Ebola: Storia di una problematica solidarietà africana
Il virus Ebola è apparso per la prima volta in Guinea nel dicembre del 2013 con epicentro la regione tra Guinea, Liberia e Sierra Leone. La trasmissione avveniva principalmente tra umano e umano, attraverso contatto fisico tra malati o persone morte di Ebola
Un’epidemia fino ad allora sconosciuta ai paesi dell’Africa dell’Ovest, dove non ha suscitato l’inquietudine che avrebbe dovuto provocare. La negligenza che è prevalsa nelle prime ore dell’epidemia era sintomatica del comportamento di alcuni africani che hanno dovuto confrontarsi con risultati catastrofici (quasi 5 000 vittime nel solo mese di ottobre 2014), registrate dalla scoperta del virus datata 1976.
La reazione dell’unione africana (UA), di fronte a questa epidemia espansa in tre paesi diversi si è manifestata nell’aprile del 2014 durante una riunione tra i Ministri della Sanità dei paesi africani e l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) a Luanda, in Angola. Non avendo colto l’ampiezza dell’epidemia in corso, l’UA si è concessa il tempo di riflettere sulle possibili soluzioni mentre il virus uccideva già centinaia di persone.
Il Consiglio di Pace e di Sicurezza dell’UA si è riunito il 19 agosto 2014 durante la 450° sessione ad Addis Abeba (Etiopia), e ha dichiarato il virus come minaccia alla pace e alla sicurezza del continente. L’intenzione di reagire era certamente lodevole poiché impiegava le forze dell’esercito dell’UA e l’invio di personale medico specializzato. A questo punto il virus aveva già ucciso oltre 2 000 persone e la velocità esponenziale di propagazione dell’epidemia ha convinto alcuni paesi a chiudere le proprie frontiere.
L’8 settembre scorso, durante la riunione d’urgenza del Consiglio Esecutivo dell’UA, la Commissione dell’UA ha chiesto ai paesi che chiusero le frontiere di eliminare le restrizioni di viaggio che miravano i paesi infetti dal virus al fine di permettere la libera circolazione dei beni e delle persone. Misure fortemente influenzate dalle raccomandazioni dell’OMS per evitare l’asfissia dei paesi coinvolti. Di tutte le misure che avrebbero potuto essere intraprese per attaccare frontalmente l’epidemia, l’UA chiese l’apertura delle frontiere. Probabilmente una pessima scelta.
Cosa dovevamo aspettarci dato l’inutile ruolo dell’UA nella crisi libica, maliana o nel conflitto centrafricano? L’inerzia e la nonchalance con la quale l’UA ha gestito la fase iniziale di questa epidemia conferma la continuità del ruolo secondario che svolge nel continente.
Come può un istituto internazionale di quest’ampiezza avere così poca influenza sul suo territorio? Le casse sono praticamente vuote, cosa che limita evidentemente la sua influenza di fronte agli interlocutori blindati come l’Unione Europea o gli Stati Uniti. Questi paesi negoziano le misure da applicare e invitano l’UA per informarsi.
I bisogni finanziari per contenere l’epidemia evoluta a dismisura sembrano essere un problema. La propagazione del virus è sicuramente imputabile alla mancanza di comunicazione sulle caratteristiche della malattia e su come evitarla. Il virus si propaga a una velocità esponenziale mentre il numero del personale sanitario resta immutato o addirittura si riduce in seguito al decesso di alcuni infermieri e medici. Una strategia può essere adottata ma occorre parlarne su vasta scala. La reazione di fronte al virus dovrebbe essere la stessa di quella prevalsa durante l’invasione del Mali dagli islamici radicali o terroristi nel 2013.
Il continente africano è in guerra, non contro i terroristi bensì contro una malattia. I paesi africani che dispongono di numerosi medici e infermieri militari dovrebbero adoperarsi per combattere questo virus. La sicurezza sanitaria del continente è in gioco, ecco perché dovrebbe manifestarsi la solidarietà dei paesi vicini. Non si tratta di una guerra fatta con le armi, ma di una guerra intellettuale, strategica, e sanitaria.
L’UA dovrebbe esigere che ogni paese membro invii personale medico in nome della solidarietà africana. Ne trarrebbe beneficio soprattutto la legittimità dell’Unione stessa oltre che la sua credibilità sul piano internazionale.
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuMnauelg85)
21 Gennaio 2015