Stati Uniti al bivio, c’è aria di cambiamento. È il momento degli elettori

Una vera e propria svolta è quella che ci si prepara ad assistere con le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti. O forse, alla vigilia del giorno tanto atteso, questo è quello che in molti si aspettano.
La situazione che tutti i media internazionali e americani stanno descrivendo ormai da mesi è quella di un Paese alla deriva e fortemente in crisi, dove i cittadini non si sentono più rappresentati e difesi come in passato, quando nel lontano 2016 erano stati spinti a votare l’imprenditore Donald Trump.
In questo 2020 la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la non-gestione della pandemia Covid-19 da parte delle istituzioni americane, problematica che si è aggiunta alle questioni che annosamente hanno sempre caratterizzato la società americana, dai discorsi legati all’assistenza sanitaria a quelli sull’immigrazione, e che ancora oggi non trovano una risoluzione. Questi mesi quindi hanno messo gli americani davanti al fatto che molti dei sistemi del Paese sono al collasso, su tutti appunto quello sanitario. Tra i paesi ricchi, l’America è uno dei pochi che ha sempre visto aumentare le proprie vittime; se si pensa che in primis il presidente Trump ha sempre minimizzato il problema cercando di risolverlo fornendo informazioni false e “sminuendolo” ad una guerra contro la Cina, non pensando così quindi a milioni di persone che in tutti questi mesi sono morte, questo la dice lunga sulla gravità del problema. Ecco allora che “The fight to overcome the pandemic must also be a fight to recover the health of our country, and build it anew, or the hardship and grief we’re now enduring will never be redeemed. Under our current leadership, nothing will change.”
Chi sta andando a votare
Questa quindi è una delle ragioni per cui i cittadini americani hanno già cominciato a far sentire la propria voce scegliendo, anche causa Covid-19, di votare in anticipo via posta, recandosi ai seggi speciali o nelle apposite urne. Gli esperti si aspettano che a fine elezioni l’affluenza totale sarà del 65%, un dato mai visto nella storia delle elezioni americane. Dei 224 milioni di persone aventi diritto di voto, oggi hanno già esercitato il proprio diritto più di 64 milioni di cittadini, tra cui anche il presidente in carica Trump che nella mattinata di sabato si è recato nel proprio seggio a West Palm Beach. Questo gesto è stato anche un modo per dare una scossa ai propri elettori repubblicani, visto che a quanto testimoniano i sondaggi Biden nella corsa presidenziale continua ad essere avanti di parecchi punti percentuali.
I millenials, ovvero gli under 30, probabilmente saranno l’ago della bilancia di queste elezioni. Mai era avvenuta una così grande mobilitazione di questa fetta di elettori che mesi fa hanno cominciato a scendere in strada per dire la propria mossi dalle questioni legate al climate change prima, e dai fatti avvenuti il 25 maggio 2020 culminati con la morte di George Floyd poi, e che ora non pensano proprio a fermarsi. Vogliono far sentire la propria voce per avere un cambiamento e per fare questo sono disposti a fare fino a 5 o 6 ore di fila ai seggi per esprimere il proprio dissenso con il voto.
I cittadini americani hanno bisogno e stanno scegliendo di credere nuovamente nella democrazia americana dove possano esserci più pari diritti per tutti. Il Paese può tornare a crescere solamente con una forte scossa, una mobilitazione di massa.
Ma non è tutto come sembra…
C’è però anche chi sostiene che questo non debba essere interpretato come un segnale del fatto che a recarsi alle urne alla resa finale sarà la totalità degli americani; infatti l’altra faccia della medaglia è composta da quanti invece sceglieranno di non andare proprio ai seggi. Per alcune persone l’azione del voto si scontra con il disinteresse, nonostante la delicata posta in palio, o con questioni legate alla difficoltà di accedere al voto o al vero e proprio disgusto per lo stato della democrazia americana e delle sue istituzioni che spinge la persona alla resa totale. Sarebbe quindi meglio dire che “High voter turnout this year shouldn’t be taken as a sign that Americans are newly confident in their electoral system — instead, the driving emotion seems to be desperation.”
L’eredità di Trump
Alla luce di questi fatti e dei dati raccolti in vari sondaggi, una delle domande più frequenti che ci si sta facendo in questo periodo, è cosa succederà se Donald Trump non verrà rieletto e quale sarà l’eredità lasciata in questi anni di governo. Tante sono state infatti le decisioni e le affermazioni che hanno fatto discutere e sono state fortemente criticate, e anche questo 2020 non è stato da meno. Su tutto sicuramente avrà maggior rilevanza il fatto che il tycoon in questi anni è riuscito a far nominare all’interno della Corte Suprema ben tre giudici di impronta conservatrice, tra cui Amy Barrett: quest’ultima nomina ha fatto molto discutere dal momento che ha spostato l’orientamento interno della Corte a sei giudici conservatori e solo tre progressisti. In un momento così importante, dove è risaputo che i giudici dovranno prendere decisioni in merito a temi cruciali per il Paese, come ad esempio l’Obamacare (riforma sanitaria) o questioni legate ai temi del razzismo, dell’immigrazione e dell’aborto, appare chiaro, come ben racconta anche il giornalista Federico Rampini dalle pagine del Sole24ore, che qualora venisse eletto Biden, il nuovo presidente non avrebbe certamente vita semplice. Anzi è forte il rischio che le discussioni potrebbero aumentare. Per concludere il quadro è fondamentale inoltre ricordare che anche il Senato sarà a maggioranza repubblicana.
Il 3 novembre probabilmente non sarà il giorno in cui conosceremo già il nuovo presidente degli Stati Uniti, visto che potrebbero esserci diversi ricorsi o contestazioni per i voti che arriveranno via posta e un lungo scrutino di tutti gli Stati, ma pare evidente come quel giorno sarà il momento in cui l’America esprimerà la propria voglia di cambiamento.