Super Tuesday: i risultati

Adesso il treno è davvero lanciato a tutta velocità e sarà difficile riuscire a fermarlo. Donald Trump ha stravinto nel Super Tuesday, l’appuntamento più importante delle primarie americane, se non altro per il numero di Stati (11) in cui si vota. Il miliardario newyorkese ne ha conquistati 7 e a questo punto, statistiche alla mano, la nomination repubblicana potrebbe davvero essere sua.
Stesso numero di Stati vinti da Hillary Clinton, a sua volta proiettata verso la convention democratica come grande favorita. Determinante per la vittoria è stato, come pronosticato alla vigilia, il voto degli afroamericani, che si sono ricordati della moglie di quello che era stato definito “il primo presidente nero della Storia americana”. A Sanders sono rimasti il “suo” Vermont, l’Oklahoma, il Minnesota e il Colorado.
La sfida Clinton-Trump sembra dunque all’orizzonte, anche ascoltando i discorsi dei due, già proiettati al duello finale. Sulla carta la Clinton, con la sua impressionante macchina elettorale, sembra essere favorita. Un sondaggio della CNN la vede avanti con il 52% dei consensi contro il 44% del suo probabile avversario. Ma Trump ha ormai dimostrato di fregarsene di sondaggi, opinionisti politici e proiezioni. La sua campagna ha spazzato via tutto e tutti, con una carica di aggressività e di violenza verbale finora sconosciuti nel panorama americano. La battaglia che si prospetta contro l’ex segretario di Stato somiglia molto, come ha detto l’ex consigliere strategico di George W. Bush, Matthew Dowd, a una “piccola imbarcazione di pirati somali che attacca una nave petroliera”: è più piccola, ma è molto probabile che riesca a fare grossi danni.
Non tutti i giochi sono fatti. Sanders rimane ancora in corsa, anche se il gap sembra incolmabile, mentre nel campo repubblicano c’è chi pensa che, nel caso in cui Trump non dovesse raggiungere la quota di delegati necessaria a mettersi automaticamente in tasca la nomination, il partito potrebbe preferirgli Ted Cruz. Fantapolitica, forse, ma che la dice lunga sull’apprezzamento dei repubblicani per il loro probabile futuro candidato.