Lunga vita al rock!

IL ROCK È MORTO (?)
Ho la strana sensazione che da più di vent’anni non si faccia altro che organizzare a tutti i costi un funerale senza nemmeno aspettare che venga constatato il giorno e l’ora del decesso. La vittima in questione (l’avrete già capito) è il rock, quel genere figlio della popular music sviluppatosi nel corso degli anni 50 e 60 negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed esploso con un grande boato nelle decadi successive, fino a raggiungere l’apice (dopo aver sperimentato tutte le varianti e le combinazioni possibili) negli anni 90. Ma, come dire, i commiati funebri continuano incessantemente a rincorrersi intorno ad un capezzale sostanzialmente vuoto, per quanto le malelingue, gli sciacalli e gli avvoltoi ci provino. Che un tale sforzo provenga dai cultori della musica pop contemporanea (quella tipicamente commerciale e che imperversa ovunque con la sua spiccata banalità), dai discografici omologati (sempre meno propensi a “rischiare” come una volta nell’investire tempo e denaro in progetti davvero interessanti), dai critici dalla penna facile o persino da qualche rockstar rassegnata (come fece un paio di anni fa Gene “Lingualunga” Simmons dei Kiss), ci sono svariate ragioni per rinunciare all’idea che il rock possa mai morire. E per aver ulteriormente alimentato questa mia convinzione, questo mese non posso che ringraziare lui: Bruce “The Boss” Springsteen.
“ALCUNE COSE SONO PIÙ IMPORTANTI DEL ROCK”
“Questa legge impone ai transessuali quale bagno utilizzare e permette l’attacco ai cittadini della comunità Lgbt – sigla utilizzata come termine collettivo per riferirsi a persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender – ai quali toglie gli strumenti per difendersi dalla discriminazione sul posto di lavoro”. Quanto appena citato fa parte di un estratto del comunicato apparso sul sito ufficiale di Bruce Springsteen lo scorso 9 aprile, e giustifica le ragioni del Boss di annullare il concerto previsto proprio il giorno seguente a Greensboro (North Carolina, USA). La legge di riferimento è laHB2 o “bathroom bill” (in merito alle Installazioni pubbliche, legge di privacy e sicurezza che discrimina gay, lesbiche, bisessuali e transgender) e tradotto in termini più spiccioli “introduce restrizioni per l’utilizzo dei bagni da parte dei trans e impedisce ai governi locali di fissare delle norme proprie contro la discriminazione sessuale”. La legge (sostenuta e approvata ovviamente da tutti i parlamentari locali Repubblicani) è entrata in vigore lo scorso 23 marzo ed è già stata contestata dalle varie organizzazioni della società civile, oltre che dalle varie pagine e gruppi di Facebook, da Google e persino dall’NBA. Che lo si voglia ammettere oppure no, il gesto di Bruce Springsteen è quanto di più rock possa essere considerato oggi: con la sua autorità assolutamente incontestabile, il Boss ha letteralmente scosso le fondamenta del sistema politico americano con un impatto talmente assordante da riuscire a coinvolgere altrettante personalità del mondo della musica rock (tra cui Ringo Starr, Pearl Jam, Boston, Mumford & Sons, Cyndi Lauper e Laura Jane Grace degli Against Me!).
