Una magica Serena Autieri incanta il pubblico del Teatro Sistina di Roma nel ruolo di Lady D
La vita della famiglia reale inglese da sempre desta grande interesse, attenzione e curiosità. Tante le vicende appassionanti, i gossip, gli scandali che siamo abituati a seguire da lontano. Ne è stata la prova la serie televisiva The Crown, magistralmente eseguita tanto da aggiudicarsi il Golden Globe di quest’anno, che ci ha portato indietro nel tempo a seguire le vicende di una giovanissima Regina Elisabetta II. Una storia su tutte è rimasta nel cuore non solo del popolo inglese, ma di tutti noi che guardiamo quel luccicante mondo regale da lontano. È senza dubbio la storia di Lady Di, Diana Spencer, divenuta nel 1981 moglie di Carlo d’Inghilterra e morta nel 1997, un anno dopo il divorzio proprio da quest’ultimo. Diana, la principessa triste, è il personaggio che una magnifica Serena Autieri ha messo in scena ieri sera, 14 febbraio, al Teatro Sistina di Roma e che continuerà a portare in scena fino al 19 febbraio. Un monologo interiore, un flusso di coscienza joyciano, scritto e diretto da Vincenzo Incenzo, un lungo discorso della Diana pubblica messa di fronte alla Diana privata. La storia di Diana a partire dalla sua infanzia e adolescenza, dalla sensazione di essere la prova vivente del fallimento della sua famiglia e della delusione di suo padre che desiderava un figlio maschio. Diana si rifugia allora nella musica, nel suo pianoforte e indossa le punte e il tutù rosa mentre sogna di diventare una ballerina del Royal Ballet, sogno stroncato da 172 centimetri di altezza a soli 12 anni. Un turbinio di lotte interiori, incomprensioni e malcontenti delineano il suo matrimonio con Carlo d’Inghilterra celebrato il 6 febbraio del 1981, quando Diana aveva solo 19 anni, al Castello di Windsor, con una Londra circondata di gente festosa. Carlo aveva avvertito Diana che sarebbe stata una vita difficile, nonostante quelle parole rimaste scolpite nella mente di Diana: “Ti amo, qualunque cosa significhi amore”. Il cuore di Diana risulta diviso tra l’amore per Carlo, colpevole di una perenne trascuratezza nei confronti della principessa e l’amore smisurato verso i due figli William e Harry; ancora da un lato la difficoltà di comportarsi in ossequio al codice di corte e dall’altro la volontà, la necessità e l’esigenza ferma di sentirsi amata e accolta. Due ore di spettacolo in cui Serena Autieri mette in campo una tecnica e una voce impeccabile alternando pezzi recitati, drammatici e pieni di pathos, che narrano degli squilibri interiori della principessa e parti corali di musica e canzoni, la musica diretta da Maurizio Metalli. Serena Autieri si trova così ad essere interprete tanto di brani inediti (scritti da Vincenzo Incenzo e Francesco Arpino) quanto di canzoni senza tempo, successi dei Beatles, dei Queen, di David Bowie, fino ad arrivare ai Depeche Mode e chiudere in bellezza con la canzone rivisitata che Elton John dedicò a Diana in occasione della sua morte e del suo funerale “Candle in the wind”. Il palco si fa luogo dell’anima e nostalgico dopomondo grazie al disegno scenico del Premio Oscar Gianni Quaranta (Zeffirelli, Yvori, Ross, Corbiau); le luci di A.J. Weissbard (Bob Wilson, Cronenberg, Sten, Greenaway), inventano suggestioni intense sdoganando spazio e tempo; le cadute e le resurrezioni vengono tratteggiate dalle ballerine di Bill Goodson (Diana Ross, Gloria Estefan, Steavie Wonder, Moulin Rouge). La luce e il colore incontrano la poesia nei vestiti di Silvia Frattolillo, costumista storica del teatro italiano. Il tutto è condito dall’esperienza attoriale dell’acting coach Fioretta Mari. Il 2017 è l’anno del ventesimo anniversario della morte di Diana e questo spettacolo, volto a tratteggiare i riflessi più intimi della sua anima, sulla base di quanto lei stessa dichiarò nelle molteplici interviste che decise di rilasciare ai giornalisti, portano ad interrogarci su quanto sia difficile conciliare la vita richiesta dal protocollo regale con la propria vita, quella