Il Mali fiancheggiato dai russi si ispira alla sicurezza francese
Una brutale imboscata in un distretto scarsamente popolato della regione del Sahel, nell’Africa occidentale, potrebbe sembrare una questione marginale per i leader mondiali che oggi affrontano ondate di crisi di ben altro peso.
Tuttavia, mentre i conflitti in parti molto diverse del mondo si intrecciano attraverso alleanze transnazionali contro nemici comuni, una vittoria delle cellule ribelli nell’estremo nord del Mali potrebbe avere implicazioni strategiche che potrebbero ripercuotersi ben oltre le aride terre di confine del Sahel.
L’imboscata in questione è avvenuta nei pressi della città di Tinzaouaten, nel nord-est del Mali, tra il 22 e il 27 luglio scorso, quando un grande convoglio di truppe maliane e mercenari russi è stato distrutto da insorti locali.
Sebbene le immagini video pubblicate sui social media mostrino rottami di veicoli da combattimento e decine di russi uccisi in azione dopo la battaglia, c’è meno chiarezza su come si siano svolti i combattimenti che hanno portato a questo epilogo.
Alcuni rapporti suggeriscono che i separatisti tuareg abbiano inizialmente intercettato il convoglio, altri video indicano che gli insorti jihadisti legati al movimento JNIM (gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani, nato nel 2017) affiliato ad al-Qaeda abbiano spazzato via le forze russe e maliane sopravvissute ad una prima fase dell’attacco.
Tra separatisti tuareg e ribelli jihadisti che cercano di rivendicare il merito dell’attacco, il suo impatto politico a lungo termine dipenderà fortemente da quale fazione si muoverà più velocemente nel conquistare un territorio che il governo del Mali, già messo a dura prova, presto non sarà più in grado di controllare.
Ci sono anche domande senza risposta sul perché i comandanti russi abbiano deciso di inviare un contingente così grande in un territorio molto esposto e oltre le linee di rifornimento delle forze maliane che oggi fiancheggiano.
Dopo aver espulso i gruppi separatisti tuareg dalla città settentrionale di Kidal nel novembre del 2023, potrebbero essersi convinti di poter garantire il controllo completo delle aree rurali desertiche in cui l’estrazione artigianale dell’oro è una delle principali fonti di reddito.
Per quanto riguarda il colonnello Assimi Goita, leader della giunta militare che oggi governa il Mali, potrebbe aver sentito il bisogno di produrre più vittorie sul campo di battaglia grazie all’assistenza russa, dopo aver espulso alla fine dello scorso anno i contingenti militari francesi e dell’Unione Europea, così come le forze di pace delle Nazioni Unite, al fine di riconquistare un po’ di sostegno dell’opinione pubblica che nella capitale Bamako scricchiola sempre di più.
Inoltre, ci sono questioni che concernono il rapporto tra i vari attori esterni che frequentano la zona più o meno lecitamente e i gruppi di ribelli presenti sul territorio del Mali. Sebbene le immagini divulgate da presunti agenti ucraini attivi nella regione sembrino più mal riuscite operazioni di disinformazione per seminare ansia tra gli alleati della Russia in Africa, l’intelligence militare ucraina ha affermato aver fornito “le informazioni necessarie” alla preparazione dell’attacco degli insorti. Per questa dichiarazione il Mali ha recentemente bloccato le sue relazioni diplomatiche con Kiev.
Da notare che voci di una presenza ucraina in Sudan sono state smentite da molti analisti nella primavera del 2023, per poi essere riconfermate pochi mesi dopo da prove evidenti sull’affiancamento ucraino alle forze armate sudanesi che stanno combattendo la guerra civile contro il gruppo paramilitare appoggiato dalla Russia.
Più importante è capire in che misura gli attori regionali governativi e non governativi – che vanno dai servizi di intelligence algerini, agli imprenditori minerari, ai contrabbandieri, ai leader delle comunità tuareg e di altri gruppi etnici ostili all’interferenza delle lontane autorità di Bamako – siano ora pronti ad assistere i ribelli che aggrediscono le forze armate governative russe e maliane.
L’incapacità della giunta maliana di gestire l’insurrezione del nord da quando ha rovesciato il governo democratico del Paese (democraticamente eletto nel 2020) suscita un apparente scarso interesse da parte delle autorità di Parigi e Bruxelles, che non hanno ancora digerito l’umiliazione della decisione di Bamako di espellere le missioni anti-insurrezione francesi e dell’Unione Europea a favore dei mercenari russi disposti ad usare ogni mezzo per fermare i ribelli e i civili ostili.
Senza un’ampia forza aerea e la capacità di trasporto cargo che le truppe francesi e gli altri Paesi dell’UE sono stati in grado di fornire negli ultimi anni, le truppe del Mali e i loro partner russi si affidano agli attacchi di droni e aerei senza avere a supporto un’adeguata capacità di ricognizione e sorveglianza che sono fondamentali alla buona riuscita delle missioni.
