Tito e la sua Jugoslavia comunista
Microcosmi
3 Novembre 2023

Tito e la sua Jugoslavia comunista

di Jasmine Gheorghe

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Nel suo libro Tito, l’artefice della Jugoslavia comunista (Rubbettino Editore), Vojislav Pavlović, dottorato all’Università di Belgrado ed alla Sorbona, ripercorre la biografia e la più grande invenzione politica di Josip Broz.

Un volumetto, quello di Pavlović, che mira a creare il ritratto meticoloso di un personaggio che, erroneamente, non sempre si studia con la stessa attenzione che rivolgiamo ai “soliti” Hitler o Stalin.

Josip Broz, ovvero Tito

Pavlović spoglia la narrazione solita della biografia di Tito, togliendole gli strati di propaganda accumulati nel tempo. Segue però una linea definita, ovvero un’interpretazione che ha come baricentro il comunismo, la più grande passione di Tito.

Nato nel 1892, Tito fu spettatore e talvolta attore dei principali avvenimenti del primo Novecento: la Grande Guerra, la Rivoluzione di ottobre, la fine dell’Austria-Ungheria e la nascita della Jugoslavia, che coincideva con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (1918-1929).

Quasi da subito, Tito iniziò la militanza comunista, segnata anche da periodi di prigionia. Ma i rapporti strettissimi con l’URSS e la consacrazione al partito di Mosca gli avrebbero garantito una vera e propria scalata nel Comintern.

La Jugoslavia di Tito in pochi passaggi

Quella della Jugoslavia non è affatto una storia semplice o lineare, per via della compagine politico-partitica che, almeno fino al 1929, fu caratterizzata dai forti contrasti etnici. Non si possono infatti tralasciare i numerosi crimini e genocidi messi in atto dagli Ustascia croati di Ante Pavelić nei confronti dei serbi.

Spinti da un forte desiderio autonomistico e anti-serbo, comportarono un consistente avvicinamento all’Asse italo-tedesco (con la conseguente nascita dello Stato fantoccio della Croazia indipendente nel 1941), finché questo non divenne una minaccia per l’URSS e per l’intera Jugoslavia.

Qui entrò in scena Tito, vincendo la battaglia contro gli invasori nazisti e artefice di una federazione di operai e contadini nei Balcani: la sua Jugoslavia, nata nel 1945. 

Fonte: Wikipedia

Questa nuovissima entità seguì il dettato stalinista fino al 1948, anno in cui Tito maturò l’idea che l’abbandono dell’URSS fosse essenziale per completare la rivoluzione operaia jugoslava, realizzando il suo sogno personalistico. Nacque così il movimento Non Allineato e la Jugoslavia restò in piedi per decenni.

La morte di Tito nel 1980 fu funesta, così come lo fu la Caduta del Muro: nel 1991, anno della guerra civile tra le varie anime dei Balcani, la Jugoslavia non ebbe più senso di esistere, era acefala e non aveva più minacce a cui rispondere. Perse così la sua identità e iniziale funzione di corridoio sanitario.

Perché parlare di Tito

Tito, il dittatore dei Balcani, va ri-studiato e la riflessione di Vojislav Pavlović è un ottimo punto di partenza. La domanda finale di tutto il suo excursus è: i cittadini jugoslavi avrebbero potuto vivere meglio (rispetto agli altri Paesi comunisti) se Tito non avesse instaurato affatto un regime comunista?

Per tentare di dare una risposta, vanno prese in considerazione due principali zone d’ombra. La prima riguarda la sostenibilità economica dell’ideale jugoslavo, che era stata possibile grazie agli aiuti economici occidentali.

La seconda è rappresentata dai gulag jugoslavi, la cui storiografia, sebbene molto striminzita, emerse solo dopo e riguardò specialmente Goli Otok (l’Isola Calva), il campo di concentramento dove finivano gli oppositori di Tito.