‘L’odore assordante del bianco’, Vincent Van Gogh all’Eliseo di Roma
“Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti
-va bene, non, è malsano”.
Recitava così un passo tratto da Lettere a Theo, di Vincent Van Gogh, in cui l’artista disponeva il suo pensiero su come i dipinti dovessero essere pregni di quello stesso sentimento che il soggetto ritratto emanava. La perfezione del quadro sta nel difetto, poiché esso rende vero ciò che si vuole mostrare. E’ solo un frammento del concetto supremo che questo grande uomo ha tramandato nei secoli. Da un paio d’anni ogni forma d’arte sembra essersi stretta a pugno per donare maggior gloria a tutti quei pilastri del passato che con le loro tele sono divenuti gli astri più brillanti nel cielo della pittura. Il cinema documentaristico ha scoperto nuove frontiere grazie alle opere del Caravaggio e di Raffaello; la tecnologia ha plasmato le full immersion nelle creazioni senza tempo di Monet, Klimt e dello stesso Van Gogh.
Con l’Odore Assordante del Bianco, Stefano Massini ha preceduto questo turbine di rievocazione pittorica e grazie alla sua drammaturgia, nutrita di un’intensa potenza espressiva, si guadagna il consenso della critica, trionfando nel 2005 al Premio Tondelli a Riccione Teatro. La Khora.Teatro, con il TSA Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con Festival dei Due Mondi, colgono l’occasione per trasmutare la parola dalla carta al palcoscenico, dando vita ad un’opera che trova in Alessandro Preziosi il suo più degno portavoce.
1889. Vincent Van Gogh è internato nel manicomio di Saint Paul. Il suo unico desiderio è quello di tornare ad essere libero, lontano dall’oppressione del luogo e da coloro che gestiscono la sua degenza. Il sipario si solleva e lo spettatore subisce da subito un impatto visivo agghiacciante. Tre pareti colossali si ergono intorno al protagonista, disteso su un pavimento rialzato che crea una prospettiva simile a quella di un dipinto. Ogni cosa è bianca. Quello che in altri contesti verrebbe ammirato come uno status idilliaco, quasi paradisiaco, per toccare una dimensione spirituale, per un pittore è peggio dell’Inferno. Van Gogh, che ha proiettato sulla tela i colori della natura, della vita e delle espressioni della mente umana, si trova incastrato in un limbo privo di ogni sfumatura, contrastato da un regolamento che gli nega ogni forma di creatività. Dal fondale emergono ombre neutre e senza volto che si animano non appena entrano in contatto col protagonista. In un primo momento l’artista è etichettato come innocuo, ma le continue angosce della sua mente creano manifestazioni visive che confondono persino la realtà dello spettatore, non facendo altro che deteriorare lo stato del paziente, fino a trasformarlo in un violento. L’unica flebile speranza sembra essere data una piantina: anch’essa candida, dal bocciolo alla radice. Un elemento carico di simbolismo, talmente al di sopra da essere ignorato persino dagli infermieri e dal primario. Sempre in luce, anche quando sul palco cala la penombra, la pianta, simbolo di rinascita e di speranza, sembra anch’essa relegata alla prigionia. La chiave di lettura del testo non va ricercata nelle parole, ma nel contesto stesso. Pare di trovarsi non all’interno di un luogo reale, ma nella mente del pittore, in una dimensione spazio temporale distorta, dove i ricordi e ciò che è stato si fondono col divenire, annullando ogni logica di pensiero e catapultando chi osserva in una metafora surreale.
Il ritmo di cui gode lo spettacolo è paragonabile ad una pira in fiamme: deboli scintille accendono l’erbaccia secca, fino a divampare in un incendio circoscritto ma imponente. Le fiamme danzano, così come gli attori sulla scena, i quali creano partiture di movimento precise e ben lavorate, simili a delle pedine mosse da un’invisibile mano.
