Alla scoperta della Teoria dei Giochi con il Professor Battigalli

Salve Professore, le do il benvenuto su 2duerighe.com, prima di parlare del libro volevo domandarle, come e quando è nata la sua passione per la Teoria dei Giochi?
Quando studiavo economia all’Università Bocconi negli anni ’80, non si insegnava la teoria dei giochi (TG); al massimo, si accennava alla sua esistenza nelle lezioni sull’oligopolio. Però mi avvicinai all’argomento leggendo un libro del sociologo francese Raymond Boudon, Gli effetti perversi dell’azione sociale. Anche se il libro usava la teoria in modo elementare, mi resi conto dell’esistenza di un approccio matematico rigoroso e generale alla modellizzazione dell’interazione tra decisori che perseguono scopi talvolta in conflitto, talvolta comuni. Qualche anno dopo cominciai a scrivere la mia tesi di laurea con lo scopo di studiare fenomeni di disequilibrio sui mercati e mi convinsi che l’unico modo veramente rigoroso per affrontare l’argomento era il metodo della TG. Così la studiai da autodidatta. Da un lato mi entusiasmai per il modo rigoroso con cui la TG permette di rappresentare l’interazione, a partire dai giochi veri e propri, come gli scacchi e il poker. Dall’altro ero scettico e critico verso i concetti di soluzione proposti da Nash e tutti i successivi fautori del paradigma dominante, basati sulla presunzione—in generale ingiustificata—che tutti gli agenti hanno congetture corrette sul comportamento altrui. Così la mia tesi cambiò direzione e divenne una prima proposta di riformulazione della teoria dei giochi. In effetti si trattò dei primi passi di un programma di ricerca metodologico che tuttora perseguo.
Nel suo libro ripercorre anche le tappe storiche di questa teoria dal 1940 ai giorni più vicini, qual è stata secondo lei la tappa cruciale nei progressi fatti?
Forse, più che a una tappa, è più utile riferirsi a un decennio, grosso modo coincidente con gli anni ’70. In quel periodo gli studiosi di teoria economica spostarono l’attenzione dalla cosiddetta “teoria dell’equilibrio generale” (che non usa la TG) e dall’analisi della formazione di coalizioni stabili (che usa una parte della TG) allo studio con la TG dell’informazione asimmetrica e del comportamento in giochi sequenziali. Pur mantenendosi all’interno del paradigma dominante, questi studi portarono a innovazioni concettuali fondamentali, che permisero nei decenni successivi di applicare la teoria dei giochi a campi d’indagine vasti ed eterogenei (teoria delle aste e gare d’appalto, progettazione di regole e istituzioni, reputazione, concorrenza imperfetta, collusione, contrattazione, per limitarsi ad alcuni esempi). Nei successivi decenni la TG divenne parte integrante dei programmi di studio dell’economia teorica, prima a livello di dottorato e poi anche a livelli meno avanzati.
Da dove è nata l’idea di scrivere un libro su questa scienza?
Fin dalla fine del secolo scorso meditavo di scrivere una breve monografia che presentasse la TG dalla mia prospettiva metodologica. Quando la Treccani mi chiese di scrivere una voce sulla TG, colsi quell’opportunità. Quel saggio è stato recentemente ripubblicato in forma di libro.
Parlando di un livello prettamente accademico, da insegnante può indicarci quali sono le problematiche e le difficoltà che incontrano i suoi allievi studiando la Teoria dei Giochi?
La TG è un approccio matematico allo studio dell’interazione sociale. Un messaggio fondamentale che cerco di far comprendere agli studenti è che la TG è un esempio di come si può usare la matematica come linguaggio “universale” per esprimere teorie, una specie di Esperanto della scienza teorica, e inoltre quanto sia importante l’aspetto logico-deduttivo della matematica. Tuttavia la matematica è prevalentemente studiata come un “ricettario” per fare calcoli. Per molti studenti, scoprire che si possono esprimere con formule matematiche idee astratte riguardanti la rappresentazione dell’interazione sociale è una specie di shock culturale. Imparare questo nuovo linguaggio può risultare molto faticoso, ma di solito dà anche grandi soddisfazioni e apre la mente.
Ha altre pubblicazioni sull’argomento che bollono in pentola?
Sì, sto completando due libri in lingua inglese: il mio libro di testo sulla TG (Game Theory: Analysis of Strategic Thinking, con Emiliano Catonini e Nicodemo De Vito) e un trattato sui fondamenti cosiddetti “epistemici” della TG (Strategic Uncertainty: An Epistemic Approach to Game Theory, con Amanda Friedenberg e Marciano Siniscalchi). Il libro di testo è rivolto a studenti di laurea magistrale e dottorato in economia, ma è ovviamente accessibile anche a studenti di matematica e statistica. Il trattato è più avanzato, rivolto a studiosi formati.
Prima le ho chiesto quali sono le difficoltà degli studenti nel recepire le nozioni della Teoria dei Giochi, rovescio la domanda: quali sono le difficoltà nell’insegnare questa scienza?
Didatticamente, oltre a insegnare ad esprimersi con un linguaggio matematico (vedi sopra), ho un duplice scopo. Da un lato voglio insegnare i concetti e metodi del paradigma dominante, perché sono indispensabili per comprendere le applicazioni della TG che si studiano in altri corsi e si leggono negli articoli scientifici. Dall’altro voglio insegnare concetti e metodi che ritengo rilevanti perché hanno un fondamento teorico serio, invece di limitarsi ad assumere quella che dovrebbe essere una conclusione che vale solo in alcuni casi (cioè che gli agenti hanno congetture corrette sul comportamento altrui). Perseguire entrambi gli scopi aggrava il carico didattico, cosa che posso permettermi solo perché il mio è un corso opzionale. Chi lo segue “ha voluto la bicicletta e deve pedalare”.
La ringraziamo per il tempo dedicatoci e le auguriamo un’imbocca a lupo per i traguardi futuri.