che si vuole scegliere e decidere giorno per giorno. Qui nasce l’anticonformismo, il vero dramma e la vera rovina di Diana. Un anticonformismo nato non da presunzione e arroganza, ma da semplice desiderio di libertà. Più volte durante lo spettacolo Serena-Diana ripete a se stessa o meglio il suo sé privato parla al suo sé pubblico dicendo “Diana, noi non siamo libere”. Tutto ciò a cui Diana non è mai riuscita a sottomettersi è l’idea per cui “Una principessa è fatta per essere guardata”. Quello che Diana voleva più di ogni altra cosa era essere una principessa che vive, nel senso più pieno della vita, mentre viene guardata. La libertà però è quel bene prezioso che il mondo luccicante che a corte è inevitabilmente vietato. William e Harry, i due figli di Diana così tanto amati, il motivo della più forte intransigenza di Diana che non voleva mai essere contestata nelle decisioni che li riguardavano, hanno commissionato una statua che ricordi la principessa Diana a 20 anni dalla sua morte. I due figli, scrive la BBC, hanno detto che “è giunto il momento di riconoscere il suo impatto positivo in Gran Bretagna e nel mondo” con una statua. La scultura sorgerà a Kensington Palace, il luogo della vita familiare di Carlo e Diana e dei loro figli. “Nostra madre – si precisa nel comunicato – ha toccato la vita di così tante persone. Speriamo che la statua aiuti quelli che visiteranno Kensington Palace a riflettere sulla sua vita e la sua eredità“. Nel comunicato si aggiunge anche che la regina “appoggia” l’iniziativa dei nipoti. Diana morì in un incidente stradale a Parigi il 31 agosto 1997 quando William aveva 15 anni e Harry 12 (fonte ANSA). Diana sapeva in cuor suo di essere in pericolo, di aver foraggiato ostilità e odi a lei rivolti, causati dalla sua ossessione per la propria libertà. Quello che nello spettacolo scritto da Vincenzo Incenzo emerge in modo certo è l’amore che la giovane Diana, sposa a 19 anni, provava per Carlo; amore che spesso non sentiva ricambiato da un marito frequente nei tradimenti e soprattutto legato da un filo sottile ed indissolubile con quella che poi sarà destinata a diventare la sua seconda moglie, Camilla Parker-Bowles. Una lettera di Camilla prima del matrimonio tra Carlo e Diana lasciava presagire il potere che Camilla avrebbe continuato ad avere nella vita da uomo sposato di Carlo. In un’intervista rilasciata dopo il divorzio Diana rivelò che aveva capito fin da subito che il suo in fondo era un matrimonio a tre, “un po’ troppo affollato” (intervista di Martin Bashir a Lady D. trasmessa sulla BBC il 20 novembre del 1995). La gelosia feroce è un altro dei sentimenti che vengono messi in evidenza, la gelosia di Diana che unita alla scarsa considerazione che riceve da Carlo la portano a pensieri funesti, come il tentativo di autolesionismo mentre era incinta di William; una caduta dalle scale, che si scoprì essere tutt’altro che accidentale, ma intenzionale solo per attirare l’attenzione di Carlo. Allora sul palco ecco Diana che parla tra sé e sé nel momento del parto e accusa se stessa di aver messo in repentaglio la vita del suo primogenito, di uno dei suoi figli, di uno degli amori più immensi della sua vita. 31 agosto, è la sera dell’incidente; si apre il sipario. Diana sta per lasciare l’appartamento all’Hotel Ritz di Parigi e raggiungere Dodi in macchina; un ultimo colpo di cipria allo specchio ed ecco l’immagine riflessa, l’altra parte di sé: Lady D. È l’occasione per confessarsi definitivamente una all’altra lontano da tutto e tutti e mettere sul piatto senza più nessuna riserva le loro vite inadeguate. È un susseguirsi di colpe, un turbinio di accuse, fino addirittura allo scontro fisico, ma è anche il tentativo estremo di essere ascoltate, comprese, abbracciate. C’è anche un’altra faccia della Diana che abbiamo conosciuto. È la Diana che scelse di oscurare Carlo, che scelse di non lasciarsi più condizionare dalle insoddisfazioni del marito per il suo aspetto fisico e che così divenne icona di stile sia in Inghilterra che a