Gaza: un anno di guerra
Durante l’ultimo anno di guerra tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza, Ali Wahdan, un professore di matematica, ha perso sua moglie, undici membri della sua famiglia e una gamba nei bombardamenti israeliani nella città di Beït Hanoun, nel nord del paese. Quasi dodici mesi dopo, i medici procedono ad amputare la seconda gamba di Ali. Le prospettive di vita del professore di 36 anni sono letteralmente crollate
GAZA – «Un anno fa, ero in piedi di fronte ai miei alunni», racconta Ali, che oggi è costretto alla sedia a rotelle. «Oggi, non ho più la capacità di occuparmi dei miei bambini». «Ho passato un anno ad andare da un ospedale all’altro. La guerra è finita ma non la mia tragedia». Il conflitto è finito, ma gli abitanti della zona, come quelli della frontiera israeliana, ne subiscono ancora le conseguenze nella loro routine quotidiana. Israele e Hamas si chiedono se la loro tregua resisterà o quando cederà.
A Gaza, le devastazioni provocate dalla guerra sono impressionanti, più di 120 000 case distrutte, 100 000 sfollati, migliaia senza tetto. Due terzi degli abitanti ricevono assistenza di prima necessita da parte dell’ONU. Nelle zone maggiormente colpite, più del 70% dei bambini soffrono di incubi e di enuresi (un disturbo, che consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età compresa tra i 5-6 anni), come riportato dall’Ong Save The Children questa settimana. Più di 500 bambini figurano tra i 2100 palestinesi, civili per la maggior parte, uccisi durante il conflitto. Israele ha deplorato 73 morti, sostanzialmente militari. Il mese scorso, il FMI (Fondo Monetario Internazionale), si allarmava della situazione economica del territorio palestinese che ospita 1,8 milioni di abitanti, la più forte densità di abitanti del mondo. In assenza del sostegno internazionale, le prospettive di ricostruzione sono esigue. Più del 40% degli abitanti di Gaza sono disoccupati, una percentuale che nei giovani raggiunge il 60%, secondo le cifre redatte dalla Banca Mondiale. Inoltre, le due parti coinvolte sono oggetto di una commissione d’inchiesta dell’ONU per “possibili crimini di guerra”, commessi da Israele e dai gruppi armati palestinesi durante il conflitto.
Il professore Ali Wahdan, e quello che resta della sua famiglia, vive in un’abitazione costruita con il legno. Sul versante opposto, nel territorio di Israele, dove alcuni attacchi aerei si sono succeduti durante il conflitto, i danni non sono altrettanto visibili. Tuttavia, anche in quella zona 500 bambini ricevono un’assistenza psicologica.
La situazione resta certamente delicata ma tutto dipenderà dalla durata della tregua negoziata a fine agosto dall’Egitto, cinquanta giorni dopo il conflitto. Dalla fine della guerra, gruppi armati palestinesi continuano a sparare altri missili sul territorio israeliano, senza provocare, almeno per ora, altre vittime.
Negli ultimi mesi, alcuni salafisti (il Salafismo delle origini era un movimento religioso che si batteva per il recupero di un Islam puro, privo dei tradizionalismi religiosi che contraddistinguevano l’Islam ufficiale fino al XIX secolo. Il significato del termine oggi è gradualmente cambiato ed è utilizzato per indicare coloro che vogliono implementare la sharia, la legge islamica, ritenendo corretta una lettura integrale e letterale del Corano e della sunna, l’insieme degli insegnamenti del Profeta Maometto), che rivendicano la loro appartenenza all’ISIS, sono apparsi nella striscia di Gaza. Hanno condotto attacchi contro Hamas, sparando proiettili contro Israele promettendo di intensificare le loro azioni.
L’Egitto e Israele, che controllano l’accesso a Gaza, hanno intrapreso misure controproducenti poiché sostengono, indirettamente, Hamas, aprendo loro le frontiere per fare entrare uomini e materiali nel territorio, rinforzando di fatto la popolarità del movimento della resistenza islamica di fronte ai salafisti.
Alcune voci, evocano contatti tra lo Stato ebraico e il gruppo palestinese, che proporrebbe una lunga tregua. Per ora, nulla è stato confermato ufficialmente, ma simili contatti sono già avvenuti in passato, e sembrano, giunti alla conclusione che a questo punto, è meglio parlare con un nemico che si conosce bene. Nonostante alcuni progressi, le divisioni palestinesi continuano ad avere un loro peso determinante sul piatto della bilancia.
Un anno fa il conflitto tra Hamas e Israele: a #Gaza tantissimi bambini vivono in case lesionate dai bombardamenti pic.twitter.com/FB8FLQ4UtR
— UNICEF Italia (@UNICEF_Italia) 7 Luglio 2015
Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità palestinese capo di Fatah, resta in standby con Hamas nonostante la conclusione di un accordo per un governo di unione nel giugno del 2014. Questo accordo permetteva all’Autorità palestinese, con base in Cisgiordania, di riprendere il controllo delle frontiere e della sicurezza nella striscia di Gaza, cosa che non si è ad oggi verificata. Il sospetto tra Hamas e Fatah non è mai stato così alto.
Nella zona che controlla dall’inizio del sanguinoso conflitto con Fatah nel 2007, Hamas sembra essersi stabilizzato ancora per molto. La sua ala militare promette di ricostruire tunnel sfruttati per attaccare Israele mentre lo Stato ebraico mette a punto una tecnologia per scovare queste costruzioni prima che possano essere riedificate.
Dalla fine della guerra, i responsabili del governo di Netanyahu parlano apertamente della probabilità di un nuovo conflitto nei prossimi mesi. Forse un’altra guerra sembra davvero inevitabile.
Fonte: The New York Times
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuManuelg85)
8 Luglio 2015