Intervista al giornalista Stefano Spadoni, curiosità e consigli sulla città di New York

NYC – New York è una città straordinaria, paradossale per molti aspetti ma certamente unica per altri. In tempi di crisi molti ipotizzano di provare la via americana pensando così di trovare maggiori opportunità. Tuttavia, compiere questo passo non è così facile. La burocrazia che si cela dietro le pratiche per ottenere il visto necessario (ne esistono molti e di ogni genere), sono complicatissime.
Stefano Spadoni è un giornalista esperto di comunicazione e di marketing, profondo conoscitore della città sulla quale ha scritto un libro che può essere considerato una sorta di compendio sul tema: “Vado a Vivere a New York”. Il volume contiene molti consigli sugli argomenti più diversi per sfruttare al meglio le occasioni che questo crocevia del mondo offre davvero. Tentiamo con Stefano di capire meglio alcuni argomenti e di approfondire molti degli aspetti più caratteristici della questione. Inoltre, cercheremo di puntare la lente di ingrandimento su alcune delle problematiche attuali degli Stati Uniti con gli occhi di chi vive quotidianamente questa realtà.
Ciao Stefano, vivi a NYC e negli Stati Uniti da tempo. Oggi sei un punto di riferimento per molti Italiani che desiderano trasferirsi negli Stati Uniti e in particolare a New York. Il tuo sito ricco di consigli è cliccatissimo. Quando è nata in te l’idea di compiere questo passo?
« L’Italia mi è sempre andata stretta, o meglio non mi sono mai trovato con la mentalità italiana in generale dove il cittadino è rassegnato a non contare nulla, a subire i soprusi del governo come inevitabili, la corruzione è un modo di vivere anche nelle piccole cose e la meritocrazia è vista male. Per cui ad un certo punto ho deciso di fare il passo».
Sei partito alla cieca oppure hai rispettato il consiglio che fornisci nel tuo libro “Vado a Vivere a New York”, ovvero hai pianificato una strategia ben definita?
«Sono partito alla cieca, e proprio per tutti gli errori che ho fatto, ho scritto il mio libro
per evitare ad altri di fare gli stessi errori».
Quali sono state le prime sensazioni dell’impatto con la realtà di questa metropoli crocevia del mondo?
«New York non è sempre la stessa, cambia ogni giorno e questo è positivo e negativo allo stesso tempo. Quando sono venuto la prima impressione è stata di una giungla con la libertà che una giungla ha, mentre l’Italia è una fattoria dove i ruoli sono stabiliti e l’unica cosa che ti è permessa, se non sei al vertice o in una categoria privilegiata, è cercare di sopravvivere. Se hai sogni sei visto male, rappresenti un problema perché disturbi il sistema. I sogni li possono avere solo i ricchi, i potenti e i criminali e comunque se vanno bene ai politici»
.Si sa, quando si viaggia e si va all’estero si notano subito le differenza con il Belpaese. Quali sono state le prime differenze che hai notato?
«Qui la gente ha voglia di fare, di rischiare, tutto avviene in fretta, in Italia ogni cosa che vuoi fare ha tempi biblici, e poi il potere centrale governa tutto, impedisce ogni cambiamento. E’ una morte da lento autosoffocamento, come infatti sta avvenendo».
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In molti, specialmente in tempi di crisi, meditano di trasferirsi all’estero. New York resta una delle mete preferite per le infinite opportunità che offre. Tuttavia, sono opportunità celate dietro ad una complessa burocrazia. Non è facile muoversi senza una strategia definita. Quali sono i tuoi consigli per chi da l’Italia pensa a questa problematica soluzione?
« Nel mio libro ci sono molti consigli e una spiegazione dei visti e come possono essere usati. La cosa che lascia sconcertati è che esiste da una parte una burocrazia sempre più severa per chi vuole venire negli USA legalmente, e dall’altra parte chi viene illegalmente è accolto sempre più a braccia aperte. C’è già di fatto un’amnistia per alcuni di loro, e credo che ne seguiranno altre, magari non ufficiali, ma che impediscono di essere deportati. Alcuni avvocati consigliano il matrimonio finto (io lo sconsiglio) e adesso c’è il matrimonio gay finto che, secondo alcuni, elimina molti problemi perché viene spesso fatto tra amici, amiche che magari già vivono insieme e non crea tensioni sessuali. Sul piano dei visti legali un primo passo può essere venire qui con un visto di training e poi trovare uno sponsor per un visto di lavoro. O trovare lo sponsor direttamente dall’Italia. Chi ha capitali da investire può ottenere in visto investitore, molto veloce da ottenere se si hanno i requisiti. Comunque se si può, è bene venire qui per un paio di mesi a creare contatti e capire il paese».
