David Cameron nel 2015, sempre a controprova delle ragioni che hanno spinto Renzi ad assumerlo. Ma in cosa consiste il lavoro di Jim Messina, e perché è così decisivo nel panorama politico di un paese? Semplice, perché leggendo ed estrapolando dati da sondaggi, focus group, studi e banche dati, è lui, insieme al resto del team, a decidere su quali tematiche spingere maggiormente, a decidere come affrontare pubblicamente uno scandalo o una notizia improvvisa oppure a consigliare al politico a quali incontri presenziare e quali città è più conveniente visitare per far sì che i cittadini appoggino le sue scelte e lo votino.
La strategia che per ora è stata utilizzata dal premier è quella far vedere il proprio esecutivo come attivo, dinamico, riformatore (per non dire “rottamatore”): insomma, il più volte sentito “Governo del fare”. Ma ora come sarà impostata la corsa al referendum costituzionale? In primis, pare evidente che il premier abbia deciso (o sia stato consigliato) di non caricare di eccessiva importanza le imminenti elezioni amministrative, nelle quali il PD non sembra nelle condizioni ottimali per fare bella figura, ma superata questa tornata elettorale, le parole chiave, suggerite da Messina, saranno “semplificazione” e “riduzione costi della politica”, ma non solo. L’idea del guru americano sarebbe anche quella spiegata all’inaugurazione di questa campagna, e che riprende in parte la strategia utilizzata già con Obama nel 2012: si tratta di un grosso utilizzo dei Big Data e la creazione di un gran numero di “comitati per il si” (il premier ha parlato di almeno uno per comune) pronti a spiegare e a convincere i cittadini della bontà della riforma, raggiungendoli anche singolarmente con il door to door; il tutto grazie ad una segmentazione molto attenta e mirata, tramite le banche dati, dell’elettorato . Più facile a dirsi che a farsi. Infatti, oltre all’immenso lavoro che sta dietro a questi studi, il grande dubbio che porta con sé questa strategia è se il Partito democratico abbia davvero la capacità di organizzarsi in modo così profondo e capillare sul territorio, con persone preparate e coinvolte attivamente nell’iniziativa, soprattutto visti i primi dubbi già nati in seno al partito.
Sebbene sembri poco credibile la realizzazione di questa idea, il buon Jim Messina ha già dimostrato di saper fare i miracoli, chissà che non ci riesca anche questa volta.