A destra dell’Est: la Repubblica dello Yemen
Lo Yemen, con più del 60% della popolazione in bisogno di assistenza umanitaria e più di 4 milioni sfollati interni, è da alcuni anni noto per una delle più grandi catastrofi umanitarie degli ultimi tempi. Nel 1990 con il crollo dell’Unione Sovietica, lo Yemen del sud, prima Repubblica Democratica Popolare dello Yemen con un regime di stampo marxista, e del nord, Repubblica Araba dello Yemen, si uniscono dando vita allo Stato che conosciamo oggi. È in quegli anni che vengono poste le basi del sanguinoso conflitto iniziato nel 2015 e che ancora non vede una reale e concreta via per la pace.
Con l’unificazione viene esteso a tutto il paese il mandato presidenziale dell’ex militare Ali Abdullah Saleh, già Presidente dello Yemen del Nord, e da subito emergono rivalità poi scoppiate in conflitto aperto nel 1994 tra gli yemeniti del nord e sud, questi ultimi esclusi dal governo e dagli impieghi pubblici e di conseguenza vicini a posizioni secessioniste. Nello stesso tempo nella parte nord del paese, al confine con l’Arabia Saudita, la minoranza etnica Houthi appartenente al ramo sciita degli Zayditi vicino all’Iran e dal 1992 unita nel movimento politico armato “Ansar Allah”, i partigiani di Allah, hanno coltivato una sempre maggiore ribellione verso il governo internazionalmente riconosciuto di Saleh stabilito nella capitale Sana’a, richiedendo maggiore autonomia religiosa e politica. Essendo lo Stato Yemenita fondato su un conglomerato di tribù, le numerose fazioni prima di rispondere ad ideologie omogenee sono alimentate da interessi tribali, spesso in conflitto tra loro, ed infatti la leadership di Saleh si basava su un delicato equilibrio di alleanze tribali dove erano gli stessi capi tribù a garantire il controllo di alcune aree del paese, sostituendosi allo stato. Questo quadro, che ritrae un paese fragile già dalla nascita, fu aggravato dal consolidarsi nelle aree orientali di cellule terroristiche come Aqap, Al Qaida nella penisola arabica, direttamente responsabile di diversi attentati, i quali hanno portato gli Stati Uniti ad inaugurare nei primi anni 2000 la stagione di operazione militari in Yemen in chiave antiterroristica. Gli statunitensi hanno infatti in Yemen migliaia di truppe di stanza e postazioni militari, fondamentali anche nello scoraggiare l’intervento diretto dell’Iran nella regione.
Con lo scoppio delle primavere arabe nel 2011, il presidente Saleh viene costretto a rifugiarsi in Arabia Saudita e a cedere il potere al suo vicepresidente ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī, uomo molto gradito ai sauditi, con una promessa di riforma costituzionale. Hadi però non si dimostrerà in grado di svolgere il compito ricevuto. Infatti, quando nel 2014 viene costretto dal Fondo Monetario Internazionale ad aumentare le accise sul carburante, in molte aree del paese compresa la capitale scoppiarono moltissime manifestazioni che chiedevano le sue dimissioni. Si arriverà presto ad un’insurrezione armata, portata avanti contro il governo centrale di Hadi, supportato da Riyadh e dagli Stati Uniti, principalmente per mano degli Houthi, i quali in soli cinque giorni riuscirono a conquistare la capitale. E’ l’inizio del conflitto, considerato guerra civile ma anche guerra per procura e scontro di natura religiosa, vista la quantità e i diversi interessi delle parti coinvolte.
Lo Yemen, infatti, rappresenta una casella di primaria importanza strategica per le influenze geopolitiche dell’intera penisola arabica, e per comprenderlo basta guardare una cartina della regione. Le coste occidentali del paese sono infatti un importante crocevia e punto di collegamento per le rotte tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo grazie al passaggio attraverso il Golfo di Aden, passando per lo stretto di Bab al-Mandab verso il Canale di Suez. Lo stretto, che vede oltre 60 navi commerciali attraversarlo ogni giorno, è anche tra i più decisivi per la sicurezza energetica europea, con gran parte degli idrocarburi provenienti dal Golfo Persico che transitano attraverso lo stretto per raggiungere l’Europa passando per il canale di Suez. L’eventualità di un blocco obbligherebbe le navi a circumnavigare l’intero continente africano, causando un aumento notevole dei prezzi delle merci e dei tempi di consegna. La condizione di precarietà interna del paese viene aggravata ulteriormente dalla vicinanza ad un’altra regione fortemente instabile, il Corno d’Africa, sull’altra sponda del golfo di Aden, una delle maggiori aree di crisi del panorama geopolitico internazionale.
Questa fondamentale area occidentale del paese è per lo più sotto il controllo, oltre che dei secessionisti nel sud, dei ribelli Houthi, armati in parte dall’Iran via nave grazie ai contatti che il paese possiede nella zona del golfo di Aden, i quali continuano a rappresentare una minaccia per l’Arabia Saudita e per la stabilità dei suoi confini meridionali. Ciò soprattutto dopo il 6 febbraio 2021, quando l’amministrazione Biden ha revocato agli Houthi lo status di organizzazione terroristica nella speranza di una distensione del conflitto. Questa iniziativa ha però portato all’intensificarsi della guerriglia houthi contro il governo centrale e l’Arabia saudita, che ha portato i ribelli ad espandere la loro influenza fino alla conquista di Marib, una regione ad est della capitale Sana’a e ricchissima di petrolio.
Lo scenario descritto può risultare molto vantaggioso per lo Stato dell’Ayatollah, aspirante potenza egemone a livello regionale, impegnato tramite il suo coinvolgimento non diretto nel conflitto a destabilizzare i rivali regionali ed aumentare, tramite il supporto ai ribelli, il suo controllo strategico sull’area dello stretto. Soprattutto alla luce dell’attuale situazione generata dall’invasione di Gaza portata avanti da Israele con il supporto occidentale, l’Iran si mostra sempre più capace di causare una potenziale crisi a livello mondiale interrompendo le rotte petrolifere e commerciali vitali passanti per il golfo di Aden. Si parla infatti di vera e propria guerra in mare riferendosi agli attacchi Houthi-Iran contro le navi commerciali legate ad Israele, che ha portato la NATO e gli Stati Uniti in particolare a concentrare nel quadrante importanti assetti navali militari.
Dopo vari tentativi di distensione del conflitto, scambi di prigionieri, una tregua di 6 mesi da aprile a inizio ottobre 2022, il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Arabia saudita e Iran nel marzo 2023, e un tentato governo di unità nazionale che vedeva al suo interno le forze governative di Hadi e quelle secessioniste del sud ma non gli Houthi, la situazione in Yemen resta tra le più drammatiche.
Articolo a cura di Sara Speziali