Tornando all’argomento crisi, qual è il tuo punto di vista sull’argomento. E soprattutto come siamo visti noi italiani dai newyorchesi?
«La crisi negli USA c’è, ed è soprattutto un impoverimento della classe media mentre i ricchi sono sempre più ricchi, proprio come accade in Italia. La causa è il passaggio da un sistema capitalista vero, dove chiunque può fare soldi e c’è lavoro per tutti quelli che vogliono lavorare, ad un sistema di capitalismo di stato dove i piccoli imprenditori sono considerati da molti come criminali che hanno successo non grazie al loro impegno e al rischio che si prendono, ma grazie alla società, dove lo Stato decide chi vince e chi perde e i dipendenti statali (questo avviene negli USA) sono pagati quasi il 50% più di quelli del settore privato. Aggiungi il debito pubblico insostenibile e il quadro è completo.
La crisi italiana è dovuta purtroppo molto alla mentalità della maggioranza della gente. Sono stato recentemente in Italia e molti vorrebbe un cambiamento, ma guai a togliergli le sicurezze, guai a parlare ad esempio di licenziamenti liberi (e assunzioni altrettanto libere), insomma vorrebbero che tutto cambi senza che nulla cambi per loro. Gli italiani a New York sono molto ben visti, oggi ci sono anche i figli dell’alta borghesia, ma c’è di tutto».
Spesso i media anche nei talk show, gli esperti e meno indicati del settore sono comunque sempre d’accordo su una cosa: la crisi è partita dagli Stati Uniti. Quanto c’è di sbagliato in questa informazione?
«L’America è sempre indicata come la fonte di tutti i mali da destra (per via che ha abbattuto il fascismo), dalla sinistra (perché ha abbattuto il comunismo) e anche da molti movimenti religiosi per la concezione originale che l’individuo è il centro della società e può dire e vivere come vuole. Molti media sono contro gli Stati Uniti perché hanno dimostrato in passato che il capitalismo vero (non quello di stato come sta diventando ora) crea ricchezza e il capitalismo di stato o peggio il comunismo, crea miseria. La causa della crisi è che pian piano l’America è stata trasformata da capitalista a assistenzialista, con il governo che ha imposto alle banche di concedere prestiti per l’acquisto di case senza garanzie (e le Banche sono state felici di ubbidire), i controllori della Borsa che non hanno controllato sapendo che non gli sarebbe successo nulla (vedi caso Madoff), si è creato uno stato assistenziale costato 23 migliaia di miliardi nel corso degli anni senza riuscire a migliorare la condizioni dei poveri (ma creando una massa di votanti mantenuti che vota per continuare questi sussidi), l’istituzione di regolamenti che stanno soffocando soprattutto i piccoli imprenditori, e l’inevitabile corruzione politica con spese inutili.
E alla fine ecco arrivare l’inevitabile crisi».
Il crollo delle torri gemelle ha scatenato moltissimi dibattiti sulla sicurezza americana. Dalla nascita del “Patrioct Act” ai brutali metodi impiegati dalla CIA negli interrogatori per estorcere verità dai prigionieri, al programma diramato e pubblicato martedì dal Senato. Cosa ne pensi di questo caso e dove ti trovavi quel giorno?
