Intervista a Valentina Cordero “La libertà come riconoscimento: Taylor interprete di Hegel

Mercoledì 12 dicembre, presso la galleria d’arte Palazzo Margutta a Roma, ci siamo incontrati con la giovane giornalista Valentina Cordero, reporter per la rivista americana Education Update della redazione di New York. Il giorno precedente, sempre nella stessa sede, si era tenuta la presentazione del suo primo libro di filosofia dal titolo “La libertà come riconoscimento: Taylor interprete di Hegel”, edito da Il Prato per la collana I Cento Talleri. All’evento ,“Filosofia e Riconoscimento: Hegel, Marx e il Capitalismo”, avevano partecipato anche Diego Fusaro, ricercatore presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e il prof. Giuseppe Girgenti, della stessa università. Di seguito riportiamo l’intervista.
Diamo il benvenuto a Valentina Cordero. Allora Valentina, intanto volevamo chiederti quale è stato il tuo percorso di formazione accademica e perché hai scelto proprio Taylor come interprete di Hegel.
<<Ho iniziato ad amare la filosofia quando frequentavo il liceo. Si dice che si ama una certa materia quando il professore che te la insegna ti trasmette qualcosa, e questo è verissimo. Dopo il liceo ho scelto di studiare filosofia perché la sentivo come un bisogno, quasi fosse una necessità primaria tanto da arrivare a pensare “se non studio filosofia all’università, quando arriverò ad avere quarant’anni mi pentirò”. Quindi ho scelto di intraprendere questo percorso e, al contempo, ho iniziato ad avere alcune piccole collaborazioni come ad esempio con filosofico.net e diciamo che dopo la laurea specialistica, ho voluto prendere una sorta di biglietto di sola andata per l’estero. Inizialmente volevo andare a San Francisco, poi la scelta è caduta su New York perché pensavo che, nel campo su cui volevo puntare, forse offriva più possibilità e infatti non mi sono sbagliata: New York è una città che ti ruba tantissime energie, ti sciupa proprio, però, allo stesso tempo, è una città ricca che ti riempie veramente in diversi sensi.
E per rispondere alla seconda parte della domanda, ho scelto Taylor perché, dal mio punto di vista, non solo è uno dei maggiori interpreti della filosofia hegeliana, ma è anche uno massimi interpreti della società e della realtà in cui viviamo, vista come quella realtà che ha perso il senso della magia della civiltà greca. (E non bisogna dimenticare che un altro grande pensatore della società è il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman). Ecco perchè ho scelto proprio Taylor.>>.
Il tema centrale del tuo libro, a cui appunto dà il titolo, è la “libertà come riconoscimento”. Cosa intendi con questa identificazione?
<<La libertà come riconoscimento è una figura centrale di tutta la filosofia hegeliana. È una libertà che deve essere intesa in un contesto sociale, cioè l’uomo non può pensare alla libertà se si considera un individuo isolato, se si considera una monade leibniziana, quindi chiusa in se stessa, senza finestre, senza opportunità di confrontarsi con gli altri. E la libertà come riconoscimento, secondo me, è qualcosa che nella società odierna manca: noi abbiamo tanti tipi di società, tanti gruppi sociali, però, questi gruppi sociali hanno molta difficoltà ad interagire, mentre il riconoscimento non è solo il rispetto per gli altri, ma è anche il saper accettare quello che si ha davanti visto come ciò che rispecchia in qualche modo noi stessi sotto diversi punti di vista>>.
Ieri durante la presentazione si è parlato molto Hegel, che di certo non è uno degli autori particolarmente trattati oggi. Come hai sottolineato nella tua esposizione, bisognerebbe dire “Bentornato Hegel!”, riferendoti al titolo del libro di Diego Fusaro “Bentornato Marx!”: è importante tornare a studiare questo pensatore in un mondo che è cambiato tanto?
<<Si, io sostengo che Hegel, così come Marx, sia uno dei filosofi più attuali. Anche se sono tutti e due “sepolti”. Questo perché a livello universitario ci sono pochissimi corsi su Hegel, così come pochissimi su Marx, ma non solo: tutti i testi che vengono adottati dai licei tendono un po’ a sfigurare l’immagine di Hegel perché lo descrivono come un pazzoide, uno che ha scritto solamente delle opere astruse, utilizzando una terminologia molto aulica. Insomma, un filosofo che starebbe bene chiuso in una sorta di torre manicomiale. Così tendono a far studiare agli studenti Hegel in un modo quasi, possiamo dire, laterale, senza invece trasmettere quelli che sono i suoi veri insegnamenti. E, come ripeto anche più volte nel mio libro, il riconoscimento, la libertà, i temi trattati nelle due massime opere di Hegel, sono temi veramente molto attuali, che toccano ogni singolo individuo nel profondo>>.
Proprio a proposito di temi molto attuali. Ho seguito il tuo bellissimo speciale sulle presidenziali negli Stati Uniti: la libertà come riconoscimento come si va a rapportare a queste elezioni, che si sono tenute nemmeno un mese fa?
