Intervista a Nesli: esce oggi il nuovo disco “Kill Karma”
Diti medi in bella vista sul petto tatuato in primo piano. Così (s)vestito si mostra Nesli per il suo nuovo album in uscita oggi. Anticipato dal singolo “Equivale all’immenso”, Kill Karma è l’album più importante, perché dentro ho messo tutta la mia anima, tutta la mia musica, la mia energia vitale – dice Francesco Tarducci – racconterò di Voi, parlando di Me, racconterò la storia, che si incatenerà alla vostra… Sarà come la mia Italia, come avere un figlio… Sarà un figlio d’Italia!!! Libero dai giochi del sistema, sfacciatamente vero e sollevato dai pesi del riscatto e delle giustificazioni, un Nesli liscio e non corretto.
Esce oggi Kill karma, l’album che hai anticipato come il più importante della tua carriera. Perché e che cosa ha di diverso dai precedenti?
Gli album ufficiali sono 4/5, mentre gli altri sono stati realizzati con etichette indipendenti, qualcuno anche autoprodotto, in questo percorso rocambolesco (ride nda.). Kill Karma è il più importante in primo luogo perché non sono più un ragazzino e questo album dimostra questo grado di maturità. In secondo luogo perché non ho più bisogno di spiegarmi, con Andrà tutto bene e la partecipazione a Sanremo 2015 avevo già delineato uno spartiacque tra il Nesli rapper e il Nesli pop. Adesso non ho bisogno di un preambolo giustificatorio, non ho la pressione politica di prima, perciò Kill Karma è un album molto personale, più di tutti gli altri. È anche un disco del tutto nuovo: se mi vedi in copertina e se mi ascolti, non sembro neppure io.
Perché questa esigenza di presentarsi come un artista nuovo, diverso?
Perché altrimenti la vita è un’infinita noia. Io sono un artista che ha nel petto un buco nero che fagocita tutto. Quindi se non trovo io un equilibrio a tutto questo e se la musica diventa routine, è la fine. Non dimentico mai che ho la fortuna di fare un “lavoro” – possiamo anche chiamarlo così – per il quale non bisogna mai smettere di tentare, sperimentare, provocare. Si tratta di arte, di spettacolo, di intrattenimento e, per ultima ma non meno importante, di verità.
Di Kill Karma hai detto che sarà il racconto della tua storia e, attraverso te, della storia di tutti. Sarà un figlio d’Italia. Guardando gli ultimi decenni a tinte fosche però sorge spontaneo chiedersi che genere di narrazione sarà: un horror o una storia d’amore?
Sicuramente dark, non nero di disgrazia, ma come un ragazzino emo che si sente un po’ sfigato. Kill Karma vuole dare voce a chi non ce l’ha, parlando di vita e amore, ma sempre attraverso un concetto di perdita e mai di vittoria o rivincita. In questo senso l’album è rivolto ai figli d’Italia che si sentono un po’ loser, ai disincantati che non votano, a quelli che non vanno all’estero per soldi o per paura. Forse perché, venendo dalla provincia, anch’io ho vissuto molte di queste cose e mi piaceva farmene un po’ il portavoce, come avevo fatto in Le verità nascoste.
Parli spesso del concetto di verità. E, anche se i tuoi ultimi album sono molto meno rap e sempre più pop, resti comunque un analista della realtà, che parla alla gente della gente e incarna la variante moderna dei vecchi cantautori. È questo che distingue un rapper di serie A?
La credibilità che rende un rapper di serie A te la dà il tempo. Tanti sono fenomeni passeggeri legati a un singolo stagionale, ma che non hanno saputo consolidarsi. Quindi il tempo e il live sono rivelatori della credibilità. Questo però esula dal genere musicale: che sia rock, rap o pop, il vero problema è quello autorale. Ci sono pochi cantautori oggi. I rapper fanno un po’ eccezione in realtà, dato che si scrivono le canzoni da sé, ma il rap non viene considerato abbastanza perché non è melodico. Il problema vero comunque è che l’Italia non riesce a generare autori: o sai scrivere canzoni per dono, per talento, oppure no.