« L’11 settembre ero a casa, ma potevo essere stato quel mattino a saldare dei conti alle Twin Towers perché avevo programmato un party del mio network per la sera prima al Windows on the World, poi la cosa non era andata in porto. La persona con cui ho trattato è morta. Il “Patriot Act” era una cosa giusta, ma doveva prevedere limiti al controllo a tappeto che poi è stato fatto contro i cittadini onesti, magari c’è chi ha fatto anche soldi spiando aziende, o politici, non lo sapremo mai. Riguardo alla tortura, per molti americani è accettabile se è per difendere il paese, come per scoprire se si sta programmando un attentato. Credo che bisognerebbe chiedersi perché dare diritti a terroristi che hanno l’obiettivo di stabilire un regime in cui le bambine vengono istituzionalmente violentate, le donne lapidate e i gay impiccati a lampioni. Terroristi che oggi massacrano bambini mussulmani come loro nelle scuole e tagliano la testa a bambini che hanno la sola colpa di essere cristiani. E’ un problema torturare persone del genere per ottenere informazioni? Sarebbe stato un crimine torturare le SS di un campo di sterminio per salvare vite umane? Nel mondo sembra che pochi si facciano queste domande. C’è poi un controsenso; i terroristi vengono uccisi quasi ogni giorno da droni e con loro muoiono civili innocenti, inclusi bambini, ma la notizia finisce sulla prima pagina dei giornali, non genera scandalo come la tortura, ma se i terroristi vengono torturati ecco scoppiare lo sdegno. Insomma uccisi sì anche se muoiono con loro bambini innocenti, ma torturati no. E infatti l’Onu e il Tribunale Internazionale non vogliono incriminare Obama per i droni, ma vorrebbe incriminare Bush per la tortura. Ora i servizi segreti, incluso la CIA, sono demoralizzati, sono spaventati a fare qualunque cosa per paura di essere puniti, e, senza strumenti per ottenere informazioni, purtroppo l’America sarà colpita duramente perché vuole combattere una guerra come se fosse una battaglia legale. Lo scandalo sulla tortura è scoppiato per motivi politici ed è alimentato da tutti quelli che odiano l’America e lo vedono come un ennesimo strumento per distruggere gli Stati Uniti, questo paese che si ostina a voler creare democrazie nel mondo. O almeno si ostinava perché oggi non ha più i mezzi e la volontà di farlo».
Come hai vissuto il recupero del popolo newyorchese nei mesi successivi alla strage?
« Ho scritto un libro in proposito, “New York, terrorismo e antrace”, sono stati momenti belli perché gli americani erano veramente uniti. Poi i politici hanno deciso che era molto meglio per loro avere un popolo profondamente diviso, come è ora e lo hanno diviso metodicamente».
Toccando l’argomento “trasparenza di informazioni”, come viene vista l’immagine degli Stati Uniti in Italia?
«Non seguo molti i media italiani, ma spesso leggo reportage che distorcono complemento quello che avviene negli USA».
I politici (che sono comunque universalmente simili), sono diversi in America?
«Direi che rubano meno e sono costretti ad ascoltare di più la gente perché gli Americani si arrabbiano e votano di conseguenza. C’è anche da dire che in America, almeno fino ad oggi, c’è una stampa libera e, anche se per esempio ha coperto per anni il Presidente Obama, comunque esiste sempre una controparte che ha la libertà di dire la verità senza la paura di querele, chiusura del giornale o finire in galera. Non dimentichiamo anche che i giudici sono in parte eletti e in parte nominati, non c’è una magistratura di carriera, per cui i politici sono molto più sotto controllo e non esiste l’immunità parlamentare».
La città ha vissuto recentemente il cambio del sindaco. Bill de Blasio (Democratico) ha succeduto all’ex sindaco Bloomberg (Repubblicano), noto per i suoi sforzi nel migliorare la sicurezza della città. Quant’è stato fatto dal nuovo sindaco in questi mesi?
«Solo una nota: in questo momento l’equivalente del sindacato di polizia sta facendo circolare una dichiarazione in cui i poliziotti chiedono che, se muoiono in servizio, il sindaco non vada al loro funerale. Credo che la città vada a cicli. Una volta la città era in sfacelo sotto il sindaco Dinckins, poi la città, disperata, anche se al 75% democratica ha eletto il Sindaco Giuliani (repubblicano). Bloomberg ha mantenuto i risultati di Giuliani e la città si è dimenticata del passato per cui ha eletto Bill de Blasio (Democratico) che ha una bella immagine, bella famiglia, ma una visione della città molto diversa da quella di Giuliani. Poi magari un giorno la città tornerà a votare un sindaco che risana le cose di nuovo se vanno male nei prossimi anni».
Torni spesso nella madre terra?
«Torno, ma dopo pochi giorni voglio tornare a New York. In Italia l’atmosfera è terribile e mi sembra che vada sempre peggio».
Il fenomeno degli italo-americani è ancora ben radicato?
«Direi che è qualcosa che sta svanendo lentamente con il tempo, ci sono molti americani di origine italiana, ma non si possono definire come italo-americani».

Alcune delle critiche nate in Italia vertono su due punti considerati come vere e proprie debolezze del paese: i costi della sanità (pur considerando i progressi dell’”Obama Care”) e l’iscrizione all’Università, per la quale molti studenti si indebitano chiedendo enormi prestiti. Da persona che vive la realtà americana sul campo, cosa ne pensi?
