Sud Sudan: l’arruolamento dei bambini soldato è ancora in atto
Nel Sud Sudan, centinaia di bambini vengono rapiti ogni mese, spesso anche da forze governative, per essere impiegati come soldati dai gruppi ribelli e dagli insorti. L’ONU chiede di porre un termine a questa atrocità e di interrompere il reclutamento. L’UNICEF stima a 12 000 il numero dei bambini reclutati dall’inizio del conflitto che oppone il presidente Salva Kiir al suo ex vice presidente Riek Machar, nel dicembre del 2013
SUD SUDAN – Il fenomeno non è nuovo ma ha origini radicate. Dal febbraio del 2012 l’UNICEF assiste impotente al rapimento di bambini strappati alla propria famiglia. Centinaia di giovani ragazzi vengono destinati alla guerra.
Da mesi l’UNICEF si batte per mettere fine a questa pratica. Lo scorso febbraio, l’ONG di difesa dei diritti dell’uomo Huma Rights Watch accusava una milizia pro governo di reclutare ragazzi si soli 13 anni, nella città di Malakal. La pressione di queste ONG ha talvolta prodotto risultati: negli ultimi mesi, l’UNICEF è riuscita ad ottenere la mobilitazione di 3 000 bambini reclutati dal capo ribelle David Yau Yau. Tuttavia, l’ondata di reclutamento avvenuta a febbraio, suona oggi come un’anticipazione dell’attuale tensione. Lo scontro tra le due fazioni prosegue sporadicamente nel paese.
Origini del fenomeno
L’utilizzo di bambini soldati è riconducibile a conflitti che opponevano gruppi armati e civili. Come sottolinea Olara Otunnu, l’ex rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati, la Prima Guerra mondiale “era una guerra di soldati contro soldati, con poche morti civili” mentre la Seconda Guerra mondiale “era una guerra terribile, soprattutto verso la fine, all’epoca dei grandi bombardamenti. Il 45% delle vittime erano civili, uccisi e deportati. Oggi, sono le guerre al contrario, soldati contro civili, guerre moderne che toccano soprattutto donne e bambini”. Ma questa ragione è lontana dall’essere unica e lo sviluppo dei bambini soldati corrisponde ad altre logiche. Durante le guerra a lunga durata (40 anni di conflitto in Colombia, 25 in Angola, più di 20 in Afghanistan…), il reclutamento di adulti diventa sempre più difficile. Il reclutamento di bambini si effettua per ricompensare l’ecatombe dei veterani o di correggere lo squilibrio iniziale delle forze. I bambini combattono spesso in rafforzamenti superflui dove rischiano di suscitare meno danni di inesperienza e di indisciplina. Tuttavia, possono essere incaricati di molti compiti come battersi e uccidere, portare messaggi e infiltrarsi proprio come agenti segreti. I bambini, e soprattutto le giovani ragazze sono gli “strumenti” preferiti degli organizzatori di “commando suicidi”, quando non sono violentati o utilizzati come schiavi sessuali. Il reclutamento di bambini tra i combattenti risponde a una vera e collaudata strategia.
In Sierra Leone, nello Sri Lanka o in Ruanda, le peggiori atrocità nei confronti della popolazione civile sono state commesse dai bambini. Per un capo di guerra, un bambino è un utensile più malleabile che non si rende sempre conto delle azioni che compie, facile da manipolare e da impressionare. Il bambino deve dunque costituire una minaccia per l’insieme della popolazione civile. Per migliorare la loro performance militare, questi bambini sono spesso drogati prima dei conflitti, cosa che si aggiunge all’indottrinamento e alle minacce. Alfine di assicurarsi il controllo dei bambini, viene spesso ordinato alla popolazione di alcuni villaggi di terrorizzare o massacrare le loro famiglie. Colpevoli e maledetti questi bambini sono praticamente condannati a rimanere con i gruppi armati. Nell’Irlanda del Nord, il ruolo e l’impiego di bambini da parte di gruppi paramilitari è fortemente aumentato negli anni settanta, in ragione della persistenza della paura ma anche di fattori socio-economici sfavorevoli. Questa situazione è ancora più incomprensibile se consideriamo che i bambini non dispongono di nessun’altra possibilità di sopravvivenza: l’assenza di lavoro, una famiglia scomparsa, non resta che la prospettiva di raggiungere un’unità di soldati, che offre un uniforme per vestirsi e qualcosa da mettere sotto i denti… Il vantaggio finanziario costituisce una delle spiegazioni frequenti dell’arruolamento. Il bambino è spesso incoraggiato dalla famiglia.
