Siria: rapiti 20 caschi blu dai ribelli
Siria. Quest’oggi l’alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres, ha dichiarato che nel Paese è in corso un «disastro di dimensioni gigantesche». Il numero di profughi siriani è difatti salito a oltre un milione, di questi circa la metà sono bambini sotto gli undici anni, Guterres ha poi specificato che: «Un milione di persone sono scappate dal paese, altri milioni sono in fuga all’interno del paese e ogni giorni migliaia di siriani attraversano il confine».
A dare ulteriore timore per le sorti della Siria è la notizia del rapimento di 20 caschi blu dell’Onu da parte di un gruppo di ribelli sulle alture del Golan, un fatto che allerta la comunità internazionale già da tempo pronta, Usa e buona parte dell’Ue in primis, ad agire sul campo per fermare la repressione del governo del presidente Assad. Una repressione che il prossimo 15 marzo arriverà a compiere due anni, cominciò proprio con le prime proteste anti-Assad, da quel giorno sono stati compiute violenze che hanno fatto indignare il mondo intero e sono morte oltre diecimila persone, fonti Onu, la maggior parte delle quali donne e bambini. Tutto questo però finora non è bastato a far cambiare la situazione.
A dare la notizia del rapimento dei caschi blu un video che è stato postato su Youtube poco dopo il fatto e nel quale si vede un convoglio, di circa venti osservatori Onu, che, sulle alture del Golan, è stato fermato nel corso di un imboscata tenuta da circa 30 uomini. I ribelli hanno chiesto in cambio della liberazione degli ostaggi il ritiro dei soldati di Assad da Jamlah, nella provincia di Daraa.
I militari dell’Onu catturati sono tutti filippini e fanno parte di un contingente di un migliaio di uomini della forza di disimpegno Undof, schierata sulle Alture del Golan dopo la guerra dell’ottobre 1973, l’ultima combattuta tra Israele e la Siria.
L’Onu non si è ancora espressa sul fatto ha solo reso noto che una delegazione «è stata inviata sul posto per valutare la situazione e cercare di trovare una soluzione».
Enrico Ferdinandi
(Twitter @FerdinandiE)
6 marzo 2013