«Credo che sull’Obama Care ci sia molta disinformazione. Come ha riconosciuto la Corte Suprema è una tassa che aumenta il costo assicurativo di molti per dare l’assicurazione gratis o semi-gratis a chi guadagna meno. Ma non è un’assicurazione per tutti come in Italia, anzi se non paghi per acquistare l’assicurazione ti fanno la multa. Non dimentichiamo che negli USA i poveri hanno l’assicurazione gratuita il Medicare, e così quelli sopra i 65 anni (con ticket e integrazioni per i medicinali) e molti sono assicurati dall’azienda e si tratta di un’assicurazione medica di prima classe. Il problema dell’Obama Care è che, oltre a pagare cifre astronomiche (oltre 650 dollari al mese per un single per un piano medio che non rimborsa tutto) la copertura scatta solo dopo che hai pagato di tasca tua qualche migliaio di dollari. Inoltre il Presidente aveva promesso che la gente avrebbe potuto continuare ad avere il proprio medico, cosa che poi si è dimostrata una bugia. Per questo la maggioranza degli americani è contraria all’Obama Care.
Comunque lo scopo finale è di arrivare ad una Sanità all’italiana “gratis” in realtà pagata da una pressione fiscale assurda, dove devi aspettare mesi per un intervento chirurgico, ma se hai santi in paradiso o amici in ospedale sei operato il giorno dopo. E’ una questione di potere: se il cittadino ha un’assicurazione privata può scegliere le cure che vuole quando vuole senza santi in paradiso, e ai santi questo non piace.
Il costo della scuola è un altro problema creato dai sussidi. Intanto in America si spendono nella scuola pubblica circa 15.000 dollari l’anno per studente, Una cifra pazzesca e il risultato è che i bambini americani ottengono in genere risultati mediocri perché manca la disciplina e regna spesso il caos.
Le Università approfittano dei prestiti dati agli studenti che sono garanti dallo Stato così anche se i prezzi aumentano gli studenti ci sono lo stesso. Poi ci sono i costi del personale amministrativo, della struttura stessa sempre più di lusso per competere con le altre. Molti poi hanno borse di studio. Io credo che sia venuto il momento per tutto il mondo di trasformare le Università in corsi su internet e fare solo gli esami in sede. Il costo sarebbe irrisorio e tutti potrebbero studiare».
Altro tema scottante della legislazione americana: la pena di morte. È prevista nello Stato di NY? Credi nella sua applicazione?
«A New York la pena di morte era stata reintrodotta per voto popolare, ma i giudici l’hanno di fatto annullata. So che in Italia la maggioranza pensa che un criminale ha il diritto di uccidere un innocente, ma la società non ha il diritto di uccidere il criminale. In America la maggioranza ancora non la pensa così e soprattutto pensa che gli elettori abbiano diritto ad avere le leggi che vogliono (un diritto purtroppo sempre più contrastato dai giudici).
Comunque la pena di morte come è oggi negli USA è inefficace. In molti stati è stata bandita, in altri di fatto i giudici si rifiutano di applicarla anche se la giuria la vuole, comunque tra appelli e contro appelli (tutti pagati dai contribuenti) passano oltre 10 anni e spesso la pena viene tramutata in ergastolo. Mark David Chapman, assassino di John Lebnnon è in prigione ma ha visite coniugali della moglie con tanto di sesso e pizza. E i contribuenti pagano. E’ giusto? Insomma la pena di morte così non fa paura a nessuno e quindi non funziona. So che questo mio parere non piacerà a molti e voglio spiegarlo con un esempio.
In Italia ci sono stati molti casi in cui fidanzati o ex fidanzati hanno ucciso la propria ragazza (uno mi sembra l’ha bruciata viva). Adesso questi assassini sono probabilmente in libertà dopo qualche anno di prigione e se il padre di una ragazza prende a pugni l’assassino finisce in galera perché “l’Italia è una società civile” dove chi ha scontato la “pena” deve essere rispettato. In Italia la chiamano giustizia e dicono che la pena di morte non serve a scoraggiare i delitti.
Stranamente nessuno ha mai ucciso la fidanzata sperando di farla franca se questa era la figlia di un boss della mafia. Tutti sappiamo perché.