Inoltre, assecondando le ambizioni di Goita che pensa schiacciare qualsiasi potenziale opposizione, i comandanti russi hanno appoggiato attacchi che hanno minato i fragili accordi con i nazionalisti tuareg che sono stati mediati con molta fatica dalle autorità algerine e francesi nel 2015 e che per un certo periodo hanno impedito una piena ripresa dell’attività dei ribelli separatisti.
Mentre i frequenti errori della giunta sono facile bersaglio per le critiche dei dirigenti francesi e dell’UE, la loro amarezza gli fa vedere superficialmente una realtà più scomoda: c’è molta più continuità di quello che le parti vogliano ammettere ci sia tra le passate politiche sulla sicurezza applicate dal governo democratico del Mali, in collaborazione con gli alleati di Parigi e Bruxelles, e la più recente convulsa collaborazione della giunta militare con Mosca.
Invece di rompere drasticamente con l’approccio militarizzato e le abitudini neocolonialiste dei dirigenti francesi, la cui influenza ha plasmato anche la strategia dell’UE nei confronti del Mali, il regime di Goita ha innestato la ricerca della sovranità nazionale contro le interferenze occidentali applicando astrattamente una efferata declinazione della stessa pratica.
Al centro della governance dell’era coloniale francese e delle strategie neocoloniali post-indipendenza, rappresentate dal concetto di Françafrique, c’era un processo di costruzione dello Stato progettato per stimolare lo sviluppo economico e rafforzare il controllo amministrativo sulla vita quotidiana anche delle comunità locali più ribelli.
Nonostante i leader più nazionalisti del dopo indipendenza abbiano plasmato l’esercito del Mali in un’ottica che mal sopportava l’influenza francese, i progetti di costruzione dello Stato e di sviluppo economico che hanno scelto di perseguire ha rispecchiato più volte le tendenze centralizzatrici tipiche della Francia.
Mentre gli sforzi dei governi democraticamente eletti, diretti a condividere le risorse e il potere con le élite regionali abbiamo segnato negli anni ’90 e 2000 un periodo di innovazione istituzionale, il quasi collasso dell’autorità statale durante le offensive del 2012 da parte dei jihadisti e dei separatisti tuareg ha alimentato le richieste dell’opinione pubblica di Bamako per il ripristino della centralità del potere all’interno dello Stato del Mali.
In questo contesto non dovrebbe sorprendere che Goita e la giunta abbiano rilanciato strategie centralizzatrici basate sulla militarizzazione della società e che ricordano gli sforzi coloniali e dei primi anni del dopo indipendenza, nel tentativo di consolidare il potere centrale.
La strategia di Goita si è basata sul presupposto che la partnership con la Russia, non ostacolata dalle preoccupazioni per i rappresentanti locali e i Diritti umani, potesse compensare la perdita delle maggiori competenze offerte da Francia e Stati dell’UE.
Questa continuità di visione strategica tra il sistema coloniale francese, il piano di costruzione dello Stato all’inizio dell’era post-indipendenza e la crescente ossessione per uno stretto controllo centrale dopo la caduta dello Stato nel 2012, spiegano anche perché le truppe inviate per affermare il potere di Bamako nel nord abbiano subito lo stesso tipo di reiterate sconfitte negli stessi luoghi.
Che si tratti delle ribellioni agli inizi del1900 contro le truppe coloniali francesi, delle insurrezioni post-indipendenza degli anni ’60 e ’90 o del crollo di un sistema politico corrotto come successe nel 2012, ogni sforzo fatto per imporre un maggiore controllo centrale contro la volontà delle élite regionali ha comportato una sconfitta per Bamako e per i suoi alleati esterni.
Dopo le rivolte dei primi anni ’60, i rari periodi di pace sono stati raggiunti solo attraverso accordi che hanno dato ai leader un certo grado di controllo sul loro territorio, lasciando comunque che lo Stato fosse sufficientemente presente e permettesse a Bamako di esercitare la sua influenza sulla vita economica.
I disperati tentativi della giunta militare di ottenere legittimità attraverso la forza si stanno scontrando contro gli stessi ostacoli. L’umiliante sconfitta per mano di ribelli pesantemente armati ha posto il regime di Goita di fronte alla cruda verità: i suoi partner russi non sono in grado di ottenere la vittoria totale come avevano sfrontatamente promesso.
E dal momento che il compromesso con i ribelli jihadisti allineati con al-Qaeda e lo Stato Islamico è impossibile da raggiungere, la giunta militare di Bamako può prevenire l’ennesimo collasso dell’autorità statale solo attraverso lo stesso tipo di accordi di condivisione del potere con le élite regionali che hanno storicamente sedato la causa separatista.
Se Goita si rifiuta di far tesoro delle lezioni che arrivano dal passato e si aggrappa unicamente alle dubbie promesse della Russia di una imminente vittoria sui ribelli, per il Mali (e innegabilmente per lui) si prospetta un futuro piuttosto cupo.