In altri casi i bambini sono indottrinati da questi richiami ideologici, religiosi o politici. Si tratta d’altronde di casi in cui l’impegno del bambino può a volte, davvero considerarsi volontario. In Sri Lanka o in Colombia dove il contesto ideologico e patriottico è molto forte, numerose bambine sono volontarie per fuggire dalla povertà che le avvolge, trovando però nell’arruolamento anche un riconoscimento sociale che pensano di trovare combattendo perché così si sentono uguali agli uomini. In questa serie di ipotesi si discute del “volontariato” del bambino. È sempre indispensabile distinguere tra questi casi la volontà personale e lo sfruttamento del bambino manipolato e indottrinato dagli adulti. Esistono delle ragioni legate alla sicurezza fisica del bambino: i bambini testimoni di omicidi o massacri saranno più inclini a raggiungere le forze armate, dove pensano di essere in sicurezza di fronte ai pericolo esistenti. Così come nello Sri Lanka le bambine servono le truppe indipendentiste. Delle Tigri Tamoul in quanto si sentono protette, le relazioni sessuali tra combattenti sono vietate. Infine la proliferazione delle armi leggere, poco costose e facilmente utilizzabili da persone che dispongono di poca forza fisica o di poca conoscenza tecnica, ha ugualmente permesso il ricorso a giovani bambini.
there’s a Millennium Development Goal dedicated to getting all children worldwide into at least a primary level of education
— ChildSoldiers (@ChildSoldiers97) 28 Gennaio 2013
La diffusione delle armi AK 47 o il più noto M16, che possono essere smontate da bambini di 10 anni, hanno contribuito allo sfruttamento di questi giovani combattenti. Di questo fenomeno particolarmente complesso, la comunità internazionale non è rimasta inattiva. Nel febbraio del 2000, Olara Otunnu, rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati, presentava in maniera sintetica gli elementi che possiamo considerare come rilevanti nella politica condotta dalla Nazioni Unite in vista dell’eliminazione del ruolo del bambino durante i conflitti. È stata esercitata una pressione internazionale sulle parti belligeranti che maltrattano i bambini e se ne servono come soldati, attaccandosi ai fattori politici, sociali e economici che facilitano lo sfruttamento dei piccoli soldati. Il diritto internazionale ha effettivamente preso nota della questione dei bambini soldati. Un quadro normativo complesso tende a rinforzare il divieto del ricorso ai bambini soldati. Questo progresso del diritto si associa ad alcuni interventi multipli di alcuni attori costituzionali. Nonostante tutto i risultati appaiono deboli e parziali soprattutto nel dominio del ritorno del bambini alla vita civile. Data la diffusione del fenomeno dei bambini soldati la comunità internazionale ha elaborato numerosi strumenti destinati a proteggerli. Questi strumenti rinviano in parte alle regole del diritto umanitario figlio della “convenzione di Ginevra”.
Lo strumento internazionale dedicato alla protezione dei bambini è la Convenzione relativa ai diritti dei bambini del 20 novembre 1989 che si pronuncia sulla situazione di bambini in caso di conflitto. Nonostante ciò, questa Convenzione non segna progressi rispetto al diritto umanitario, ed è addirittura più debole che il diritto esistente nella misura in cui il diritto internazionale umanitario applicabile ai conflitti armati non internazionali vieta qualsiasi partecipazione dirette e “indiretta” di questi bambini. La Convenzione comunque prevede che “gli Stati membri adoperino tutte le misure appropriate per facilitare il riadattamento fisico e psicologico ma anche il reinserimento sociale di tutti i bambini” di conflitti armati. Questo riadattamento e reinserimento devono svolgersi “in condizioni che favoriscono la salute, il rispetto di sé e la dignità del bambino”. La volontà esplicita di rinforzare le pressioni internazionali sugli Stati coinvolti dal fenomeno dei bambini soldati ha portato ad un impegno progressivo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Organo principale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza possiede la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza nazionale. Non è dunque a priori direttamente coinvolto dalla protezione dei diritti dell’uomo nello spirito della Carta delle Nazioni Unite. Ma il consiglio ha progressivamente acquisito un posto importante nella protezione dei diritti dell’uomo nel piano internazionale. Dalla fine degli anni novanta, ha ottenuto un posto sempre più rilevante nella questione dei bambini soldati e ha condannato le violazioni delle regole internazionali che vietano il reclutamento e l’utilizzo di bambini nei conflitti armati. Il Consiglio di sicurezza si indirizza senza distinzione nei conflitti armati contro qualsiasi gruppo. Dall’agosto del 1999, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “condanna” il reclutamento e l’utilizzo di bambini nei conflitti armati con l’intenzione di porre fine a questa pratica, ribadito in maniera ancora più implicita negli ultimi anni.
L’azione internazionale non si scontra solo con la staticità della sovranità ma anche con la difficoltà di far accettare dei principi umanitari dai responsabili locali che non rispettano le regole in maniera generale. Se l’azione congiunta del Consiglio di sicurezza e della Corte penale internazionale costituirà molto probabilmente un elemento complicato nell’avvenire ciò non basterà a sradicare le cause del conflitto. Conflitti etnici, povertà estrema e cinismo dei trafficanti d’armi non sembrano sul viale del tramonto. I bambini per la loro caratteristica di vittima e di attore, rischiano sfortunatamente di essere una delle figure più rappresentative del XXI° secolo.
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuManuelg85)
21 Marzo 2015