Un nuovo processo per la cristiana condannata a morte in Sudan. Richiesto intervento del Papa dalla nunziatura
Per Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la donna sudanese, condannata a morte per apostasia, si apre uno spiraglio per scampare alla condanna a morte.
Verrà celebrato un nuovo processo e sarà la Corte suprema sudanese ad affrontare il suo caso.
Italians for Darfur (Ifd), l’organizzazione che ha promosso la petizione per salvare la 27enne cristiana, incinta all’ottavo mese e madre di un bambino di un anno e mezzo, condannata a morte perché non ha voluto rinnegare la sua fede annuncia che “scongiurare la condanna a morte è possibile”.
Le notizie sono state confermate da referente di Idf a Khartum di Sudan Change Now, Khalid Omer Yousif, che sta seguendo il caso da quando Meriam.
Nella loro sentenza, i giudici hanno anche stabilito che Meriam dovrà subire cento frustate per aver commesso adulterio, visto che il suo matrimonio con un uomo cristiano non è riconosciuto valido in base alla sharia (diritto islamico). Meriam è sposata con Daniel Wani, un sud-sudanese cristiano. Lei è invece sudanese e nel suo paese è considerata musulmana, perché nata da un padre musulmano.
La sharia vieta ad una donna musulmana di sposare un uomo di un’altra fede e i figli nati dalla loro unione sono quindi considerati illegittimi e frutto di adulterio. “Noi, con le altre organizzazioni mobilitate – ha scritto Ifd – continueremo la nostra battaglia per salvare Meriam, come abbiamo fatto in passato per Layla e Intisar, condannate alla lapidazione per adulterio e poi graziate grazie alla nostra mobilitazione”.
Sebastiano Di Mauro
17 maggio 2014