IL ROCK: L’ULTIMO VERO DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI E CIVILI
Ma quello del Boss è solo l’ultimo di una serie di gesti eclatanti a sfavore della discriminazione sessuale. Con un piccolo salto temporale di appena un anno (e un minimo di sforzo mnemonico), possiamo infatti ritrovare quei bravi ragazzi dei Foo Fighters mentre scatenano il delirio durante lo svolgimento di un corteo omofobo organizzato dalla Westboro Baptist Church del Kansas City. In quell’occasione, Dave Grohl e soci fecero letteralmente irruzione durante la manifestazione a bordo di un pick-up nero, accompagnati dal classicone anni ’80 di Rick Astley “Never Gonna Give Up” e sostenuti da una folla urlante di fan. E state pur certi che non si è trattata della prima e unica volta in cui i Foos si sono ritrovati a combattere contro i fedeli di una delle congregazioni religiose più conservatrici d’America. Già nel 2011, infatti, la rock band più amata degli ultimi 10 anni pubblicò in rete un esilarante video promozionale del loro imminente tour in Nord America intitolato “Hot Buns” (dove si vedono Dave Grohl, Taylor Hawkins, Chris Shiflett e Nate Mendel impersonare dei camionisti zoticoni intenti a insaponarsi nudi a vicenda sotto la doccia e lo sguardo basito di Pat Smear, accompagnati dal brano “Body Language” dei Queen) e nello stesso anno, in virtù dell’accusa mossa proprio dalla chiesa battista di Westboro di incitare “alla fornicazione, all’adulterio e all’idolatria”, fu proprio ex batterista dei Nirvana a rispondere al gruppo di fanatici religiosi con un discorso in difesa delle libertà sessuali e musicali (ma solo dopo esserci esibito in perfetta tenuta da bifolco suonando per l’occasione “Keep It Clean”). “Non importa se siate bianchi, neri, viola o verdi, se venite dalla Pennsylvania o dalla Transilvania, se siete per Lady Gaga o per i Lady Antebellum: gli uomini amano le donne, le donne amano gli uomini, gli uomini amano gli uomini e le donne amano le donne. E voi sapete quanto questo ci piaccia. Dio benedica l’America. Tutta quanta”. Era il 30 agosto 2011.
ANNI ’70, ’80 E ’90
Facendo appello alla nostalgia dei bei tempi andati, troviamo tracce divenute indelebili della storia del rock e dei diritti umani e civili che ho voluto intenzionalmente ricondurre ad un’unica grande e gloriosa band: i Queen. Il carisma di Freddy Mercury, la sua voce e le sue celebri movenze, la complicità artistica maturata insieme a Brian May, Roger Taylor e John Deacon, i brani dal taglio criptico (“Bohemian Rapsody”, “I Want To Break Free”…), le dichiarazioni di intenti (“Living On My Own”), i live show energici e pittoreschi fanno parte di un unico grande messaggio carico e potente, in grado di scuotere le masse dal loro fanatismo (e bigottismo) e obbligare finalmente i media (con i loro padroni) a prestare la dovuta attenzione a quella comunità di persone considerata ingiustamente e per troppo tempo immorale e ghettizzata con l’appellativo di “figli del Demonio”. Soprattutto in virtù della drammatica diffusione dell’epidemia di AIDS che negli anni ’80 costituì un vero e proprio incubo per la comunità gay e diede inizio a una delle più tenaci lotte per il riconoscimento dei diritti umani e civili dopo l’emancipazione femminile.
You can be anything you want to be
Just turn yourself into anything you think
that you could ever be
Be free with your tempo, be free be free
Surrender your ego,
be free, be free to yourself
(Si può essere tutto ciò che si vuol essere
basta trasformarsi in tutto ciò che si pensa
di poter esssere
Siate liberi nei movimenti, siate liberi, siate liberi
Arrendetevi al vostro vero io,
siate liberi, siate liberi per voi stessi)
[Queen, “Innuendo”, 1991]
Nonostante si possa per certi versi concordare con il disfattismo del già citato Gene “Dio del Tuono” Simmons (che nel 2014 rilasciò un’intervista in cui asserì che il rock era clinicamente morto a causa della mancanza di veri talenti e della presenza di major discografiche sempre meno disposte ad investire come una volta nella carriera di nuove potenziali rockstar), c’è un dato che è bene tenere sempre a mente, soprattutto in virtù di un prossimo e detestabile necrologio: il rock, prima ancora di essere un genere musicale, è un modus vivendi, l’unico veramente onesto e schietto, in grado di soverchiare il sistema
più corrotto e il fanatico più irriducibile, che ammette l’errore di valutazione senza mai puntare il dito contro qualcun altro, non tollera discriminazioni di alcun tipo e riconduce chiunque vi si avvicini al vero significato dell’esistenza e dei suoi valori veramente importanti (quelli per cui vale veramente la pena lottare). Le rockstar passeranno e il ricambio generazionale non sarà mai all’altezza, il battesimo del sangue dei musicisti lascerà sempre più spazio alla misera comodità dei campionamenti digitali e i gusti musicali saranno sempre più manipolabili e sviliti. Ma tutto ciò non basterà comunque. Il rock non morirà mai!