Anche per la pena di morte è tutto un fatto di antiamericanismo. In Iran impiccano i gay ai lampioni, in Cina condannano a morte 5.000 persone l’anno senza un giusto processo, ma il dito viene puntato contro l’America che giustizia criminali cento volte di meno e dopo corsi e ricorsi, tutti a spese dello stato. Vorrei concludere che rispetto profondamente chi è contrario alla pena di morte se lui rispetta chi è a favore, cosa che mi sono accorto non accade spesso».
I media del mondo hanno divulgato negli ultimi mesi le notizie sui fatti di cronaca concernenti la morte di Trayvon Martin, di Michael Brown e altri. La polizia spesso viene considerata razzista. Come vedi questa situazione a New York che è composta per la maggior parte da cittadini provenienti da tutto il mondo? Esiste un razzismo celato dall’eccessivo perbenismo tipico del buon cittadino americano?
«I poliziotti pensano che i giovani di colore possano essere dei criminali più dei giovani di altri gruppi e quindi si comportano di conseguenza? Probabilmente sì. Molti lo giustificano con le statistiche che mostrano chi compie più reati violenti.
Ci sono razzisti nella società americana? Certo, come ci sono in Italia. La stupidità non ha frontiere.
Comunque l’America viene descritta come razzista dopo che ha eletto per due volte un presidente di colore. No comment.
Il problema è che da una parte la polizia difende i poliziotti qualunque cosa accada e dall’altra gli attivisti accusano i poliziotti qualsiasi sia la situazione. Per cui ogni discussione è inutile. Le giurie e giurì spesso scagionano i poliziotti perché li vedono come il baluardo contro la violenza e pensano che se i poliziotti non si sentono sicuri nell’operare, finiscono per tirarsi da parte e smettere di reagire al crimine per paura di finire sotto processo.
C’è poi il furore popolare alimentato dai media e da notizie false che rende le decisioni dei grand giury incomprensibili. Il pericolo è che per rimediare si vada verso un sistema all’italiana dove è la magistratura ad incriminare per delitti gravi e non un grand giury formato da cittadini come avviene in America. A quel punto il cittadino non ha altri cittadini a cui appellarsi se il dito del potere viene puntato contro di lui.
Ci sono poi motivazioni economiche per far scoppiare questi casi; le cause civili riguardanti queste morti, anche se i poliziotti vengono assolti penalmente, portano a risarcimenti di milioni di dollari che finiscono non solo alla famiglia, ma anche agli avvocati e nelle tasche di attivisti vari.
Ci sono poi ragioni politiche, esposizione nei media di chi cavalca questi casi e i relativi voti assicurati.
Per questo se una bambina di colore viene uccisa in braccio allo zio da un proiettile sparato da una gang (come è avvenuto), non fa notizia, così come non fanno notizia i ragazzi bianchi disarmati uccisi da un gruppo di persone di colore, ma se un poliziotto bianco spara ad una persona di colore la notizia rimbomba nel paese e pare che il problema principale per un giovane di colore sia quello di non essere ucciso dalla polizia quando invece, secondo le statistiche, è quello di non essere ucciso da un altro giovane di colore.
Probabilmente le telecamere obbligatorie per i poliziotti risolveranno molti problemi ma non fermerà chi vile uno scontro sociale tra razze, religioni, uomini e donne, gay e non gay. Insomma “dividi et impera”».
Siamo nel periodo natalizio e la città si riempie di colori e di luci manifestando tutta la sua maestosità. Quali consigli puoi dare ai turisti che hanno deciso di passare il capo d’anno nella grande mela?
«Times Squares ma preparatevi a lunghe ora di attesa in piedi al freddo perché dovete andare presto se volete un buon posto. Per i party privati, alcuni locali vicino a Times Square offrono la possibilità di uscire dal locale a mezzanotte e vedere la palla che scende direttamente nella piazza, ma senza aver aspettato al freddo. Non dimenticate nel periodo natalizio le vetrine sulla Fifth Avenue».
Nel libro hai scritto: “New York è una città che prende molto e da molto in quest’ordine”, puoi spiegarci meglio?
«Molti italiani, e parlo anche di aziende, vorrebbero venire qui ma senza pagare un prezzo, senza investire in termini economici e personali. Questo non è possibile e prima lo si capisce meglio è».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«L’America e New York sono in una profonda trasformazione, per alcuni piani che ho, aspetto di vedere cosa accadrà nei prossimi mesi e decidere in che direzione andare. Vi farò sapere. Comunque vi aspetto qui».
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuMnauelg85)
18 Dicembre 2014