Alessandro Preziosi anche questa volta si conferma una macchina da palcoscenico indomabile. L’attore partenopeo suda (letteralmente) sette camicie. La sua prova attoriale non conosce cali, ancorché sia sempre in scena per ben centoventi minuti. Divora lo spazio e la parola con padronanza ed energia. Una forza catalizzatrice anche per gli altri interpreti, che di certo non sfigurano in sua presenza. Alessandro Genchi e Vincenzo Zampa danno vita agli infermieri Gustav e Roland. Il loro ritmo, i toni quasi lirici e le tempistiche degli scambi di battute, li trasformano in personaggi surreali, tecnicamente paragonabili a Tweedledum e Tweedledee di Alice in Wonderland, ma cinici e privi di qualsivoglia verve comica. Sulla stessa onda di lirismo va segnalato anche l’ottimo lavoro compiuto da Roberto Manzi, che con Preziosi aveva già recitato nel Don Giovanni di Molière. Il suo personaggio, il Dottor Vernon Lazàr, è prepotente, sommerso in un egocentrismo e un narcisismo patologico, le cui sfumature si incrociano con quelle del protagonista fino a sfociare nella violenza autocelebrativa.
I dialoghi che Van Gogh intrattiene con la proiezione mentale di suo fratello (un bravissimo Massimo Nicolini), vengono soppesati dal giudizio del Dottor Peyron (Francesco Biscione, già Re Claudio nell’Amleto del 2008 diretto da Armando Pugliese); direttore dell’istituto, unica figura realmente interessata al progresso del proprio paziente. Il finale è un costante crescendo di emozioni. Il testo offre inoltre un importante quadro sociale del XIX secolo, in cui le neuroscienze si aprivano al progresso nel campo dell’ipnosi; in particolare con gli esperimenti di James Braid, che introdusse in quei tempi il concetto di monoideismo, qui adoperato proprio nel finale dello spettacolo.
Suggestiva l’idea di ricreare sul fondale un rilievo pallido e monocromatico del capolavoro Campo di grano con volo di corvi dell’artista olandese; un tratto quasi sfuggente, ma che lo spettatore attento coglie e vive con la speranza che alla fine possa animarsi con tutte le sfumature che lo caratterizzano. Ma in questo caso il dipinto rappresenta solo un riflesso su una parete atona e sterile di emozioni.
Vincent Van Gogh – L’odore assordante del bianco – è un testo colmo di drammaticità emotiva, che mette in discussione i valori dell’uomo, proiettando il protagonista in un vortice di deterioramento mentale progressivo, con un linguaggio riccamente poetico. Preziosi si supera nel obiettivo di trasmettere allo spettatore il momento più cupo dell’esistenza del pittore. Un uomo che la storia ha accuratamente rivalutato, eleggendolo a gigante tra i giganti che hanno rappresentato l’arte e la pittura.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Eliseo di Roma dal 13 febbario, fino al 3 marzo 2018.
Vincent Van Gogh – L’odore assordante del bianco –
Di: Stefano Massini
Regia di: Alessandro Maggi
Con: Alessandro Preziosi, Francesco Biscione, Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Alessio Genchi, Vincenzo Zampa
Scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
Disegno luci: Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta
Musiche: Giacomo Vezzani
Supervisione artistica: Alessandro Preziosi
Produzione KHORA.TEATRO – TSA TEATRO STABILE D’ABRUZZO
in collaborazione con FESTIVAL DEI DUE MONDI – SPOLETO
Durata: 1 ora e 25 minuti – Atto unico
TEATRO ELISEO
Da martedì 13 febbraio – 4 marzo 2018
Orario spettacoli:
martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00
primo sabato di programmazione doppio spettacolo ore 16.00 e ore 20.00
mercoledì e domenica ore 17.00
Biglietteria: tel. 06.83510216
Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sab 10.00 – 19.00, dom 10 – 16
Via Nazionale 183 – 00184 Roma
Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it
Call center Vivaticket: 892234
Prezzi da 20 € a 40 €