“Zio Vanja”, di Cechov in scena al Piccolo di Milano
Fra cento, duecento anni, che diranno di noi le generazioni future? Saremo ricordati o maledetti per la nostra indolenza e incapacità di agire di oggi?
Nel celeberrimo “Zio Vanja”, in scena al Piccolo Teatro Studio di Milano dal 4 all’8 giugno, per la regia di Emiliano Bronzino, Čechov pone queste e altre domande che restano lì, e risuonano nella testa dello spettatore, chiamato a recitar la parte di se stesso, quella generazione che verrà, evocata più volte dai protagonisti del dramma, che si materializza sul palco in un allestimento “da camera” che rende possibile l’incontro ravvicinato tra “noi” e “loro”, uomini di fine ‘800, gli uni di fronte agli altri, specchio impietoso di ciò che accade all’uomo quando rinuncia e s’accomoda senza che la Speranza e l’Azione disegnino il futuro.
Nulla deve cambiare nello svolgersi cadenzato e monotono delle giornate passate all’azienda agricola di famiglia, poiché cambiamento è sinonimo di scommessa e possibilità di mettersi in gioco, osando credere e amare, sperare e vivere la propria vita, e non quella degli altri. La lucida consapevolezza del lento e inarrestabile declino che pur attraversa ciascun personaggio, in modi e tempi diversi, nulla sembra potere di fronte all’inerzia di zio Vanja (Lorenzo Gleijeses) una vita dedicata a servire senza sognare qualcosa per sé, e del medico Astrov (Ivan Alovisio ) “abbraccia alberi” ecologista e vegetariano ante litteram, il cui idealismo e aspirazione per un mondo migliore si perdono in un mare di buone intenzioni e in un sostanziale egoismo che vanifica ogni nobile proposito.
Analoga sorte per Elena (Fiorenza Pieri), schiava della sua stessa maschera, vittima delle apparenze, incapace di scegliere per sé la propria strada, bella e giovane moglie del vecchio professore a riposo Serebrijakov (Graziano Piazza) dotto uomo di scienza , “cannibale” di speranze altrui, che tutto prende per sé, successo, fama, soddisfazioni materiali, senza nulla dare.
Infine Sonja (Maria Alberta Navello), figlia poco avvenente di Serebrijakov, zitella innamorata senza speranza del rude dottore (il quale, come il goffo Vanja, riserva le sue attenzioni ad Elena) che sembra per un attimo avere quella forza e quella rabbia necessaria per prendere in mano la propria vita, salvo ritrovarsi anch’essa, ferita in amore, al posto di prima, dove tutto resta uguale a se stesso.
Un micromondo all’interno del quale ciascuno chiude le porte al domani e alle relazioni vere e dove la parola “sopportazione” si traduce, nel celebre monologo finale di Sonja, nell’unica speranza possibile, quella di un compenso in un’altra vita per tutta l’infelicità vissuta in terra.
Bronzino, cresciuto alla scuola ronconiana, mette in evidenza lo scontro generazionale tra i personaggi, cogliendo appieno l’attualità di Čechov. La stessa domanda sulla generazioni future, posta da Astrov, arriva a noi e ci costringe a fare i conti con le nostre azioni e le nostre scelte, con quello che pensiamo e crediamo di poter costruire oggi, per noi e per chi verrà dopo di noi, senza dimenticare quel senso di responsabilità e soprattutto l’importanza di somigliare a noi stessi, senza tradirsi mai.
Aglaia Zannetti
5 giugno 2014
INFO:
Piccolo Teatro Studio
dal 4 all’8 giugno 2014
Zio Vanja
Scene dalla vita di campagna in quattro atti
di Anton Cechov, traduzione Gerardo Guerrieri
adattamento e regia Emiliano Bronzino
con (interpreti e personaggi)
Graziano Piazza Aleksandre Vladimirovic Serebrijakov, professore a riposo
Fiorenza Pieri Elena Andreevna, sua moglie, 27 anni
Maria Alberta Navello Sof’ja Aleksandrovna (Sonja), figlia di primo letto del professore
Lorenzo Gleijeses Ivan Petrovic Vojnickij (Zio Vanja)
Ivan Alovisio Michail L’vovic Astrov, medico
assistente alla regia Maria José Revert
scene Francesco Fassone
assistente scenografa Alice Delorenzi
costumi Chiara Donato
luci Massimo Violato
produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa
si ringrazia il Piccolo Teatro di Milano per i costumi