livello internazionale. È la principessa che si trasforma e da timido agnellino e sposa teenager assume le sembianze di una pantera raggiante. È la Diana che si distinse per la sua immagine pubblica e per i suoi interventi nelle iniziative umanitarie, in particolare modo per la campagna contro le mine antiuomo in Angola. È la Diana che scelse di mettere a tacere la propria gelosia, iniziando ad avere coscienza precisa del proprio corpo, del proprio desiderio e della propria sensualità; è la Diana che iniziò ad avere amanti su amanti, che riusciva ad avere tutti gli uomini che più desiderava. Tutto questo non metteva a tacere il dolore per il suo matrimonio con Carlo; fino alla fine Diana è lì a chiedersi cosa sarebbe successo, come sarebbe andata la sua vita se solo Carlo avesse scelto di amare lei, non Camilla. Non certo marginale in tutto ciò il rapporto tormentato con la Regina Elisabetta, prima sostenitrice di un matrimonio tra il figlio Carlo, allora erede al trono, e una giovane inglese di buona famiglia; in seguito ferrea e a tratti crudele nei confronti di Diana e della sua testarda disapprovazione delle regole che tengono legati i membri della famiglia reale. L’idea di Diana è viva ancora a distanza di 20 anni dalla sua prematura scomparsa in quel tanto oscuro incidente. Diana è viva nel cuore delle donne, nella memoria dei grandi artisti, nell’immaginario popolare del pianeta. È intenzione della produzione andata in scena ieri per la prima volta al Sistina presentare il 31 agosto, giorno dell’anniversario della sua morte, questo spettacolo ai figli di Diana. Il comunicato che accompagna la presentazione di questo spettacolo fa sapere di avere già avviato un percorso di corrispondenza che sarà sicuramente lungo e macchinoso. Un luogo comune e abusato considera doppie le personalità eccellenti. Parte pubblica e parte privata da sempre generano suggestioni di contrasti forti, violenti, talvolta fatali. Due anime in lotta, una fragile, l’altra invincibile, che condividono un unico corpo. Mai come nel caso di Diana però tutto questo è stato così trasparente. La principessa e la maestrina d’asilo, la bulimica e la filantropa, la mamma e l’amante si sono ostacolate e combattute fino all’ultimo giorno, bruciando una il terreno dell’altra e rivendicando la loro impossibilità di coesistere mentre incessanti scorrevano copertine patinate, sorrisi, onorificenze ed applausi. A proposito di applausi, uno forte e sonoro lo merita Serena Autieri, unico personaggio sul palco insieme al corpo di ballo. Capace di alternare momenti contrastanti, dal dramma più angoscioso, al tentativo di risollevarsi come donna. Un grande applauso lo merita anche per la sua voce, a dir poco perfetta, che riesce a reggere il palco per due ore ininterrotte di spettacolo tra monologo e cantato. Applausi non sono mancati per lei ieri sera a fine spettacolo, accompagnati dai ringraziamenti e dagli elogi dello stesso Vincenzo Incenzo. Un applauso va indubbiamente alla scenografia che alterna ambientazioni oniriche con effetti quasi paranoici, a paesaggi assolati nei quali appare un volo di gabbiani, gabbiani che sapientemente vengono trasformati nelle maglie di una rete che diventa prigione; scenografia mirabile anche per i passaggi dal mondo inglese, alle copertine internazionali, fino a paesaggi e danze africane e angolane dove Diana ha mostrato il suo attivo impegno nell’intento di aiutare chi è in difficoltà. L’ultimo tentativo di fuga lo propone Diana, nello scenario dell’Angola, dove ha raggiunto donne e bambini per la campagna contro le mine antiuomo. I suoi sforzi verso chi soffre, che sovvertono il protocollo a Buckingham Palace, si rivelano però solo gli accessori nobili di una principessa triste che attraverso il dolore degli altri vuole salvare se stessa. Un applauso alla produzione Engage, che ha reso possibile questo spettacolo e alla direzione del Teatro Sistina per averlo accolto in uno dei teatri più importanti di Roma ad un passo da Piazza Barberini, nel cuore pulsante della città.