Quindi quale consiglio daresti a un giovane?
Di fare l’avvocato o il medico (ride nda.).
Spesso dietro ai tuoi account social ci sei tu stesso e a volte li utilizzi anche per dare comunicazioni ufficiali (partecipazione o meno al Festival di Sanremo, ad esempio). Quanta verità e quanta difficoltà c’è tra vita online e vita offline?
Beh mi hai fatto una domanda interessante. Sì, i miei account non li ho mai dati in gestione ad altri, anche se a volte le etichette discografiche te lo chiedono. Io pubblico personalmente dal mio telefono e al massimo – se sono fuori – delego altri per mettere dei contenuti che però decido sempre io. Il web comunque è una bolla che – soprattutto per noi italiani che diventiamo facilmente morbosi – prima o poi esploderà. Facebook, Twitter, Instagram nascono come social network reali e gratuiti. Purtroppo però quando si fiuta l’affare, comprare follower o pacchetti di view diventa un vero e proprio business perciò a questo punto la genuinità intrinseca viene meno e tutto perde di senso. Ma se il web diventa fasullo, anche l’investimento delle grandi aziende cambia. Insomma col tempo è diventato più difficile dire che cosa è vero lì. Nel mio caso, è per questo che non ho voluto darli in gestione. Per mantenere quella linea sottile di realtà. Nel momento in cui non vedi sponsor su un profilo, capisci che la pagina è di proprietà dell’artista.
Un artista quindi è sicuramente un comunicatore. Tu comunichi online sui social e offline sul palco. Com’è un tuo live?
Se mi odi e vieni con dei pregiudizi, alla fine ti diverti comunque. Se sei un fan ti diverti, ovvio. Se invece sei neutro, ti conquista il live perché è molto rock and roll con un bel gruppo nutrito sul palco: batteria, doppia chitarra, basso, pianoforte, tutti turnisti che suonano con la Pausini, con Antonacci… C’è dentro roba dance, roba rap, insomma è uno spettacolo di un’ora e mezza che – anche se non sei un fan del Nesli cantante – ti piace lo stesso, almeno musicalmente.
Sarai in tour praticamente subito dopo l’uscita del disco?
Parto con l’instore tour oggi e fino al 14 luglio: farò il firma copie, ma in cinque di queste date farò anche dei mini live. Poi il tour sarà autunnale, quindi ad ottobre e novembre nei club.
Vorrei farti un’ultima domanda, forse un po’ scomoda, però spesso ci si dimentica che sei il fratello di Fabri Fibra. Come hai vissuto l’inevitabile confronto?
Sono molto contento che non si faccia questa associazione. In passato era frustrante quando ero il fratello di… Invece oggi che sono identificato per un mio percorso, sono consapevole di aver compiuto un piccolo miracolo. Non è quanto vendi che fa di te la qualità ma il percorso. La mia carriera ora è solida e, vista da fuori, è affascinante, quindi è un po’ come aver moltiplicato pani e pesci, soprattutto dato che nessuno lo voleva mentre io ero l’unico che credeva in un possibile sorpasso rispetto a quel mondo. Quindi io in realtà ho vinto.
Sorge spontaneo chiedersi come mai, siete cresciuti forse in una famiglia di artisti, di musicisti?
Assolutamente no, anzi in casa mia la musica non è mai stata un interesse. È nata piuttosto da un’esigenza comunicativa, da un certo disagio di collocazione geografica, di posto nel mondo. Poi ognuno a suo modo, giustamente. Io sapevo di poterlo fare, anche se quel legame di parentela per me è sempre stato un handicap, lo avrei evitato volentieri se avessi potuto. Ma, sai, sono quelle cose che non scegli.