Africa, un 2024 ricco di sfide per tutto il continente

Pochi giorni fa, Giorgia Meloni ha accolto numerosi capi di governo africani per presentare un importante piano di aiuti allo sviluppo. Con il “Piano Mattei”, l’Italia spera diventare, in un futuro prossimo, un ponte tra Europa e Africa, assicurando all’Europa nuove strade di approvvigionamento di risorse energetiche e all’Africa importanti investimenti.
È una prova importante, tanto quanto quelle che dovrà affrontare quest’anno questo vastissimo continente, che rendono il futuro pieno di incognite: elezioni, guerre, colpi di Stato, nuove alleanze, audaci politiche economiche da attuare.
Proviamo ad approfondire il quadro nel quale si dipana questo intreccio non semplice.
I Sudafricani voteranno tra maggio e agosto. L’ANC sta affrontando il suo test elettorale più difficile e potrebbe perdere per la prima volta la maggioranza parlamentare. Malgrado i primi sondaggi indichino una situazione poco performante, con un Partito che sta intorno al 40% nelle indicazioni di voto, la solidissima macchina elettorale dell’ANC potrebbe salvare la presidenza di Cyril Ramaphosa dalla catastrofe. Secondo gli osservatori, lo scenario più probabile vede l’ANC conservare una piccola maggioranza o formare una collazione con uno dei partiti più piccoli.
Cambiamenti politici, soprattutto la liberalizzazione dei settori portuali e ferroviari o la disaggregazione della compagnia nazionale elettrica Eskom, sono poco probabili prima delle elezioni. Supponendo che Ramaphosa sia rieletto, un contesto favorevole alle riforme potrebbe emergere alla fine del 2024, con rimpasti ministeriali che andranno a facilitare questi importanti cambiamenti.
Le cose sarebbero meno semplici per lui se il partner della coalizione fossero i Combattenti della libertà economica (EFM), che spingerebbero la politica del governo nettamente a sinistra e la sua politica estera ancor più lontana dall’Occidente.
Undici altre elezioni nazionali sono previste per il 2024, dove solo in Ghana l’opposizione pare avere qualche possibilità di vittoria.
L’instabilità politica è un’epidemia che nel 2023 ha creato gravi problemi a troppi Stati. Anche se si limitano a piccole economie, i colpi di Stato militari continuano ad avere un impatto notevole sulla percezione degli investitori internazionali e sull’impressione riguardo i rischi sulla regione nel suo insieme.
Con sette golpe militari avvenuti negli ultimi tre anni, è facile prevedere un nuovo “contagio” nel 2024.
Le popolazioni hanno generalmente adottato i governatori militari, e le risposte regionali e internazionali sono state praticamente sempre inefficaci.
Molti Paesi presentano delle debolezze che ne fanno facili obbiettivi per un colpo di Stato, come il Madagascar, nel quale si sono appena svolte controverse elezioni, e il Camerun, il Congo (Brazzaville), la Guinea Equatoriale e l’Uganda, dove i piani per l’avvicendamento dei presidenti in carica da lunghissimo tempo rimangono molto vani.
Nel 2024 la minaccia di golpe sarà maggiore nei Paesi già sotto direzione militare, in nessuno dei quali si prevede organizzare elezioni quest’anno. Le giunte sembrano sempre più instabili in Burkina Faso, in Niger e Guinea. Un colpo di Stato in uno di questi Paesi è molto probabile secondo gli osservatori.
In Camerun, il sistema politico che ruota intorno al Presidente Paul Biya, 90 anni, sembra sempre più paralizzato dalle rivalità interne. Se Biya lavora incessantemente per “proteggere” il suo regime da un colpo di Stato, vista l’età avanzata, un problema di salute o incapacità permanente lascerebbero un vuoto di potere che i militari colmerebbero in un batter d’occhio, lanciano il Paese nello stravolgimento totale delle istituzioni.
Il Corno d’Africa è intrappolato in conflitti senza soluzione. In Sudan, le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Sostegno Rapido (RSF) continuano a combattersi per il controllo del territorio, soprattutto di Khartoum. La scissione del Paese in stile Libia è plausibile. Ogni fazione è convinta di detenere l’autorità legittima e poter sopraffare l’altra militarmente.
In Etiopia, dove abbiamo le autorità federali e i gruppi di insorti reticenti a cominciare un dialogo, il quadro securitario rimarrà precario, ma una soluzione negoziata a queste tensioni etniche è imprescindibile per la crescita del Paese.
Nel frattempo, in Somalia, la lotta del governo contro il gruppo islamista al-Shabaab continua da anni, ma si vede confrontata ad un assottigliamento dei finanziamenti e di possibilità di manovra a mano a mano che l’Unione Africana si ritira. Le latenti tensioni tra clan si trasformeranno in qualcosa di più, in particolare nelle regioni frontaliere del Somaliland e Puntland.
La militarizzazione continua nel Sahel, dove i militanti approfittano del vuoto securitario. In Mali, Niger e Burkina Faso la partenza delle truppe internazionali nel 2022 ha visto le giunte militari totalmente incapaci nel gestire i loro Paesi. Le sfide interne alle quali si confrontano le giunte, preoccupano gli osservatori che temono vedere i gruppi armati allargare la loro sfera di azione, creando altri focolai soprattutto a nord del Benin e del Togo, nel sud-ovest del Mali e potenzialmente a sud del Niger.
Tutta questa instabilità non fa bene a chi cerca investimenti nella regione.
Il rapporto semestrale della Banca africana per lo sviluppo (AfDB) ci dà interessanti dati per capire lo stato dell’economia del continente.