<<Diciamo che, se Hegel fosse ancora vivo, si metterebbe radicalmente le mani nei capelli. Questo perché non credo che oggi in nessuno stato si possa veramente parlare di libertà come riconoscimento. Credo che l’unico stato in cui, diciamo, l’uomo può sperare ad avere forse, e ripeto forse, un margine di libertà sono gli Stati Uniti nella figura di Barack Obama. Come dicevo durante la presentazione del mio libro, Obama non è un santo o uno stregone, ma semplicemente ha vinto le elezioni perché ha saputo trasmettere molta fiducia alle classi minoritarie, perché viene un po’ visto dagli ispanici e dagli afroamericani, come la nuova America: quel presidente che è in grado di incarnare un’american dream e che è in grado di offrire alla popolazione americana una sorta di salto, e quindi un superamento rispetto alle barriere razziali che ci potevano essere>>.
Riguardo di uno dei punti forti del programma elettorale di Obama, su cui si sono quasi “giocate”, diciamo, queste elezioni, cioè la riforma del sistema di assistenza sanitaria: un filosofo come John Rawls, che appunto sottolineò la grandissima importanza di una copertura di assistenza sanitaria per i più svantaggiati, fu considerato come criptocomunista. Quanto è sentito il tema della salute negli Stati Uniti oggi?
<<Il tema della salute è sempre stato centrale nella politica americana, e soprattutto in quella di Obama. Dal mio punto di vista, condivido la decisione che hanno preso gli Stati Uniti per quanto riguarda la riforma Obama. Condivido la decisione della Corte Suprema che appunto ha sentenziato, solo alcuni mesi fa la riforma, perché ciò dà la possibilità a milioni di persone di avere una copertura sanitaria. Ho sentito in prima persona parecchi commenti sul fatto che è una spesa in più per le famiglie, però credo che sia un vantaggio proprio a livello della società americana>>.
Vorrei ripartire sempre da Rawls, un autore che mi è caro e che è appunto statunitense. Nel confronto con Habermas si parlava del fatto che Rawls criticasse quasi questo aspetto della copertura sanitaria nel suo Paese e magari si auspicava che gli Stati Uniti si avvicinassero, per alcuni aspetti, al modello degli stati europei. Tu che puoi osservare da una doppia prospettiva, pensi che si stanno più conformando gli statuntensi al nostro sistema o piuttosto noi, coi tempi che corrono, finiremo per conformarci al loro?
<<Io penso che l’Europa abbia sempre cercato in qualche modo di conformarsi agli Stati Uniti, ma questo già da diversi anni. La svolta di Obama, perché questa della riforma è una svolta storica negli Stati Uniti, è forse un volere avvicinarsi di più verso l’Europa>>.
Per tornare al tuo percorso, una giovane studiosa di filosofia di cosa si occupa oggi?
<<Temi soprattutto legati al mondo della cultura, della letteratura. Diciamo che all’inizio ho dovuto superare un po’ di ostacoli perché appunto lavoravo in una redazione dove c’era parecchia economia: io inizialmente non ero molto ferrata, mi sono dovuta tirare su parecchio le maniche e imparare tutto ciò che c’era imparare per agire ad “ampio raggio”, nel senso che se vuoi fare il giornalista devi prima essere in grado di spaziare; successivamente, devi decidere di specializzarti in un determinato settore, cercando di fare forse cose diverse rispetto agli altri, perché il modo di procedere e la diversità con cui ti rapporti è ciò che fa si che tu possa avere successo>>.
Una domanda per tutti quei ragazzi universitari che c’erano ieri: cosa ti senti di consigliare agli studenti che poi si trovano ad affrontare il grande problema di trovare un’occupazione?
<<Io potrei dire, spensieratamente, fregatevene di tutte quelle critiche che possono esservi rivolte se scegliete di intraprendere un percorso filosofico e cercate di fare quello che veramente volete, e alla fine troverete il modo per sviluppare a pieno i vostri sogni. Io mi ricordo che quando ho deciso di studiare filosofia all’università, poche persone mi hanno supportato: anzi una delle frasi che mi venivano dette di più era: “benissimo avremo un altro disoccupato”. Altre persone invece mi hanno detto “fai quello che ti dice il cuore”. E così fatto e, se tornassi indietro, rifarei questa strada mille volte. Bisogna inseguire i propri sogni, nel bene e nel male, perché comunque bisogna affrontare tanti ostacoli e certe volte ci si sente scoraggiati, però, alla fine se con tanta tenacia, buona volontà e sacrificio si è disposti a inseguire quello in cui veramente crediamo, secondo me ce la possiamo fare. È solo così che si può dire alla fine, come direbbe Nietzsche, “si, rifarei tutto fin dall’inizio”>>.
Domanda finale. Per i giovani, restare qui in Italia, o magari seguire un percorso come il tuo e andare a specializzarsi fuori?
<<Se una persona ha le possibilità e le opportunità per farlo, in questo momento direi di andar fuori. Ci sono dei treni che nella vita passano una sola volta: o li prendi o li perdi per sempre. A tornare indietro c’è sempre tempo, l’Italia è qua, non scappa. Bisogna avere coraggio e partire con una valigia piena di sogni. E poi, chissà, magari dopo un po’ di tempo si decide di ritornare a casa>>.
a cura di Marco Di Giacomo