Dal 2017 la politica non sarà più finanziata dai soldi pubblici (forse)
Ieri, venerdì 13, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge per abolire il rimborso (formalmente è chiamato così) ai partiti.
Il premier Letta si è subito ritenuto soddisfatto dichiarando di “aver mantenuto le promesse”, ma c’è chi sostiene che il decreto –che dovrà comunque essere confermato dal voto delle camere entro 60 giorni- sia soltanto un palliativo.
Dal decreto si evince che nel 2014 i fondi erogati ai partiti saranno tagliati del 60 per cento, nel 2015 del 50 per cento e nel 2016 del 40 per cento. Dal 2017 i finanziamenti saranno invece completamente aboliti.
Letta ha detto ieri: “Adesso saranno i cittadini a scegliere”. Infatti, dal 2015 gli italiani potranno decidere di versare il due per mille della loro imposta sul reddito ai partiti e potranno effettuare donazioni dirette a patto che i partiti stessi rispettino determinati parametri: dimostrare di avere una solida “democrazia interna” e avere bilanci certificati e accessibili sui propri siti.
Sempre dal testo del decreto si legge che per ottenere il due per mille i partiti dovranno aver ottenuto nelle ultime elezioni: “almeno un rappresentante eletto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica o in un’assemblea regionale, o [aver] presentato, nella stessa consultazione elettorale, candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o in almeno tre del Senato della Repubblica o delle assemblee regionali, o in almeno una circoscrizione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.”.
I dubbi che attanagliano i cittadini di più lunga memoria però, fanno pensare all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti come ad uno specchietto per le allodole. Di fatti già dopo Tangentopoli ci fu un referendum che sancì (con oltre il 90% di voti a favore) la chiusura del “rubinetto d’oro della politica”, ma subito dopo fu introdotto il “rimborso”, che altro non è che un modo alternativo di raggirare le legge e fare cassa sulle spalle degli elettori. Il “rimborso” –come viene chiamato- funziona così: ad ogni elezione viene costituito un fondo nel quale viene versata una certa cifra per ogni cittadino avente diritto al voto. Nel caso delle elezioni politiche, questa cifra viene versata una volta per la Camera e una per il Senato. Dopo le elezioni, il fondo così ottenuto viene diviso in proporzione tra tutti i partiti che alle elezioni hanno ottenuto almeno l’un per cento dei voti, e viene loro distribuito nel corso dei cinque anni della legislatura. Se la legislatura termina in anticipo lo stato continua a versare le rate di rimborsi.
Ad ogni modo –è bene ricordarlo- dal 2007 l’entità dei rimborsi diretti è stata diminuita negli anni: nel 2007, nel 2010 e nel 2011 vennero ridotti del 10 per cento. Con il governo Monti, nel 2012, sono stati dimezzati, passando da un totale di 182 milioni a 91 milioni.
di Luigi Carnevale
14 dicembre 2013