Grazie ad un’analisi completa della crescita regionale, il rapporto mostra che le cinque regioni che ne fanno parte (Africa centrale, australe, orientale, del Nord e occidentale) rimangono resilienti con prospettive stabili a medio termine, nonostante siano confrontate a importanti venti contrari risultato degli shock socioeconomici mondiali. Identifica anche i rischi e richiama misure monetarie e fiscali robuste, accompagnate da importanti politiche strutturali.
Secondo il rapporto, la crescita media stimata sul PIL reale in Africa è rallentata a 3,4% nel 2023, il 3,8% nel 2024, in un contesto di sfide importanti dovute al trascinarsi degli effetti all’epidemia di COVID 19 e all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la nuova guerra tra Israele e Hamas.
Il rapporto emette una riserva sulle prospettive tenendo conto dei rischi mondiali e regionali attuali. Questi rischi comprendono la vampata di aumenti dei prezzi degli alimenti e dell’energia, l’inasprimento delle condizioni finanziarie mondiali e l’aumento che ne consegue dei costi dei servizi e del debito interno. I cambiamenti climatici – con i loro effetti negativi sull’approvvigionamento dei beni alimentari – e il rischio potenziale di un cambiamento di politica nei Paesi dove si terranno le elezioni nel 2024, rappresentano minacce altrettanto preoccupanti.
L’ambiente economico mondiale difficile e i molteplici shock continuano a plasmare le performance macroeconomiche dell’Africa. Le pressioni inflazionistiche persistenti minacciano di annientare tutti i risultati macroeconomici realizzati dall’attenuazione dei rischi collegati alla pandemia, mentre il deprezzamento continuo delle monete locali ha esacerbato il costo dei servizi e il debito. Mentre l’inflazione si attenua su scala mondiale, in Africa persiste e continua a pesare molto sull’economia locale a breve e medio termine nei Paesi del continente. Oggi si attesta al 18,5% e si spera scenda di un punto nel 2024.
Il rischio di default rimane elevato, come testimonia la attesa ristrutturazione del debito dell’Etiopia dopo il rimborso mancato lo scorso 11 dicembre. Il Kenya, locomotiva dell’Africa orientale, ha appena ottenuto un prestito dal FMI che prevede per questo Paese una crescita del 5% per il 2024, premiando la sua resilienza.
Rinegoziazioni del debito sono in corso per lo Zambia e per il Ghana, mentre, sempre secondo il FMI, ben 19 altri Paesi sono a rischio sovraindebitamento e si appoggeranno sempre più a donatori internazionali, posti a condizioni importanti per aumentare i loro guadagni e investire nella decarbonificazione.
L’integrazione commerciale continentale raggiungerà tappe importanti con il lancio del Sistema panafricano di pagamento e regolamento (PAPSS).
Sviluppato da Afreximbank e ospitata dal Kenya, l’iniziativa difesa dal Presidente kenyota William Ruto, facilita i pagamenti transfrontalieri, riducendo così il costo delle transazioni per le imprese regionali eliminando la necessità di convertire le valute straniere. Tutte le banche centrali dovrebbero aderirvi da qui alla fine del 2024, seguite dalle banche commerciali nel 2025.
Ma questa politica regionale pone delle sfide. In Africa Occidentale, la CEDEAO si confronta a divisioni sui colpi di Stato militari avvenuti nel Sahel. Lo scorso 28 gennaio, Burkina Faso, Niger e Mali hanno annunciato il loro ritiro dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, che tenta anche di arginare i colpi di Stato e spingere al ritorno dei civili al potere.
In Africa Orientale c’è da aspettarsi la rivalità tra Tanzania e Kenya per l’accaparramento delle importazioni in seno alla Comunità dell’Africa dell’Est (EAC).
L’interesse crescente degli Stati Uniti e dell’UE per la diversificazione delle catene di approvvigionamento di minerali essenziali fuori dalla Cina attirerà finanziamenti sempre crescenti per i progetti minerari e le infrastrutture a loro collegati. Nel 2024 vedrà compiere il primo anno di funzionamento del corridoio di Lobito, progetto ferroviario sostenuto da Stati Uniti e UE, che collega il porto dell’Angola alle miniere di rame del Congo (RDC) e Zambia.
Coscienti dell’importanza delle loro ricchezze minerarie per la transizione energetica mondiale, i Paesi africani sono sempre più affermati nella gestione delle loro risorse naturali. Nel 2023 ci sono stati importanti transazioni in Botswana e in RDC, e nuove regolamentazioni minerarie in Mali e Burkina Faso (oro).
Se gli americani porteranno avanti l’idea di investimenti importanti in Congo, questo potrà suscitare maggiore interesse da parte delle majors minerarie, che hanno esitato fino ad oggi a impegnarsi con grandi somme. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che vogliono smarcarsi nella produzione di batterie elettriche, saranno tra gli investitori strategici più forti.
Per quanto riguarda la geopolitica, i Capi di Stato africani cercano sempre più visibilità. Ma i grandi problemi del mondo che coinvolgono oggi le grandi potenze, distraendole dal continente africano, fanno sì che questi si stiano orientando su Stati come Brasile, India, Turchia o Stati del Golfo.
L’allineamento su importanti punti di vista come finanziamento climatico, i conflitti Russia-Ucraina e Israele-Palestina, la riduzione della dominazione del dollaro americano o la riforma delle istituzioni finanziarie multilaterali forniranno a questi piccoli, ma influenti Stati, una piattaforma di sostegno agli investimenti e al commercio in Africa. L’Europa e gli Stati Uniti dovranno essere molto convincenti per avere la meglio.