Elezioni in Ungheria, vittoria schiacciante per Viktor Orban

Il risultato delle elezioni ungheresi di domenica 8 aprile parla chiaro: Viktor Orban, leader del partito di centro-destra Fidesz e primo ministro in carica dal 2010, ha conquistato insieme al suo partito 134 seggi su 199 disponibili, con una percentuale di voti del 48%. Questi numeri così alti permettono a Orban di ottenere la maggioranza assoluta e di governare senza richiedere l’appoggio degli altri partiti. Volgendo lo sguardo ai partiti di opposizione ciò che risalta è l’inconsistenza di ciascuno di essi, incapaci di riuscire a costruire un’alternativa al politico di Szekesfehervar. Secondo per numero di voti è attualmente il partito Jobbik, dichiaratamente di estrema destra, razzista e xenofobo, il quale ha raccolto il 19% dei voti che gli assicurano 25 seggi e che ha visto il suo leader, Gabor Vona, dimettersi dopo la sconfitta elettorale. Al terzo posto il Partito Socialista (MSZP), con 20 seggi e il 12 % dei voti, seguito da Coalizione Democratica, la formazione socioliberale guidata dall’ex premier socialista Ferenc Gyurcsani con il 5% e 9 seggi conquistati. Per finire, i Verdi a quota 6,9% e con 8 seggi.
Da più parti, sia in Ungheria che in tutta Europa, si sono levati cori unanimi di preoccupazione in seguito alla vittoria di Fidesz a causa del modello di “democrazia illiberale” proposto e in parte attuato dal suo leader. Il modello di Viktor Orban prende infatti esempio da modelli autocratici e autoritari come quelli di Vladimir Putin e Recep Yayyip Erdoğan. Il primo ministro in carica e oggi vincitore della sfida elettorale guida il paese dal 2010, pur avendolo già guidato precedentemente e con buoni risultati tra il 1998 e il 2002. Quella prima esperienza mostrava il volto migliore di Orban e Fidesz, con un governo di centro-destra democratico e finalmente legittimato dal voto dopo cinquant’anni di dittatura comunista. Fu il governo della ripresa economica dell’Ungheria e del riscatto della classe media ungherese che promosse e che portò, udite udite, il paese nell’Unione Europea. Esatto, proprio lui, il Viktor Orban che oggi tuona contro Bruxelles opponendosi alle quote di ripartizione dei migranti, fu uno dei principali promotori ad avvicinare l’Ungheria all’UE. Appena tornato al governo nel 2010, quando ottenne una vittoria ancora maggiore a quella di oggi con il 52% delle preferenze, iniziò tra le prime cose a riscrivere la costituzione, provocando diverse proteste in piazza a Budapest. Nella nuova carta fondamentale, entrata in vigore nel 2012 ed emendata l’anno successivo, vennero stabilite alcune norme giudicate dall’opposizione come liberticide. Tra queste la norma la quale stabilisce che la corte costituzionale non può annullare una legge approvata da due terzi della maggioranza così come quella che permette cause legali per istigamento all’odio, oppure l’articolo che condanna il comunismo oltre a permettere solo ai media controllati dallo stato di trasmettere spot elettorali prima delle elezioni. Molta importanza viene anche data alla cosiddetta famiglia tradizionale. Negli anni più recenti l’agenda di Orban si è concentrata sull’opposizione all’immigrazione, sia clandestina sia quella ripartita in quote tra paese dell’Unione Europea, fino a far costruire un muro di filo spinato controllato dalla polizia al confine con la Serbia e con la Croazia per sbarrare il flusso dei migranti provenienti dalla rotta dei Balcani.
Cosa aspettarsi dal quarto mandato e terzo consecutivo di Viktor Orban? Sicuramente ancora un forte accento sulle politiche antimigratorie, un tema che gli ha fatto guadagnare tantissimi voti in queste elezioni, voti che sono arrivati in gran parte dall’Ungheria rurale, mentre a Budapest si è manifestata una maggiore forza dei partiti di opposizione. Nell’ambito delle politica europea ed estera è pronosticabile che gli scontri che il governo ungherese ha avuto negli ultimi anni con Bruxelles continuino sulla stessa falsariga senza però alzare l’asticella. Infatti lo stesso Orban si è recentemente espresso per il suo sostegno al Partito Popolare Europeo di cui Fidesz fa parte insieme a partiti molto più moderati come la CDU di Angela Merkel , i Repubblicani francesi e il PP di Mariano Rajoy. Non c’è da dimenticare inoltre che la crescita economica dell’Ungheria dipende molto anche dai rapporti e dagli scambi con la Germania, principale partner sia nelle esportazioni che nelle importazioni con un volume d’affari stimato intorno ai 27 milioni di Euro nel 2017 per i prodotti ungheresi venduti in Germania e intorno ai 24 per i prodotti tedeschi acquistati in Ungheria. E’ molto probabile quindi che non si arriverà ad uno scontro diretto con Bruxelles.
Per quanto riguarda le opposizioni, francamente non si capisce come esse possano invertire il cambio di rotta. L’ultradestra di Jobbik si è recentemente spostata su posizioni più morbide rispetto al passato, probabilmente a causa dello spazio occupato da Fidesz a destra, e tentando di proporsi come forza anticorruzione. I socialisti continuano a perdere voti e a rinnovare i volti dei leader nonostante l’apparato di partito sia composto da personaggi compromessi con il regime comunista e sia facilmente permeabile ad episodi di corruzione diffusa, tema sul quale anche i vincitori di oggi sono scivolati spesso negli ultimi anni. L’unica vera novità è quella dei Verdi del partito LMP (Lehet Más a Politika), tradotto in La politica può essere diversa, formazione ecologista e trasversale ai blocchi destra-sinistra, la quale tuttavia ha un bacino di voti limitato. Anche mettendo assieme tutti i partiti di opposizione, come suggerito dalla filosofa e sopravvissuta all’Olocausto Agnes Heller, le percentuali di ciascun partito sono troppo basse e i temi su cui mettersi d’accordo troppo diversi per poter costituire un’alternativa credibile.