In Catalogna vince il Sì per l’indipendenza
Si è svolto domenica 1 ottobre il referendum nella comunità della Catalogna per l’indipendenza dalla Spagna. Nelle ultime settimane ci sono state diverse manifestazioni per sostenere il referendum per l’indipendenza, in particolar modo dopo che il governo centrale spagnolo ha dichiarato incostituzionale, e dunque illegale, le votazioni. Il 20 settembre 14 funzionari catalani sono stati arrestati dalla Guardia Civil, che ha fatto irruzione negli uffici del governo, proprio perché impegnati nel referendum.
La Catalogna è una comunità autonoma spagnola che si trova nella zona nord-est della penisola iberica. È dotata di un suo governo regionale, Generalitat de Catalunya, costituito da un parlamento, un consiglio esecutivo ed un presidente -in questo caso indipendentista-, Carles Puigdemont. Dal 1976 è una comunità autonoma con un suo statuto regionale, rimasto intatto fino ad oggi, anche a causa della dichiarazione di incostituzionalità del nuovo statuto presentato nel 2006. Rispetto alla Spagna la Catalogna nel corso della sua antichissima storia si è sviluppata in modo differente in più settori come arte, musica, letteratura, perfino con una lingua tutta sua, ovvero il catalano, che poco ha in comune con lo spagnolo, e che fu addirittura dichiarato illegale dal dittatore Franco, a dimostrazione ulteriore delle differenze che corrono tra questa provincia e lo stato spagnolo. La storia dell’indipendentismo catalano ha origini più antiche rispetto a Franco in realtà: nel 1714 la regione fu riconquistata dai Borboni dopo 14 mesi di assedio perdendo così la sua indipendenza (ecco perché spesso durante le partite del Barcellona al minuto 17:14 i tifosi intonano cori con cui reclamano l’indipendenza). Un fatto non casuale, quello del Barça e dei suoi tifosi. Alcuni giocatori sostengono da anni l’indipendenza della comunità catalana, celebri i fischi che Piqué, fermo indipendentista da anni, riceve in ogni partita della nazionale, ma la figura calcistica di maggior rilievo è sicuramente Pep Guardiola, storico allenatore vincente della squadra blaugrana, il quale si espone praticamente da sempre per l’autonomia della propria regione. Motivazioni ed elementi di diverso tipo si mischiano dunque in questa grande richiesta di indipendenza, dall’arte alla letteratura, dalla lingua al calcio, che non è solo uno sport da queste parti, ed infatti la prima scritta che si trova entrando nel Camp Nou è «Més que un club». Negli ultimi anni, però, soprattutto dopo la crisi economica mondiale del 2008 che ha inflitto pesanti danni all’economia spagnola, alle istanze indipendentiste catalane si sono aggiunte anche motivazioni di tipo economico. Gli indipendentisti affermano infatti che se la regione non pagasse tutte le tasse che è costretta a versare nelle casse di Madrid la Catalogna sarebbe molto più ricca. Non a caso la comunità catalana ha un pil, motore per l’intera nazione, di 211.915 milioni di euro ed un tasso di disoccupazione del 13%, inferiore rispetto al resto della nazione spagnola.
I giorni che hanno preceduto le votazioni tenutesi il 1 ottobre sono stati carichi di tensioni. I cittadini catalani hanno occupato le scuole, non curanti delle minacce di sgombero avanzate da Madrid, per far sì che le consultazioni si potessero comunque effettuare. Il governo centrale ha inoltre indetto il blocco aereo per voli privati ed elicotteri. Moltissime comunque le persone scese in piazza per manifestare, dalle campagne sono arrivati anche i contadini con i trattori. Nel giorno che ha preceduto la votazione, il 30 settembre, si è arrivati anche agli scontri tra polizia e manifestanti, con qualche ferito.
Gli scontri sono aumentati notevolmente nel giorno della votazione. La polizia ha cercato di bloccare i cittadini che si recavano ai seggi e di sgomberare quelli già presenti. Il governo catalano parla di più di 800 feriti, mentre Madrid ne ammette solamente 91, tra cui 33 delle forze dell’ordine, le quali hanno utilizzato proiettili di gomma. Un cittadino è stato anche vittima di infarto. Il governo catalano aveva invece ordinato alla propria polizia di non intervenire assolutamente.
Il referendum si è svolto ugualmente, ed i risultati parlano chiaro: il Sì all’indipendenza ha vinto con oltre il 90% dei voti. Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, ha dichiarato il referendum una messinscena, mentre la sindaca di Barcellona ne ha chiesto le dimissioni, soprattutto per aver scelto di utilizzare la violenza per cercare di bloccare una consultazione democratica, reazione contestata anche dal presidente catalano Carles Puigdemont, che ha definito vergognose le scelte di Madrid «Lo stato ha perso molto di più di quanto avesse perso finora». L’Unione Europea ha condannato l’uso della violenza, ma ha deciso di stare dalla parte di Rajoy in quanto il referendum è incostituzionale e dunque illegale.
Nelle fasi direttamente successive al referendum si sono mossi entrambi i leader per decidere cosa fare, poiché per quanto sia illegale, e quindi non valido, il referendum ha dato un forte segnale alla Spagna intera. Rajoy ha riunito tutti i leader dei partiti spagnoli per decidere come comportarsi ora nello scontro con i catalani. Puigdemont, presidente catalano, ha invece convocato una riunione straordinaria del consiglio esecutivo per concordare quali azioni intraprendere. Nel frattempo, martedì 3 ottobre, la Catalogna è praticamente bloccata dallo sciopero indetto da sindacati ed indipendentisti come forma di protesta contro la violenza utilizzata dal governo di Madrid.