Kenya: il paese piange i propri figli
148 persone, delle quali 142 erano studenti, sono state assassinate in poche ore da un commando jihadista, giovedì a Garissa, nella provincia Nord est del paese. Non c’è modo peggiore di attaccare una nazione nelle sue radici più profonde che uccidendo i suoi figli
KENYA – Il Kenya è ancora sotto shock. Sono molteplici le ragioni che hanno portato i jihadisti ad attaccare l’Università di Garissa. Tutto è stato concepito nei minimi dettagli con premeditazione, per suscitare il terrore, la collera e il gande dolore. Un dramma immenso che ha fatto il giro del mondo, studenti sorpresi nel sonno, uccisi senza pietà alcuna, mentre alcuni sono stati risparmiati perché hanno recitato versi del Corano. Il dolore, e la perdita enorme è rafforzata dal fatto che il Kenya è un paese volto all’educazione. I genitori si privano di tutto per garantire un percorso scolastico ai figli. È proprio questo desiderio di crescita sociale, di vivere meglio, che i militanti di Shabaab, cellula di Al Qaeda, hanno voluto colpire. Il massacro è stato rivendicato dal gruppo somalo Al Shabaab (Harakat Al-Shabaab Al-Mujahiddin, Movimento della gioventù Mujahiddin). Eppure, è stato compiuto in lingua Swahili (lingua parlata da molti somali). Evidentemente, possono provenire dal lato keniota della cellula. L’uomo che ha concepito l’operazione è Mohamed Kuno Gamadheere, un Keniota somalo, ex professore di Garissa che ha raggiunto gli insorti somali all’inizio degli anni 2000 occupandosi dell’amministrazione della regione di confine di Jubaland, in Somalia, quando era sotto il controllo dei Shabaab.
L’Università di Garissa è l’unica ad offrire un insegnamento universitario in tutta la provincia nord est che è grande come la Grecia. In questa regione regna la povertà a causa della siccità. È in questa zona che si sono insediati molti somali nel grande campo di Dadaab oltre il quale si trova proprio la frontiera somala. Più a sud, le autorità keniote vogliono edificare un muro sperando di contenere le infiltrazioni dei combattenti. La vicinanza geografica con la Somalia minaccia anche di costringere le autorità a ripensare allo smantellamento del campo. Nel 2014, i rifugiati somali furono accerchiati a Nairobi, sistemati all’interno di uno stadio e deportati verso il campo. Non vi furono violenze registrate in quel caso.
Attaccando l’Università di Garissa il commando beneficiava di un ulteriore vantaggio: ritardare l’intervento delle forze speciali. Il commando, infatti, ha potuto agire metodicamente e indisturbato per dodici ore, uccidendo decine e decine di giovani innocenti mentre i responsabili politici arrivavano in elicottero e le forze speciali erano impegnate a raggiungere il luogo via terra.
Il presidente Uhuru Kenyatta, si è espresso attraverso la televisione con l’intento di rassicurare il paese da altri attacchi terroristici. Sabato, ha riconosciuto che serviranno “misure eccezionali” per lottare contro una “minaccia all’esistenza stessa” del Kenya. La provincia del nord est è senz’altro la più pericolosa dell’intero paese. Il vasto insieme dei somali è spartito tra diversi paesi, come risultato dei tagli coloniali, la presenza dei Kenioti nella zona di confine doveva fungere da tampone per impedire le incursioni dei Shabaab in Kenya.
L’inchiesta dopo il massacro prosegue. Uno dei membri del commando è stato identificato: si tratta di un giovane keniota di etnia somala, laureato alla facoltà di legge di Nairobi, come annunciato, ieri 5 aprile, dal ministero degli interni keniota. Il giovane, visto come ragazzo dal futuro brillante, era stato segnalato dal padre alle autorità perché scomparso e sospettava che si fosse diretto in Somalia.
Le autorità tentano ancora di identificare le altre tre persone che hanno assalito l’istituto di Garissa dove sono morti 142 studenti, tre poliziotti e tre militari.
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuManuelg85)
6 Aprile 2015